1931 – M – Il Mostro di Düsseldorf

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Regia – Fritz Lang
Quando Cammino per le strade, ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Ma sono invece io che inseguo me stesso”

Dite la verità: voi mi volete male. E io un pochino vi odio per aver fatto vincere M nell’ultimo sondaggio. No, non scherzo. È la prima volta che non mi sento all’altezza della situazione. Parliamo di gente (Lang) che il linguaggio cinematografico se lo è praticamente inventato. E io qui di solito discetto di mostri e squartamenti. Ma passiamoci sopra e cominciamo con dei noiosi cenni autobiografici. Non preoccupatevi, sono pertinenti e mi servono per il contorto discorso che vorrei fare a proposito del film.
Ho visto per la prima volta M a causa di un esame universitario. Era storia contemporanea, e c’era una bella monografia su Weimar. Avevo 19 anni e galleggiavo nella mia beata ignoranza cinematografica per tutto ciò che riguardava i classici e le pietre miliari. Arrivai alla visione del tutto impreparata. E il film mi maciullò come se fosse un tritacarne. E sì che di horror ne vedevo parecchi. E sì che di serial killer pensavo di saperne a pacchi.
Non avevo capito niente.
Io lo so che dire: “quel film mi ha cambiato la vita” può sembrare una frase fatta. Anzi, è una frase fatta, perché M non mi ha cambiato la vita. Ha fatto un’altra cosa, ha cambiato la mia percezione. Il mio modo di approcciarmi al cinema.

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Il primo film sonoro di Lang. Che però non rende affatto l’idea. M è il primo film in cui il suono assume una funzione narrativa. Non so se è chiara la portata dirompente di quanto realizzato da Lang nel 1931. Lui ha preso una novità tecnologica che ancora tutti si stavano chiedendo come cazzo funzionasse davvero, e ne ha fatto la chiave di volta del suo racconto per immagini. Il suono ci accompagna all’inizio del film, mentre i bambini recitano la famosa filastrocca, ci segue quando incontriamo il nostro assassino, si trasforma nel suo fischiettare, parte fuori campo ad anticipare le immagini (come nella scena degli strilloni dei giornali, dopo il primo omicidio) e, alla fine, è l’espediente tramite cui l’identità del mostro viene scoperta. Nel 1931 Lang faceva già gli anticipi sonori e usava bello tranquillo il fuori campo. Lui e quel matto scatenato del suo montatore, Paul Falkenberg. Perché un’altra innovazione pazzesca portata da M al cinema è il montaggio.
Sì, inserire i suoni fuori campo, decidere se anticiparli o posticiparli rispetto allo scorrere delle immagini, è una cosa che si decide in sede di montaggio.
Ma non è solo una questione di sonoro. Quelli bravi lo chiamano montaggio elittico. E un esempio formidabile, in M, è la scena in cui Peter Lorre (poi parliamo anche di lui, tranquilli) adesca e poi uccide una bambina, dopo averle comprato un palloncino, mentre la mamma della vittima la aspetta a casa e l’orologio scandisce impietoso questa attesa sempre più ansiosa.

Io, a 19 anni, di tutte queste cose non sapevo un tubo. E devo dire che non me ne importava neanche un tubo, com’è anche giusto che sia. Ma, dopo aver visto M, ho iniziato a interessarmi a queste cose, a voler capire come si realizza un film in tutte le sue fasi. Ho iniziato a immaginare la difficoltà di concepire e poi mettere in atto una sequenza come quella del reclutamento dei mendicanti. Ho inizato a pensare al lavoro di tutte quelle persone, alle ore perse per girare pochi minuti. In poche parole, dopo M ho iniziato a vedere il set. E dopo il set la moviola, e la postproduzione e tutti i procedimenti tecnici che rendono un film il prodotto finito per noi spettatori seduti in sala.

M-knife1Che non significa fissarsi sulle cazzate, o non riuscire a godersi il film se non c’è un piano sequenza di almeno 10 minuti. Significa essere consapevoli che tanto è più grande e importante il film, tanto minore è il grado di casualità con cui è stato messo in scena. Nei capolavori (ed M è un capolavoro) non c’è mai niente affidato al caso. Ogni movimento di macchina, ogni elemento che popola l’inquadratura, ogni stacco di montaggio, sono lì perché rappresentano altrettante scelte del regista e dei suoi collaboratori. E, molto spesso, anche i dettagli più insignificanti hanno un senso ben preciso. E sono queste cose che concorrono alla resa di un capolavoro.
Perché M è formalmente e tecnicamente avanzatissimo proprio in quanto narrativamente avanzatissimo. E viceversa. Non potrebbe essere altrimenti. Accade sempre così quando si tratta di quel pugno di opere in grado di cambiare la faccia alla storia del cinema.

E così, mentre Lang rivoluzionava il linguaggio in un modo destinato a condizionare generazioni intere di registi, anticipava anche di qualche decennio tutta una serie di generi codificati in seguito: dal thriller procedurale, al film sui serial killer, al film dalla parte dei serial killer, fino ad arrivare ai vari giustizieri della notte che avrebbero affollato negli anni ’70 e ’80 i cinema americani.
In M c’è già tutta quella filmografia allo stadio embrionale. Ma con l’aggiunta di uno sguardo sull’essere umano tra i più lucidi e rigorosi di sempre. Ma non spietati, come ebbe a dire Goebbels che lodò il film perché privo dei “meri sentimenti umanitari”, dimostrando, sempre che ce ne fosse bisogno, la sua totale incompetenza.
Lo sguardo di Lang è profondamente sofferto e descrive (in modo quasi documentaristico. Altra cosa da sottolineare sarebbe che M è il punto più alto e insieme il superamento dell’Espressionismo) una società allo sbando, fatta di carnefici che diventano vittime, di criminali che si fanno improvvisati giustizieri, di isteria di massa, di caccia alle streghe, di oppressione e terrore.

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E poi c’è lui, l’assassino interpretato magnificamente da un Peter Lorre ventiseienne al suo primo ruolo da protagonista, che nel monologo finale, mentre viene processato da ladri e assassini, si manifesta in tutta la sua fragilità. Un mostro bambino, una creatura che suscita un moto di empatia inaspettato, che si mescola al disgusto e crea un cortocircuito a cui forse oggi siamo abituati, ma che all’epoca fu dirompente. E molto del merito va proprio alla recitazione di Peter Lorre, alla sua capacità di essere un istante prima mellifluo e quello dopo crudele, per poi apparire solo come una vittima terrorizzata da una condanna a morte a cui sente di non poter sfuggire.

Come tutte le grandi opere, M è pericolosa e ambigua. Pericolosità riconosciutagli un po’ ovunque: in Germania venne proibita a partire dal 1934 e da noi non arrivò proprio, se non nel 1960, con quel titolo che richiamava una città dove il film non era ambientato. A Düsseldorf erano solo avvenuti una serie di delitti negli anni ’20, cui pare che Lang si sia ispirato, nonostante il regista lo abbia sempre negato. In realtà, tutto il film si svolge a Berlino. Ma noi Italiani coi titoli (e con le sforbiciate inopportune) siamo sempre andati alla grande.
Ma forse negli Stati Uniti, al film andò anche peggio, dato che, dopo due settimane di proiezioni in tedesco coi sottotitoli, M fu ritirato dalle sale, ridoppiato e parzialmente rigirato per renderlo più adatto ai gusti americani.

Anche per il 1941 abbiamo un paio di classiconi da sfoggiare. Andando avanti con gli anni, le scelte si faranno sempre più difficili. Questa volta vi tocca decidere tra L’Uomo Lupo, di George Waggner, secondo film coi licantropi generosamente donatoci da mamma Hollywood e la spettacolare versione firmata da Victor Fleming de Il Dottor Jekyll e Mr. Hyde (sì, quella con Spencer Tracy).

24 commenti

  1. So che è scontato dirlo, ma devo dirlo: pezza MERAVIGLIOSO! ^_^
    Forse avevo la stessa età quando l’ho visto la prima volta, in una delle VHS da edicola di cui mi pascevo all’epoca: fu un’emozione grandissima… Cos’avrà Lang che riesce ad attraversare gli oceani del tempo? 😉

    1. Io invece lo noleggiai in una videoteca che spacciava tutte le vhs dei film vecchissimi. Era sulla Nomentana e non so neanche se esiste ancora. All’epoca era utilissima per tutti gli studenti di cinema, e anche per quelli di storia che dovevano fare approfondimenti attraverso il cinema.
      Grazie, Lucius 😉

      1. I ricordi mi si confondono, non vorrei sbagliare, ma ricordo una collana tipo “maestri dell’horror” che tra Lugosi e Karloff infilò anche M. Se all’epoca avessi avuto uno scanner mi sarei conservato almeno la locandina, invece mi tocca andare a memoria 😛
        Complimenti ancora e già sto preparando un ri-lancio del tuo post con tanto di locandina italiana d’epoca ^_^

  2. bradipo · ·

    sul sonoro hai ragione,è come se Lang lo avesse sempre usato, anzi è come se aggiungesse una gamma espressiva ancora più ampia al suo cinema, in un certo senso antitetico a Chaplin che non si rassegnava all ‘uso del sonoro rielaborando le nuove tecniche dall’alto del suo genio…( vedi Tempi moderni, un film praticamente muto in cui però il sonoro ha un ruolo fondamentale)…è uno dei film della mia vita….

    1. A me lascia davvero di stucco la capacità di adattarsi in questo modo alle novità tecniche e di piegarle alla propria volontà artistica. In pochi lo sanno fare, alcuni dal sonoro finirono seppelliti.

  3. No, Lucia, io non ti voglio male. Anzi, ti voglio benissimo.
    E ti dico anche che M Il mostro di Dusseldorf riporta anche me agli anni dell’università, era uno dei film che avevo scelto per l’esame di cinema e ho ancora i brividi lungo la schiena per tutto quello che Lang mostra e suggerisce.

    Ah, e per il 1940 ti becchi L’uomo lupo, che ho adorato pur essendo più per la fazione vampirica che mannara 😀

    P.S.
    Bellissima la nuova grafica e l’intro ai commenti XDXDXD

    1. L’incontro con Lang è sempre indimenticabile. Vedo che è un’esperienza condivisa…
      Il paradosso è che una quindicina di anni fa, questi film erano più complicati da reperire rispetto a oggi. E li guardava più gente di adesso. Assurdo.
      L’Uomo Lupo lo adoro anche io. Appartengo alla fazione licantropi e quello è davvero un film che ha segnato un’epoca 🙂
      Ci ho combattuto con la nuova grafica, ma alla fine ho trovato l’estetica più adatta a me. E il mitico Giordano ci ha messo del suo 😀

  4. Ha visitato il Museo del Cinema di Berlino? Bellissimo, e pure intestato a Billy Wilder, che è una gran cosa. C’è un intero padiglione dedicato all’Espressionismo, a Caligari e a Fritz nostro, che per Metropolis utilizzò gli storyboard come un Lasseter o un Cameron qualsiasi milioni di anni dopo. Che genio, che grandezza.

    1. Mai stata a Berlino, purtroppo… 😦
      Io ancora non mi capacito di come stesse avanti a tutti gli altri, ma davvero di milioni di anni…

      1. Giuseppe · ·

        Però sei stata a Londra, luogo d’origine di tantissima di quella materia di cui sono fatti i nostri sogni (come mi sento Bardo, oggi)! 😉
        Quanto a M, alla sua radicale portata innovativa e al giovane ma già dotatissimo Lorre, interprete – magnificamente diretto da Lang – del personaggio principale, credo tu abbia detto tutto quello che c’era da dire (e che potrebbe aiutare chi si accingesse alla visione di questo capolavoro per la prima volta in vita sua. Anche se a noi può sembrare strano, magari, che ci sia ancora chi non lo conosce)… ragion per cui, passo direttamente ad annunciarti che per il 1941 vado anch’io a ululare alla luna 😀
        Non che il film di Fleming mi piacesse di meno, intendiamoci… a dire il vero, da Mamoulian fino – almeno – a Stephen Weeks gli adattamenti cinematografici stevensoniani li ho sempre trovati azzeccati (pure quando si prendevano qualche libertà creativa) e, in genere, migliori di produzioni più recenti. Oggi come oggi, infatti, credo che il Jekyll migliore sia di matrice televisiva: ovviamente, parlo dell’aggiornata versione contemporanea ad opera di Moffat…

        1. IO credo che dovrebbero vederlo molti ragazzini che si avvicinano al cinema, conoscendone soltanto la storia recente. E capirebbero che i grandi film non sono mai e poi mai datati.
          Perché spesso c’è il timore di annoiarsi vedendo un film che si porta più di 80 anni sul groppone. E invece non è affatto così.

  5. che in fondo il grande cinema l’hanno fatto gli esuli tedeschi a Hollywood, c’è poco da dire: Lubitsch, Wilder, Murnau, Lang, Preminger, Siodmak, Zinnemann, Von Stenberg, Ophuls, Freund …

    1. Senza dimenticare anche grandi attori come l’ormai dimenticato Conrad Veidt.

  6. Lo vidi tramite una VHS ormai consuntissima, niente da aggiungere a quanto scritto da te Lucia, se non che molti registi contemporanei avrebbero da imparare da Fritz Lang.

    1. Molti registi contemporanei dovrebbero studiarselo a fondo. Il problema è che non lo fanno abbastanza.

  7. Capolavorone del Cinema, la prima volte che l’ho visto (Secoli fa) quella notte mi sognai Peter Lorre…sono cose che ti segnano. Bellissimo articolo complimenti!

    1. Vero, sono film che ti segnano e poi determinano la tua passione per il cinema.
      Grazie del commento 🙂

  8. E’ probabilmente la recensione più bella e genuina che hai scritto ❤
    M è un film che chi lo vede per la prima volta influenza enormemente il senso critico e la voglia di qualità che una persona può cercare in un film.

    E damogli de Uomo Lupo ora ❤

    1. Addirittura? Grazie! ❤
      Infatti dovrebbe essere proiettato nelle scuole. Così magari i ragazzi crescerebbero cercando cose belle.
      Daje con l'Uomo Lupo!

      1. Concordo, specie in quelle artistico con indirizzo video e fotografia, per capire LE BASI di come si fa un SIGNOR FILM

  9. A proposito di università, sto studiando proprio storia e critica del cinema giusto ieri mi sono messo a ripassare Lang. Sicuramente recupererò M, a cui il manuale non dedica molte righe. Mi hai invogliato 😉

    1. Oddio, è assurdo che un testo di storia e critica del cinema dedichi poche righe a M.
      Sono davvero perplessa! :O

      1. Eh, affronta i suoi lavori in maniera un po’ generale, dedicando più spazio al suo stile. Che poi si trova nel capitolo anni 20 europei, quindi è uno tra molti.

        1. Ma di chi è il manuale?

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