Iniziamo il 2015 con un guest post di Davide. Quando è stato il turno del 1990 per la mia rubrica Dieci Horror per Decennio, tra i film in lizza c’era Darkman, di Sam Raimi, sconfitto per pochi voti da Jacob’s Ladder. Chiacchierando con Davide, si è pensato di dedicare comunque un articolo al film. Ma con un taglio un po’ diverso. Spero ve lo godiate. E Grazie a Davide per averlo scritto.
Nascosto da qualche parte in questa storia c’è Orson Welles.
Abbiate pazienza, ci arriveremo.
Parte Prima – Una voce senza volto
Nel 1930, Street & Smith era la più popolare casa editrice di riviste pulp d’America, e aveva un problema: una delle sue testate, Detective Story Magazine, non vendeva.
Si decise perciò di sponsorizzare un radiodramma – episodi autoconclusivi di mezz’ora, basati sulle storie che venivano pubblicate sulla rivista. Ciascun episodio sarebbe stato introdotto da un narratore, un individuo misterioso capace di agganciare gli ascoltatori. Ma come chiamare questo personaggio fantomatico?
Il Detective?
L’Ispettore?
Perché non qualcosa di oscuro e misterioso? L’Ombra.
The Shadow.
Lo spettacolo debuttò nell’estate del 1930.
E andò bene – andò maledettamente bene.
Le vendite di Detective Story Magazine ebbero un’impennata insperata, ma a questo punto, i signori di Street & Smith scoprirono qualcosa di inaspettato: la gente in edicola non chiedeva l’ultimo numerodi Detective Story Magazine.
Tutti chiedevano la rivista di The Shadow.Ora, da Street & Smith non facevano soldi a palate vendendo riviste a dieci centesimi grazie alla loro fortuna – avevano una spietata mente commerciale, e sapevano riconoscere un buon affare a prima vista: e così nacque The Shadow Magazine, una rivista interamente dedicata alle avventure di quel tizio la cui voce si sentiva all’inizio dei radiodrammi.
Un romanzo completo ogni due settimane.
Per creare The Shadow, il personaggio che fino a quel punto era stato solo una voce, venne ingaggiato Walter B. Gibson, uno dei colossi della letteratura pulp, il tipo di persona che era capace di riversare su pagina un milione di parole all’anno (il suo record ufficiale è 1.680.000 parole in un anno) – scriveva fantasy, polizieschi hard boiled, horror.
Gibson era anche il principale ghostwriter di Harry Houdini, era stato un illusionista a sua volta, ed aveva pubblicato un buon numero di manuali per prestigiatori.
Gibson prese quella che era una voce, e la mise su pagina, aggiungendoci un po’ di magia, un po’ di misticismo orientale, e molta spudorataggine.
Le storie sarebbero state pubblicate con uno pseudonimo – Maxwell Grant.
Il primo aprile 1931 (cogliete la sottigliezza) usciva il primo numero di The Shadow Magazine.
Titolo del primo romanzo: The Living Shadow.
Ne sarebbero seguiti altri 324.
Il concept: Lamont Cranston è un miliardario che ha appreso le arti mistiche in Tibet, e che ora combatte il crimine, di notte, indossando un mantello nero.
E se vi suona familiare, sì – Batman l’hanno rubato da qui.
The Shadow è un vigilante che opera al margine della legge – tanto da essere ricercato sia dai gangster che combatte, che dalla polizia che lo ritiene nient’altro che un altro pazzo con due grossi pistoloni.
Il successo di The Shadow fu tale che sorsero imitatori, spin-off e gadget (famoso il “decoder ring” che si poteva trovare nei corn-flakes, col quale decifrare i messaggi segreti che l’eroe trasmetteva ai suoi fan sulla rivista), colmo dell’ironia, ne venne tratto un nuovo radiodramma, nel 1937. Interpretato da Orson Welles e dalla sua compagnia.
Welles ci mise la voce, e Gibson scrisse anche le sceneggiature radiofoniche.
Welles e Gibson divennero anche amici, condividendo la passione per la magia da palcoscenico.
Vennero stampati dei fumetti di The Shadow – e Gibson scrisse anche quelli.
Vennero tratti dei film, da The Shadow, prima una serie di corti, poi cinque pellicole tra gli anni ’30 e gli anni ’50.
William B. Gibson morì nel 1985.
Più o meno in quegli anni, Sam Raimi (fiero possessore di un decoder ring) decise che avrebbe fatto un film su The Shadow.
Non sarebbe stato così facile.
Parte Seconda – Una furia senza volto
Street & Smith chiusero i battenti nel 1961, le riviste pulp ormai messe in pensione dalla TV e dai paperback originals.
Nel 1959 l’azienda era stata acquistata (per 3 milioni e mezzo di dollari) da Condé Nast Publications, l’editore di Vogue, che l’aveva riciclata in editore di riviste a tema sportivo.
A Condé Nast, era palese, di The Shadow non importava nulla: i vecchi pulp erano roba da collezionisti e ragazzini sfigati. I diritti delle storie pubblicate sulle riviste precipitarono in un limbo legale fatto di rinnovi mancati, autori irreperibili, contratti spesso nebulosi.
Per fare il suo film su The Shadow, Raimi dovette guadare questa palude legale, cercando da qualche parte un detentore dei diritti che potesse concedergli l’uso del personaggio.
E Condé Nast sviluppò improvvisamente un profondo interesse per The Shadow.
E chiese una cifra assolutamente stravagante, si mise all’opera per far sparire dalla circolazione le copie sopravvissute dei vecchi pulp e, a tutti gli effetti, congelò il personaggio.
Molti ritengono che Condé Nast stesse giocando al rialzo – Raimi era il nuovo talento di Hollywood (ne riparleremo), e poteva essere una buona occasione per tirare sul prezzo. Ma a sorpresa, Sam Raimi decise di fare da sé.
Darkman è, in fondo, lo “shemp” di The Shadow.
Il termine, coniato proprio da Sam Raimi, deriva da un oscuro episodio riguardante la serie TV The Three Stooges (in Italia, I Tre Marmittoni). Quando l’attore che interpretava Shemp nel trio di protagonisti morì all’improvviso, la produzione lo rimpiazzò con un sosia, normalmente filmato con accorgimenti che non ne rivelassero troppo scopertamente l’identità, e in questo modo conclusero le represe della serie.
Lo shemp è questo, un rimpiazzo, una controfigura, un sosia che non assomiglia a chi dovrebbe sostituire, ma che attraverso qualche trucco più o meno sottile, funziona.
Sostitizioni, rimpiazzi, controfigure.
Darkman è la storia di tutto questo – Peyton Westlake è un medico che ha scoperto una formula per la pelle sintetica. Quando la mafia devasta il suo laboratorio e lo lascia per morto, il buon dottore riemerge come una figura storpia e senza volto, pronta a vendicarsi di coloro che la legge non è in grado di punire.
La sua arma è la sua invenzione, la pelle sintetica che gli permette di creare maschere perfette, di assumere qualunque identità – diventare lo shemp dei suoi nemici, per confonderli e distruggerli.
Ma la pelle sintetica si dissolve dopo 100 minuti passati al sole – Peyton Westlake è condannato a vivere nel buio.
Raimi ha affermato in varie interviste di essersi ispirato, fra gli altri, a Quasimodo de Il Gobbo di Notre Dame, e a The Elephant Man, per creare Darkman. Ma nella sua mostruosità, Darkman assomiglia molto anche al principale rivale di The Shadow sulle pagine dei pulp – The Spider, il vendicatore grottesco, gobbo e zannuto uscito dalla fervida immaginazione di Norvell Page (amico di Gibson, e un altro dei giganti del pulp).
Si sarebbe persino tentati di confrontare certe copertine di The Spider con certe scene del film di Raimi.
Film la cui lavorazione risultò particolarmente travagliata.
La Universal non si fidava di Raimi, considerato troppo giovane e sperimentale, con un oscuro passato da regista indie. Che ad aiutarlo ci fossero i fratelli Cohen e John Landis non rassicurava particolarmente la produzione. Allo stesso modo, il protagonista che Raimi aveva proposto, Bruce Campbell, venne considerato un rischio.
La parte toccò a quel punto a Liam Neeson, che si preparò trascorrendo qualche tempo in una clinica specializzata in gravi ustioni.
Ulteriori problemi sorsero dall’attrito fra Raimi e la protagonista femminile – Frances McDormand.
Raimi d’altra parte avrebbe voluto Demi Moore o Bridget Fonda per la parte.
Problemi infine vennero sollevati per la violenza e l’oscurità che gravano sulla pellicola.
Fedele ai vecchi canoni del pulp, darkman non è un eroe senza macchia, e anticipa per molti versi la personalità francamente inquietante del Batman di Nolan.
Certo, considerando ciò che ha passato (sevizie, torture, ustioni da acido), possiamo accettare che Westlake sia lievemente alterato psicologicamente. In questo, il personaggio risulta più sfaccettato e interessante del supereroe medio.
E ancora in continuità con le vecchie riviste, Darkman è un eroe fondamentalmente romantico nella sua alienazione – votato ad una missione della quale è prigioniero, escluso dalla comunità umana che difende, nell’impossibilità di vivere i sentimenti che prova per la donna che ama.
Il film viene costruito con tutti i trucchi di bassa tacca che Sam raimi ha sviluppato per i suoi horror a bassissimo costo, e risulta perciò un film straordinariamente diverso dalla normale produzione hollywoodiana degli anni 80/90.
La musica di Danny Elfman accentua questo aspetto da vecchia pellicola ritrovata – Darkman è un film degli anni ’40 girato negli anni ’90.
È quasi un arthouse movie, pieno di soluzioni inaspettate, scene impreviste, tagli e montaggi eterodossi.
Alla fine, compiuta la sua vendetta, Westlake/Darkman rinuncia alla donna che ama, e scompare fra la folla – la sua ultima trasformazione, il suo ultimo volto, è quello di Bruce Campbell, che nei titoli dicoda viene accreditato come “The last shemp”.
Avrebbero dovuto fare una serie TV, ma probabilmente a Hollywood mancò il coraggio.
Quattro anni dopo, Condé Nast cedette finalmente i diritti su The Shadow, e Russel Mulcahy produsse un’opera infinitamente inferiore alla somma delle sue parti.
Resta per gli appassionati il dubbio di come sarebbe stato quell’ideale The Shadow di Sam Raimi, con Bruce Campbell nel ruolo di Lamont Cranston (ma attenzione, Gibson ci rivelò a suo tempo che in realtà anche Cranston è uno shemp) e Bridget Fonda come Margo Lane.
Non lo sapremo mai.
Demi Moore molto più bella e forse più in linea con lo stlle noir anni ’40,Frances McDormand(moglie di uno dei Coehn)ottima attrice ma bruttarella,ma Raimi non aiutava in alcuni film nel montaggio i Coehn ho è il contrario?
il Barman di Nolan??
Auguri per il 2015
Mi sembra fosse il contrario, ovvero che fossero i Coen ad aiutare Raimi,
Buon 2015 a te 😉
Chiaramente intendeva il Batman di Nolan, un po’ di intuizione, suvvia.
Si ha capito che era un’errore di battitura io conosco solo il bar di Frank.
Ciao
Grazie per l’ospitalità – e mi scuso per gli errori di battitura 🙂
“Il Barman di Nolan” tuttavia mi affascina, in quanto credo sia il mio subconscio che esprime un giudizio su quella pellicola 😀
IN effetti penso sia sfuggito anche a me per lo stesso motivo 😀
Arrivando adesso non ho fatto in tempo a vedere il refuso nolaniano 😀 , ma mi complimento con l’ospite – di cui, tra l’altro sto leggendo or ora l’avvincente Blooper – per questo post su The Shadow e il suo “indiretto” figlio Darkman (quanto bene fece Raimi, arrivato a quel punto, a fare da sé)…
P.S. Nuovo avatar, nuovo primissimo piano e uno sguardo… alla Kathryn Bigelow 😉
Grazie per Blooper – spero ti piaccia.
Kathryn mi picchierebbe, ma io ti ringrazio 😉
Bellissimo post. Devo ancora riprendermi dal record di Gibson, una media di 4603 parole al giorno… @_@
Sì, è un dato che ha sconvolto anche me
4600 parole pubblicate, il che vuol probabilmente dire 8000 parole al giorno scritte.
E Gibson non era il più prolifico – Lester Dent probabilmente arrivò a picchi di 2 milioni di parole l’anno, e non fu l’unico.
Adesso credo sverrò, poi una volta rialzatomi ci rifletterò sopra alternando pessimismo e volontà, mescolati con del buon whisky
A questo punto sarebbe interessante il paragone anche con il film dedicato a The Shadows, L’Uomo Ombra del 1934 e il suo remake del 1994