Lisa Frankenstein

Regia – Zelda Williams (2024)

Quando uscì Jennifer’s Body, quindici anni fa (eh, lo so, siamo vecchi Chevalley, vecchissimi), l’ingombrate scopa in culo, che credevo fosse mio dovere di cinefila portare, mi ha impedito di comprenderlo subito. È dovuto passare parecchio tempo perché arrivassi a una consapevolezza che ha cambiato il mio atteggiamento nei confronti del cinema: non è che non mi era piaciuto, mi vergognavo che mi fosse piaciuto. Credetemi, è una cosa abbastanza comune e capita per tutta una serie di ragioni che hanno molto a che vedere con l’imposizione dall’alto del concetto di gusto e con il considerare inferiore a prescindere tutto ciò che, soprattutto in quegli anni, veniva percepito come femminile. Faccio un esempio non relativo all’horror: Legally Blonde è una commedia straordinaria, ma passa per una fesseria perché è rivolta principalmente a un pubblico di giovani donne. 
Il flop commerciale che è stato Lisa Frankenstein, scritto da Diablo Cody come Jennifer’s Body, sta lì a sottolineare che, nel corso di questi quindici anni, le cose non sono cambiate poi così tanto. Il mondo non è ancora pronto. 

Ambientato nel 1989, Lisa Frankenstein è la storia di una liceale (Lisa, appunto, interpretata da Kathryn Newton) che ha da poco perso la madre, assassinata da un killer introdottosi in casa, e che va a vivere con il padre e la sua nuova moglie nel solito paesuncolo della provincia americana in culo a bifolcolandia che tante gioie ha dato agli amanti dell’horror dagli anni ’20 a oggi. Lisa non si inserisce tanto bene nell’ambiente scolastico, non è popolare come la sua sorellastra cheerleader Taffy (la vera sorpresa del film, Liza Soberano), si sente invisibile, poco capita, non riesce a farsi nuovi amici e, come se non bastasse, ha un rapporto molto conflittuale con la matrigna (Carla Gugino). Il passatempo principale di Lisa, naturalmente attratta da tutto ciò che è macabro e strambo, è recarsi in un piccolo cimitero sconsacrato vicino casa e passare lì le giornate. Si sofferma soprattutto sulla lapide di un suo coetaneo morto nel XIX secolo e, un giorno, esprime il desiderio di essere con lui. Qualcuno prende troppo alla lettera questo desiderio e, durante un temporale, il cadavere del giovanotto viene rianimato e si presenta alla porta di Lisa, con conseguenze che tutti possiamo facilmente immaginare. 

La prima cosa notevole, in questa deliziosa rom-com horror, è tutto il suo comparto estetico; di film ambientati negli anni ’80 ne abbiamo visti a bizzeffe, da quelli nostalgici a quelli che, al contrario, cercavano di riportare in vita il reale grigiore di quel periodo storico. Lisa Frankenstein non va in nessuna delle due direzioni: da un lato non è un film nostalgico, perché non cerca mai di farci provare rimpianto per i bei tempi andati; dall’altro usa tutto l’armamentario di luci, colori e abiti dell’epoca per caratterizzare la protagonista e il suo mondo interiore. Lisa vive isolata all’interno di una versione fantastica e cinematografica degli anni ’80, tra rosa fluorescente e abiti eccentrici, mentre l’esterno è dominato da toni sbiaditi e squallore quotidiano. È un’operazione simile a quella condotta a suo tempo da Tim Burton in Beetlejuice o ne La Sposa Cadavere, con il macabro che si appropria di una dimensione sgargiante e vitale. Nel film di Williams la separazione tra Lisa e il resto del mondo si fa sempre più marcata con l’avanzare dei minuti, il contrasto diventa ogni scena più insanabile: la fotografia cambia e si adatta allo stato della protagonista, ogni cosa è più accesa e più neon, e in questo modo lo stile del film segue passo dopo passo l’evoluzione di Lisa e della sua personalità che comincia a esprimersi liberamente. Attraverso l’omicidio, è ovvio. 

Se la parabola di Lisa non è niente di nuovo e la rende ultima discendente di una dinastia di cui fa, per forza di cose, parte anche Jennifer, è abbastanza nuovo il modo in cui Cody la sviluppa e la porta a compimento. C’è, prima di tutto, un co-protagonista maschile che non pronuncia una sola parola per tutta la durata del film. Il bravissimo Cole Sprouse, la nostra creatura rimontata da Lisa prendendo qua e là pezzi sparsi delle sue vittime, è poco più di un accessorio nella corsa folle di Lisa per essere se stessa. È, a suo modo, una storia d’amore, ma è molto anomala, e non solo perché è sempre giocata sul filo del ridicolo e, in alcune circostanze, del grottesco, ma perché sceneggiatura e regia lavorano principalmente sullo svuotamento satirico della nozione di romanticismo così come ci è stata impartita sin dalla più tenera età. Cody ci aveva già provato con Jennifer’s Body, ma erano tempi diversi, era tutto molto più complicato. Qui si vede che ha le mani libere e si prende anche qualche piccola rivincita o compie quel paio di aggiustamenti che risultano molto interessanti se si fa un paragone con il suo unico horror precedente. 

Tanto per cominciare, qui non esiste l’elemento di rivalità femminile che invece era il perno del rapporto d’amore/odio tra Jennifer e Needy. E ci tocca parlare di che personaggio straordinario sia Taffy, la sorellastra di Lisa, che in un film di dieci anni fa avrebbe passato tutto il tempo a bullizzarla per poi fare una morte atroce, e che qui, al contrario, è l’unica persona (viva, se non altro) a volere sinceramente bene a Lisa e a offrirle supporto e affetto in ogni occasione possibile. Taffy, cheerleader e ragazza popolare della scuola, è la dolcezza fatta persona, la sorella maggiore ideale che tutte noi abbiamo sempre desiderato e, anche nel momento in cui il film sembra voler mettere le due ragazze una contro l’altra, è soltanto una falsa pista. La relazione tra Lisa e Taffy è, a livello emotivo, la cosa più riuscita e sentita del film, è il suo vero cuore, quasi mi verrebbe da dire, la sua vera love story. 

Quindici anni fa, a Lisa sarebbe stato concesso di scatenare il panico per una quarantina di minuti, fare la sua camminata a ralenty nel corridoio della scuola (la fa), mettere il sacro terrore di Dio addosso ai suoi coetanei, soprattutto maschi, e poi venire sconfitta per ripristinare lo status quo e per mandare tutti a casa tranquilli, perché il mostro femmina non era cosa da lasciar scorrazzare libera anche dopo i titoli di coda e meritava comunque una punizione per la sua condotta, anche se il pubblico aveva fatto il tifo per lei dall’inizio alla fine. Oggi, per fortuna, non esiste più questo obbligo e a Lisa viene riservato un destino differente. Non vi dirò quale per ovvi motivi, ma più o meno da The VVitch in poi avrete capito dove vanno a parare storie di questo tipo.
Come nella migliore tradizione quando si tratta di horror scritti da Diablo Cody, Lisa Frankenstein è andato male in sala e anche alla critica è piaciuto poco. Cerchiamo di non aspettare altri 15 anni perché venga rivalutato. Per quanto mi riguarda, è già un nuovo classico della commedia horror, nonché il mio comfort movie in questo fosco 2024. 

9 commenti

  1. Paolo Bernardi · · Rispondi

    che piacevole sorpresa leggere nuovipost.

    ti si augura ogni bene.

    se e quando vuoi i tuoi consigli horror filmici sono sempre un prezioso faretto.

    1. Grazie! Sono molto contenta anche io di essere tornata!

  2. Blissard · · Rispondi

    Piaciuto anche a me, ma onestamente non avevo dubbi sarebbe stato un flop, è un film che frustra ogni aspettativa di chi voglia godersi una tradizionale commedia, un tradizionale teen horror e una tradizionale comedy horror. La macabra ironia è più vicina a John Waters che a Tim Burton e non c’è il classico momento “rivincita dei nerds” nel quale gli “strambi” si scoprono migliori degli altri.

    Bella come sempre la tua rece.

    (mai capito il motivo di tutto questo odio nei confronti di Jennifer ‘s body quando anche solo la singola scena che la vede apparire, “cambiata”, a casa dell’amica è più perturbante ed elegante di gran parte delle migliori scene dei teen horror usciti negli ultimi 20 anni)

    1. Ai tempi della sua uscita al cinema venne fatto a brandelli. In parte è stato a causa di scelte di marketing molto sbagliate da parte della produzione, in parte proprio per l’effetto Lisa Frankenstein: era un film che nel 2009 frustrava le aspettative.

  3. Giuseppe · · Rispondi

    Non l’ho ancora visto ma è un titolo che mi ben dispone, e io mi fido delle TUE recensioni, mica di quelle dell’ottusa critica generalista 😉

  4. Volevo recuperarlo, ora mi hai convinto a farlo

  5. Jason13 · · Rispondi

    Film che mi ispirava, anche se ne ho letto pessime recensioni in rete. Ecco, diciamo che della tua recensione mi fido di più.

    P.s: ritornano i tuoi post sul blog, e come per incanto Neve Campbell annuncia di salire a bordo del nuovo progetto per Scream 7 per la regia di Kevin Williamson. Cosa chiedere di più? (Beh forse una cosa ci sarebbe…il ritorno di Paura & Delirio (incrociamo le dita!)

  6. Bentornata! Allora non è solo Miyazaki a non poter fare a meno del suo grande amore. Mancava il tuo approccio ideologico nello spiegare il successo o meno di un film (Black Christmas del 2019 su tutti). Ma questa è solo la mia idea (perché passino i cvitici con la puzza sotto al naso che lo stroncano ma le nuove generazioni fortunatamente son molto più aperte, “The Times They Are A-Changin'”, e se un film PG13 non incassa beh…). Lo dico col più sincero rispetto del tuo punto di vista.

  7. Bello. Ma anche triste, poco rassicurante (come spesso la vita). Pure commovente, liberatorio… Almeno, a me ha fatto (anche) questo effetto. Non è un film così facile probabilmente.

    Jennifer’s Body è fighissimo.

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