Bussano alla Porta

Regia M. Night Shyamalan (2023)

Premetto di non aver letto il romanzo di Paul Tremblay da cui è tratto questo film, quindi non posso azzardare paragoni. Fatemi quindi sapere voi quante libertà si è preso Shyamalan nel metterlo in scena, sempre che se ne sia prese. Quello che posso dire, riferendomi soltanto al film, è che Knock at the Cabin è un episodio anomalo nella filmografia del regista: si tratta di una vicenda, per quanto bizzarra (ma nel campo del cinema fantastico tutto è bizzarro), molto lineare, nella quale manca il marchio di fabbrica del resto delle sue opere, il famigerato Shyamalan twist. È anche la cosa migliore che Shyamalan fa da almeno sette anni a questa parte, dopo lo sfondone di Old e quel film fiacco, stanco e poco convinto di Glass. Credo sia proprio perché, in questo caso, è costretto a operare all’interno di una cornice narrativa predeterminata, con già tutti gli appuntamenti del racconto decisi da altri, e si può occupare, semplicemente, di quello che gli riesce davvero bene: l’estetica e l’atmosfera. 

La bellissima e felicissima famiglia formata da papà Eric (Jonathan Groff), papà Andrew e dalla piccola Wen sta passando le vacanze in una casa sul lago, quando quattro sconosciuti, armati con degli attrezzi molto strambi, si presentano alla porta e chiedono di entrare. Non hanno un atteggiamento minaccioso, nonostante uno di loro sia quell’armadio di Dave Bautista, dicono di voler solo parlare, ma che non esiteranno a introdursi in casa con metodi poco ortodossi se i due uomini non apriranno subito la porta; una volta dentro, immobilizzano Eric e Andrew e spiegano loro il motivo per cui sono lì: delle visioni li hanno resi edotti dell’imminente fine del mondo, che si abbatterà sull’umanità tramite una serie di piaghe. L’unico modo per evitarla è che la famiglia ora prigioniera decida di sacrificare volontariamente uno dei suoi membri. In altre parole, Eric deve uccidere Andrew o viceversa, pena la morte di ogni essere umano sul pianeta.

Una premessa del genere, di suo molto interessante, può essere declinata in infinite modalità; è in parte un home invasion, in parte un film sull’attesa di una presunta apocalisse che non sappiamo bene se si verificherà o no, in parte un thriller psicologico che ci pone di fronte all’annoso dilemma tra bene individuale e collettivo. Tutto ciò che accade, dal minuto uno al minuto 100 è prevedibile, si sa in anticipo, è leggibile nel modo in cui Shyamalan imposta il suo discorso. Fa finta per circa due secondi di instillare dubbi nello spettatore, ma poi carica a testa bassa e si dirige esattamente dove era ovvio che si dirigesse senza voltarsi indietro un secondo. 
Ora, tutto sta a voi, se giudicate questo un difetto a priori o se vi interessa fino a un certo punto di essere sbalorditi dagli sviluppi narrativi e preferite godervi altri aspetti di un film. Perché il fornire tutti gli elementi interpretativi sin da subito non è un errore e non è nemmeno pigrizia, non da parte di uno come Shyamalan. È una scelta, che magari è derivata dal testo di Tremblay, magari no, ma ha un senso preciso nel racconto, che si focalizza non tanto sull’effetto sorpresa o sui capovolgimenti di campo, ma sul montare di un’angoscia che si fa sempre più esistenziale, sempre più profonda mano mano che davvero bisogna decidere se sacrificare la nostra felicità o la vita su questo pianeta. 

Se vi pare che la metafora sia leggermente urlata è perché in effetti lo è. Ma è anche vero che, su certe tematiche, forse è arrivato il momento che qualcuno ci urli in faccia:  Shyamalan, che si può accusare di essere stato in passato farraginoso e confuso, non ha tuttavia mai nascosto di avere molto a cuore (dai tempi di Lady in the Water) il discorso su una fine del mondo che ci appare sempre meno distante, a patto di non fare qualche sacrificio, anche doloroso. Certo, il linguaggio del cinema fantastico estremizza tutto, è netto, è anche schematico, e quindi questo sacrificio diventa una questione di vita o di morte. Ma si tratta, appunto, di una metafora, anzi, in questo caso di una vera e propria allegoria, e Shyamalan la porta avanti, dall’inizio alla fine, con una coerenza granitica.
Bussano alla Porta è un film messianico, mistico, un film che abbraccia la presenza di un qualcosa più grande di noi che ci impone di compiere scelte impossibili. Abbandonando ogni forma di ambiguità, Shyamalan ci invita a prenderci le nostre responsabilità. Che lo faccia tramite una deriva da predicatore pazzo, ecco, forse è la cosa che ho apprezzato meno del film, ma anche qui, non è nuovo a questo tipo di cose, il buon M. Night. 

Da un punto di vista tecnico e stilistico, invece, Knock at the Cabin è un saggio di bravura: correggetemi se sbaglio, ma mi sembra che Shyamalan non abbia mai girato in maniera così claustrofobica, avendo a disposizione un solo ambiente per quasi tutta la durata di un film. Sì, c’è l’esempio di The Visit, ma quello era un found footage, aveva proprio una grammatica differente. Qui c’è un film, girato alla maniera tradizionale, che si svolge in un’unica stanza (a parte qualche flashback e un paio di brevi incursioni all’esterno). Da lì, la realtà di ciò che sta accadendo al mondo arriva soltanto tramite lo schermo televisivo, ed è nelle sequenze dedicate ai disastri che, a ogni diniego da parte di Andrew ed Eric di compiere il sacrificio richiesto, che si abbattono sull’umanità. che Shyamalan scatena la propria inventiva e la propria capacità di suscitare delle reazioni emotive viscerali e primarie nel pubblico. Cosa accade non sarò di certo io a dirvelo, ma c’è una scena, su una spiaggia, che credo potrebbe popolare i vostri incubi per parecchio tempo. 

Shyamalan è, al solito, un ottimo direttore di attori: Bautista fa un figurone, considerando che molto spesso i suoi primissimi piani riempiono l’intera misura dello schermo e la sua faccia di granito è utilizzata dal regista come mai nessun altro aveva fatto prima, neppure Villeneuve in Blade Runner. Continua a essere, a mio modesto parere, un non attore, ma a seconda di chi si trova dietro la macchina da presa, lo si può valorizzare o no. Shyamalan lo valorizza e gli dà un ruolo che gli calza a pennello. Il resto del cast è ineccepibile. Mi ha impressionata soprattutto Abby Quinn, già vista di recente in Torn Hearts, ma tutti riescono a esprimere un senso di terrore primordiale che è in effetti la cifra emotiva dominante del film. 
La regia di Shyamalan è sempre elegantissima, preziosa, con dei movimenti morbidi e fluidi e un ritmo interno alle scene che funziona col cronometro. A differenza di Old, qui non ci si perde in dialoghi imbarazzanti, non si scivola mai nel ridicolo involontario: Bussano alla Porta è un film sui binari, dritto e veloce. 
Se siete fan di vecchia data di Shyamalan, credo che apprezzerete questo suo ultimo sforzo creativo, nel gestire una materia non sua e appropriarsene; se, come me, nei suoi confronti avete sempre avuto un atteggiamento un po’ ambivalente, allora vi piacerà proprio perché dimostra di sapersi allontanare da terreni familiari e fare un qualcosa che non ci si aspetta da lui. 
Comunque, da vedere in sala. 

16 commenti

  1. Voglio vederlo assolutamente al cinema. Spero veramente che rimanga il più a lungo possibile perché in questi giorni purtroppo sono parecchio occupato. E diciamo che la tua recensione aumenta questo mio desiderio di volerlo vedere in sala.

    1. Sì, io credo che visto in sala abbia tutto un altro impatto. Spero tanto che tu riesca!

      1. Lo spero anch’io. Grazie mille e buona giornata!

  2. Quindi niente colpo di mano sul finale? Direi una scelta interessante dopo tutti questi anni passati nel voler capovolgere la situazione dei suoi film. Non so se lo vedrò al cinema però lo vedrò sicuro prima o poi. Ma cosa intendi per “sfondone di Old”?

    Comunque reputo Bautista il miglior wrestler che è diventato attore in carriera. Hogan e The Rock (il primo, intendo pre-ego) non sono mai arrivati al suo livello.

    1. Intendo che Old è uno dei punti più bassi mai raggiunti in carriera da Shyamalan. Io sono uscita dal cinema imbarazzata, ma sono contenta che si sia ridimensionato e ripreso.

  3. Visto in sala 3 giorni fà,è stata una bella esperienza,almeno dal mio punto di vista l’ho interpretato come un film in qui l’altruismo ha la meglio sull’odio nei confronti dell’umanità!

    1. Sì sì, è una bella esperienza il film, assolutamente.

      1. 👍

  4. Non ho visto ancora il film e letto il libro ma ho letto che il finale è completamente diverso. Su YouTube”Spookyastronauts”, che tu conosci fa una disamina delle differenze. Qua il link:

    1. Ecco, appunto. Non vorrei guardarlo prima di leggere il libro, perché poi magari mi spoilero la lettura. L’ho comprato giusto ieri.

    2. Se davvero il finale è diverso, tanto meglio!
      Nel libro mi ha deluso.

  5. Ho visto ieri un film molto lontano dall’horror, Aftersun, che mi ha fatto venire in mente quello che tu e Marika dicevate a proposito di Hellbender e di Everything ecc: è un’opera prima diretta da una ragazza dell’87, ed ha una consapevolezza nell’uso del linguaggio filmico e pure nel descrivere il rapporto padre figlia che lascia a bocca aperta!
    Sta passando in sala come una meteora, ma si trova già su una piattaforma di streaming

  6. Ero un ragazzo quando uscii dal cinema dopo aver visto Unbreakable: ero rimasto un poco deluso perché non ritenevo che il twist finale fosse all’altezza de Il Sesto Senso; il tempo mi ha detto che il cinema di Shyamalan non è fatto di colpi di scena per épater le bourgeois né per giocare a confondere il pubblico (sebbene spesso lo faccia) con movimenti e incubi irrazionali che a volte (molte) difettano di coerenza e logica. Con Shyamalan si è sempre portati a vacillare a meno che tu non ti sieda in poltrona per compiere un atto di fede. Ecco, la fede. La fede è la vera ossessione del regista indiano. Già da Unbreakable, l’ossessione e la fede – declinata nei più diversi temi: dalla sua perdita, al nostro metterla alla prova – si divora e motiva ogni scelta dei protagonisti. È un compito gigantesco quello che si prefigge Shyamalan scrivendo e dirigendo, spesso portandolo a sbandare dentro lavori e scelte di sceneggiature confuse e deficitarie al punto che non è sufficiente la fede nel suo cinema (o sospensione dell’incredulità) per assecondarlo. Ma bisogna essere indulgenti. Perché più mistico che religioso Shyamalan ci dice che se il mondo tutto è un essere pulsante e vivo (come la spiaggia di Old) è allora vero che la sola razionalità con la quale ci muoviamo nel labirinto del mondo non è più sufficiente per interrogarlo, decifrarlo e comprenderlo ma si fa necessario il compimento di un atto gratuito. Un atto di fede che spesso si traduce in gesti e scelte che comportano anche una certa dose di loica follia: dopotutto se abbiamo imparato che si può sacrificare Isacco o un cervo come ci racconta la religione o la mitologia perché non far deragliare un treno è compiere una strage. Shyamalan è un visionario, il mistico per a portata di schermo per noi occidentali e non riesco a capire se devo temerlo o ammirarlo.

  7. Uno Shyamalan apocalittico che, oltre ad essere diretto e lineare, rinuncia pure al twist finale? Interessante e senza dubbio nuovo per un regista come lui (e forse un passo avanti inevitabile, nel doversi lasciare alle spalle la non memorabile prova di Old). Non sono sicuro di poter riuscire a vederlo in sala, e sarebbe un peccato, ma ad ogni modo lo recupererò…

  8. Shyamalan per me è stimolante perché mi stupisce nel bene e nel male, mi suscita delle domande da spettatore e non solo.
    Non ci sono film che amo davvero tra i suoi, anche se alcuni li ho apprezzati (non li ho visti ancora tutti).
    A me Old, ad esempio, è piaciuto molto (e ad un certo punto mi ha pure commosso).
    E adesso “Bussano alla porta” mi incuriosisce non poco…
    Che bello il cinema!
    Besos!

  9. Visto e… niente: forse non è il film per me (ma sulla disamina non ho niente da dire: inquadra molto bene).
    Però… a questo punto Shyamalan mi incuriosisce ancora di più e mi piacerebbe tentare di capire meglio il suo lavoro. Mi affascina ma non mi colpisce mai fino in fondo. Devo capire se dipende dalle sue scelte di sceneggiatura, dalla poetica… Old, ad esempio, mi ha colpito (tranne il finale); Signs uguale (tranne il finale)… c’è qualcosa di molto umano sotto l’inquietudine, l’orrore… Anche Unbreakable mi è piaciuto… Forse quando si sofferma sui personaggi mi prende, le idee di base mi prendono… ma mi perde quando aggiunge troppa morale, troppa filosofia, troppa roba di questo tipo? E i famosi twist non li ho mai trovati entusiasmanti (però è un problema mio). Boh, ci devo pensare… Ad esempio, “E venne il giorno” mi pare non goda di molta stima, eppure per me è bellissimo. In ogni caso quando esce un suo film ho comunque voglia di vederlo.
    Intanto lascio sedimentare…
    Besos!

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