Pillole perché ne sentivate tutti la mancanza

Era da un bel po’, dalla fine del 2018, per essere precisi, che non vi tediavo con le mie pillole di cinema horror, la rubrichetta garrula e lieta in cui analizziamo brevemente i film che non ho voglia o tempo di recensire o per cui bastano poche parole, cosa da non considerarsi affatto come un segnale della loro bassa qualità. Non sempre, almeno.
Questa volta, ci occupiamo di ben quattro film indipendenti, tra cui un’antologia, quindi sbrighiamoci che non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere.

Cominciamo con il reboot, o meglio, il seguito diretto del primo capitolo di una tra le peggiori saghe della storia dell’horror, roba che persino il capostipite è spazzatura, per quanto la nostalgia rischi di farcelo sembrare migliore di quello che è.  Parlo di Leprechaun Returns, per la regia di Steven Kostanski, un film per la tv andato in onda sul canale SyFy in occasione della Festa di San Patrizio (ovviamente). Sono la prima a essere stupita dal fatto che sia un buon film. Oddio, forse buon film è un’iperbole, ma è infinitamente superiore a qualunque Leprechaun lo abbia preceduto, contiene alcuni tra gli omicidi migliori dell’anno e ha una protagonista, Taylor Spreitler, che brilla di luce propria. Merito di Kostanski, che non è proprio l’ultimo arrivato (The Void, Manborg) e riesce a confezionare un piccolo B movie dove non sbaglia un colpo. Il leprecauno (Linden Porco) è una decina di volte più inquietante e crudele del suo predecessore e, nonostante sia un film costato quattro lire, funziona, intrattiene, disgusta e strappa più di una risata. Bravi tutti, non me l’aspettavo proprio.

Passiamo all’antologia, ovvero The Field Guide to Evil, finanziata tramite crowfunding, che mette insieme registi provenienti da diversi angoli del pianeta, tutti intenti a raccontare una leggenda del loro folclore locale.
È cosa nota ai più, che quando c’è Peter Strickland in un mucchio di registi, se li rigira tutti intorno a un dito e se li porta a spasso col guinzaglio. E in effetti è così: il suo segmento, l’ultimo, dedicato alla Romania, è di gran lunga il migliore e il più originale; girato come un film muto, con tanto di movimenti a scatti e didascalie al posto dei dialoghi, è un breve saggio su come si possa raccontare una storia in pochi minuti lasciando un ricordo indelebile nello spettatore.
Per il resto, molto buoni gli episodi austriaco, tedesco e statunitense, mentre sono più deboli quello indiano e turco, diretto da Can Everenol, che io ve l’avevo detto che era una mezza fregatura, ma voi niente, non mi ascoltate mai. L’unico davvero inguardabile, a mio parere, è quello greco, ma so che ad alcuni è piaciuto tantissimo e quindi giudicate voi. Nel complesso un film interessante, pur con gli alti e bassi tipici delle antologie.

È il film che ha fatto vincere un BAFTA scozzese alla mia amata Shauna Macdonald, che dai tempi di The Descent non è invecchiata di un giorno, ma purtroppo non ha mai avuto tante occasioni per brillare. Finalmente, il giovane regista Paul Raschid costruisce intorno a lei questo White Chamber, una specie di monumento alla sua bravura. Il film è una distopia ambientata quasi del tutto all’interno di un laboratorio: in una Gran Bretagna prossima ventura, funestata da una guerra civile, una donna si sveglia nella camera bianca del titolo, senza sapere come sia finita lì. Una voce distorta la interroga e la tortura, perché la camera è un raffinatissimo meccanismo di tortura. Chi è quella donna? Una semplice impiegata come dice di essere o qualcuno di molto più importante? E chi è l’uomo che la sta sottoponendo a tutto questo?
Girato con uno stile glaciale e geometrico, White Chamber è un’appassionata riflessione sulla guerra, sulle sue vittime e i suoi carnefici, spesso con ruoli intercambiabili, su quanto sia impossibile parlare di vittorie o sconfitte, su dove possiamo spingerci guidati dall’odio e dalla vendetta. Uno dei migliori film distopici degli ultimi anni, che di film distopici sono pieni zeppi, proprio perché non concede troppo spazio all’ambientazione, ma si concentra sui personaggi e sugli effetti che la guerra civile, e il conseguente regime dittatoriale, hanno avuto su di loro. Bellissimo.

 Di Daniel Robbins, avevo visto qualche anno fa Uncaged, che mi aveva fatto venire voglia di cavarmi gli occhi con un punteruolo arrugginito. Non avevo quindi grandi speranze in Pledge, anche se ne leggevo bene un po’ dappertutto, ove per dappertutto s’intendono i siti specializzati in horror indipendente.
Comincia come una commedia adolescenziale, con tre sfigati all’ultimo stadio che cercano in tutti i modi (sono matricole al college) di entrare a far parte di una confraternita e collezionano solo rifiuti. Quando stanno per perdere le speranze, una ragazza li invita a una festa in una villa un po’ fuori mano. I tre ci vanno, passano una serata fantastica e apprendono che è la sede di un club esclusivo. Il giorno dopo, viene detto loro che, per diventare membri del club, devono superare un rito di iniziazione della durata di 48 ore. E lì finisce la commedia e comincia l’horror, con alcuni momenti (e una morale di fondo) davvero agghiaccianti. Pledge è un gran bel film, che porta alle estreme conseguenze la tradizione dei college americani per cui i nuovi arrivati devono passare attraverso umiliazioni e vere e proprie ordalie per entrare nelle confraternite. Sotto certi versi, potrebbe ricordare il fu torture porn, ma si spinge molto oltre e, anche se ricalca la struttura di Hostel (prima parte comica, seconda parte horror), ha delle implicazioni tragiche e oscure che il suo modello non ha mai avuto.

 

10 commenti

  1. Blissard · ·

    Confermo, a me mancano le tue pillole e sono piacevolmente sorpreso quando tornano.
    Ho visto solo The Pledge, che mi è piaciuto più di quanto mi aspettassi.
    Davvero non ti convince Can Everenol? Io ho visto Baskin e l’ho trovato insensato ma sanguigno e potente, Housewife un pò troppo pulitino ma non malaccio.

    1. The Pledge è una sorpresa che davvero non mi aspettavo. L’ho iniziato a vedere solo perché non avevo di meglio da fare, non perché volessi vederlo davvero. E invece è proprio un bell’horror.
      Per quanto riguarda Evrenol, Baskin non mi era dispiaciuto, ma neanche mi ero strappata i capelli come avevano fatto tanti. Di Housewife non ricordo un solo fotogramma, tanto l’ho trovato insulso.

  2. Alberto · ·

    Le pillole sono sempre benvenute, ma non giriamoci intorno: qua si aspetta un post e qualche lacrima sulla stagione conclusiva di Z Nation (che al momento mi sembra la migliore di tutte, mannaggia a me che volevo abbandonare a metà della terza).

    1. Tu pensa che io ancora devo cominciare a vederla, perché so che è l’ultima e non voglio che finisca. pensa come sto messa. Però c’è lo spin-off su Netflix, forse vale la pena!

      1. Alberto · ·

        Appunto! Coraggio, comincia…

        1. Sto per cominciare!

        2. Ho visto i primi tre episodi: è sempre una delle serie più intelligenti in circolazione.

          1. Alberto · ·

            E appassionanti.

  3. Giuseppe · ·

    Oh, bene, son tornate le pillole di cinema! E che ti vedo per primo? Un Leprecauno che funziona, finalmente! Mi verrebbe da dire che ce n’era bisogno per risollevare la saga, se non fosse che il livello della medesima non si è mai sollevato da alcunché e quindi è meglio dire “per ricominciare la saga”: da recuperare poi White Chamber e anche Pledge, nonostante il pessimo precedente di Robbins non mi abbia esattamente fatto montare la frenesia di vederlo. Però, visto che qui sembra aver imparato la lezione… e, nonostante tutto, provo ancora qualche curiosità nei confronti di Everenol (che con Baskin ha forse promesso più di quanto non fosse poi davvero in grado di mantenere) 😉

    1. Ho iniziato a guardare Leprechaun Returns solo perché volevo vedere cosa aveva combinato il regista di The Void (che pure non mi aveva fatto impazzire) e devo ammettere di essere ancora sbalordita. Forse perché avevo aspettative talmente basse che anche un film decente mi è sembrato più che buono, non lo so. Però non credo sia così, non del tutto, almeno.

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