Me Too

Ci ho pensato a lungo prima di scrivere il post che state leggendo (post su cui, mi spiace, non potrete commentare) e neanche volevo scriverlo. Ma poi mi sono detta che questo blog non avrebbe senso di esistere, se ogni tanto non comparissero sulle sue pagine articoli di questo tenore. Un blog, gestito da una donna, che parla di cinema non può far finta di niente davanti a quello che sta accadendo nelle ultime settimane in quel di Hollywood, non può semplicemente mettere la faccenda in un angolino e continuare a parlare di motoseghe e fantasmi.
I fatti li conoscete tutti, non è il caso di rivangarli, non è il caso di ripercorrere la triste sequenza di accuse piovute addosso a una delle figure più potenti del cinema americano, accuse che (ribadiamolo, non si sa mai), il suddetto potentissimo uomo non ha mai negato, accuse che sono arrivate alla spicciolata, un po’ per volta. Dopo che la prima ha parlato, si sono rotti gli argini e c’è stata un’inondazione di testimonianze che vanno dal disgustoso all’atroce, che sono difficili da leggere restando calme, perché fanno male, perché la prima reazione umana di fronte al pensiero di tutte queste donne terrorizzate, ricattate e abusate è quella di correre verso la prima tazza del cesso disponibile e vomitare. E poi, una volta esaurita la nausea fisica, dovrebbe scattare un forte sentimento di empatia.
Dovrebbe.

E invece no: nel corso degli ultimi giorni ho appreso con sgomento che questa serie di denunce non ha suscitato comprensione, ma al massimo un lieve fastidio nei confronti di queste “attrici ricche e famose che frignano anni dopo averla data per fare carriera”. Come se ci fosse una data di scadenza per rivelare di essere stata vittima di un abuso, come se fossimo tutti diventati giudici della dignità altrui, come se il solo fatto di fare un mestiere che ti mette sotto i riflettori giustificasse le molestie perpetrate ai tuoi danni.
E non esistono i distinguo, non esiste il “io non giustifico ma…”, esiste solo lo squallore di posizioni indifendibili, la meschinità nel voler fare una specie di classifica del dolore, l’incapacità di mettersi nei panni di una ragazza giovanissima che vede quell’orrendo pachiderma metterle le mani addosso e non riesce (perché non ci si riesce, il più delle volte) a reagire.
Quasi nessuno sapesse che la prima reazione, quando capita una cosa del genere, è la vergogna. Quasi nessuno sapesse che, anche nei casi di stupro, molto spesso non si arriva alla denuncia. Quasi nessuno sapesse che però, quando finalmente una persona trova, non so neanche io dove, il coraggio di parlare, scatta una reazione a catena, perché all’improvviso ci si sente meno sole e si ha meno paura. Quasi nessuno sapesse che la molestia sessuale eretta a sistema genera un muro di omertà e terrore. Quasi nessuno sapesse che, quando c’è di mezzo il potere vero, il silenzio è l’unica opzione che appare possibile a chi questo potere lo subisce.
Soprattutto, sembra che nessuno sia a conoscenza del fatto che ci hanno impartito per secoli la lezione che bisogna stare zitte e buone, accettare e far finta di niente, perché è così che va il mondo, perché è normale e, in fin dei conti, la colpa è tutta nostra.

Il modo in cui molti si sono avventati come iene e avvoltoi vittime che in questi giorni stanno facendo venire alla luce (ed era anche ora) uno dei peggiori aspetti sommersi della scintillante Hollywood, dimostra che forse, a tacere fino a questo momento, non hanno fatto poi così male quelle donne.
La logica perversa alla base degli insulti, del minimizzare diffuso, del “che vuoi che sia, un pompino non ha mai fatto male a nessuno”, del “poteva pensarci prima”, del “è ricca, che altro vuole?”, conduce soltanto ad altra omertà e ad altro silenzio. Peccato che anche parecchie sedicenti femministe non se ne siano accorte e abbiano partecipato con entusiasmo a questa celebrazione collettiva della rape culture, che per fortuna non esiste ed è un’invenzione di noi donnette isteriche. Complimenti.
Ora, di fronte allo spettacolo di umano sfacelo cui ho avuto la sfortuna di assistere in questi giorni, l’unica cosa che mi sento di fare è capire come posso comportarmi io, per non esserne complice. Perché è vero che ho un piccolo blog che si cagano in quattro, ma il solo fatto di pretendere di mettermi qui e scrivere mi rende responsabile, e nei confronti dei miei lettori, e nei confronti di me stessa.
E, ve lo assicuro, siete responsabili anche voi quando scrivete uno stato su Facebook affermando candidamente che quei “vip” hanno poco di che lamentarsi, che c’è gente che viene picchiata e uccisa, quando twittate con tanta sagacia su quanto è “gnocca” quell’attrice e su che bel culo ha quell’altra, quando intitolate una recensione su Il Gioco di Gerald “non c’è cosa più divina che ammanettare la Cugino” (non me lo sto inventando), quando scrivete i vostri post su un vecchio film come Humanoids from the Deep e affermate felici e contenti che la regista Barbara Peeters doveva stare “al posto suo”, lasciando intendere che forse quel posto era sotto la scrivania di Roger Corman, quando dedicate una rubrica settimanale all’estrapolazione di fotogrammi in cui le attrici si sono mostrate a seno nudo. Siete responsabili. Siete complici.
E sì, sono stata complice anche io: ho scritto soli pochi giorni fa un post su un film di Polanski, che io come regista adoro, ma che è un essere umano di merda, e ha anche avuto mezza Hollywood schierata in sua difesa. L’ho scritto perché ho sempre creduto che bisognasse distinguere tra la persona e il prodotto del suo ingegno. Ma credo ormai di essermi resa conto che non è sufficiente e che, anche quando è un tuo idolo (come lo è per me Polanski, come lo è per me Woody Allen) a gettare la maschera e a rivelare il mostro, è importante prendere le distanze, specialmente di fronte all’impunità e alla protezione di cui possono godere certi personaggi.

Non essere complici, quando si è immersi in un contesto in cui la molestia sessuale è vissuta come un qualcosa di perfettamente normale, alla stregua di un incidente di percorso, di una buca in mezzo alla strada, di una macchia d’olio per terra, non è facile. Anche perché si parla di più di buche e macchie d’olio e come fare perché non ci siano che delle molestie e degli abusi sessuali. E nessuno ti dice, se per caso buchi una ruota perché prendi una buca particolarmente profonda: “Potevi evitarla”. No, la risposta di solito è che dovrebbe esserci più manutenzione. Non è così se qualcuno si mette a palparti il culo in autobus, non è così se qualcuno ti blocca di sera in un vicolo e ti mette le mani addosso, magari facendosi due risate e poi ti lascia andare (e sei fortunata, poteva andarti molto peggio), non è così se un amico, un conoscente, un collega, pensano bene strusciartisi addosso che tanto era solo uno scherzo.
No, lì dovevi stare attenta tu.
Ma la frequenza con cui ognuna di noi inciampa in certi episodi è anche superiore a quella con cui a Roma si fora per colpa delle buche. Non c’è donna a cui non sia successo, almeno una volta nella vita.
E vi stupite che Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Claire Forlani e tutte le altre se ne siano uscite solo ora? Davvero la cosa vi scandalizza? Davvero è questo che vi scandalizza? Davvero pensate che si tratti della situazione da commedia scollacciata anni ’70 con il produttore e l’aspirante attrice? Credete si tratti di questo?
No, si tratta di ragazzine che, di punto in bianco, sono finite nella tana del lupo e magari questo lupo era un amico di famiglia, perché nell’ambiente si conoscono più o meno tutti e non credo che Bruce Paltrow non abbia mai cenato insieme a Weinstein; forse erano alla loro prima esperienza nel mondo del cinema (e vi consiglio caldamente di leggere questo splendido articolo di Sarah Polley ); forse è tutto cominciato con quella viscida accondiscendenza con cui gli uomini sono soliti trattare le donne sul posto di lavoro (e devo contare le volte in cui sono stata chiamata “tesoro”, “stellina”, “piccolina”, che come cazzo ti permetti lo sai solo tu); forse quando hanno evitato lo stupro per un soffio, non ce l’hanno proprio fatta a parlare, a denunciare, a raccontarlo a qualcuno, neppure alle persone a loro più vicine.
E forse, ma solo forse, la scoperta di questo sistema servirà a dare voce anche a donne non famose, forse è solo l’inizio di un cambiamento, partito da personaggi molto riconoscibili e però destinato a espandersi.

Io non ci credo che queste cose non le capite. O meglio, vorrei che non le capiste, perché l’alternativa è così orribile da preferire che siate tutti una massa di imbecilli con le capacità cognitive di un pesce rosso.
E quindi, ben venga la campagna #metoo, anche se a me di solito queste cose non piacciono, per una volta tanto cerchiamo di andare in controtendenza rispetto a quella narrativa che vede la solidarietà tra donne come una leggenda. Cerchiamo di non essere complici del potere, cerchiamo di essere partecipi del dolore delle vittime. Perché #metoo lo possiamo dire tutte. Posso dirlo io, possono dirlo le mie amiche, reali e virtuali, possono dirlo le mie ex fidanzate, può dirlo mia madre e, ne sono certa, se la buonanima di mia nonna fosse ancora viva, potrebbe dirlo anche lei.
E se di fronte a questa epidemia, di fronte a questa marea di voci che si sta levando proprio ora, la vostra reazione è il distinguo, la risatina, la classifica tra stupro, mezzo stupro, violenza, molestia, botte, l’alzata di spalle perché tanto sono ricche e famose e c’è chi sta peggio, la vostra miseria morale non è neanche quantificabile e la vostra responsabilità nel continuare a perpetrare la forma mentis che vede la molestia sessuale come una sorta di passaggio obbligato, una croce da portare, una bella tappa nel percorso da martire che ogni donna deve compiere per essere tale, è enorme.

Un commento

  1. […] La mia amica Lucia ha scritto questo articolo. […]

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