Cult of Chucky

 Regia – Don Mancini (2017)

A volte tendo a dimenticare il lato ludico dell’horror, specie di quello contemporaneo. E smarrisco il significato del divertimento puro e semplice, quello che solo la serie B fatta bene riesce a dare. Poi arriva il settimo capitolo della saga del bambolotto assassino più amato della storia del cinema e, senza neanche uno straccio di aspettativa, mi trovo di fronte a un film semplicemente delizioso e del tutto folle. Dopo il mediocre Curse of Chucky del 2013, ero convinta che questa serie fosse giunta al capolinea, e invece pare che Mancini abbia addirittura imparato a girare, dopo un’intera esistenza dedicata al suo Chucky e dopo aver curato la regia degli ultimi due film.

Ora sto per spararla grossa e, mi raccomando, tenetevi forte e, se volete, smettete di seguirmi: Cult of Chucky è quasi un film sperimentale. Lo so, non è solo grossa, è enorme, ma lasciatemi spiegare. Mancini, che ormai si rivolge a un pubblico di nicchia, non ha più alcun freno inibitorio e, in un caso emblematico di stile che predomina su racconto e sostanza, si lancia in questa mattata senza senso, tra allucinazioni, momenti ultra splatter, sequenze di morte sopra le righe, umorismo demente e sequenze che sembrano uscite da un festino a base di allucinogeni nei tardi anni ’70.

Se ricordate Curse of Chucky, dopo la strage compiuta dal bambolotto, Nica Pierce (Fiona Dourif) era stata arrestata e accusata di essere l’assassina. La ritroviamo, quattro anni dopo, paziente in un manicomio criminale, con una bella diagnosi di schizofrenia e la convinzione che Chucky non esista e sia solo una proiezione delle sue pulsioni omicide. Dati i progressi fatti nella presa di coscienza e nell’accettazione delle sue azioni, Nica viene trasferita in una struttura di minima sicurezza, dove è anche possibile ricevere delle visite. È inutile dire che Chucky, il serial killer cui presta la voce Brad Dourif, troverà il modo di ripresentarsi alla povera Nica e di dedicarsi alla sua attività preferita: l’omicidio di massa.
Questa è la trama del film, ma in mezzo Mancini riesce a infilare sia il ritorno di Tiffany (la solita, straripante Jennifer Tilly) sia quello di Andy, interpretato come trent’anni fa da Alex Vincent. Già qui ci sarebbe da applaudire Mancini per come è stato in grado di unificare tutti i capitoli di una saga che, a partire dal (bellissimo, sì, crocifiggetemi) La Sposa di Chucky, aveva preso una direzione tutta sua rispetto alla trilogia originale.

La riuscita di un film come The Cult of Chucky sta nell’aver conciliato le due anime della serie, quella più classica ereditata dagli anni ’80, in cui Chucky ancora faceva paura, e quella caciarona ed eccessiva della fine degli anni ’90, in cui l’umorismo di grana grossa aveva preso il sopravvento. Già Curse of Chucky era stato un tentativo di ritorno alle origini che però, se si escludono un paio di omicidi particolarmente efferati e riusciti (qualcuno ha detto veleno per topi?), non aveva centrato del tutto il bersaglio. Tre anni dopo, e con un budget superiore, nonché una produzione talmente sconsiderata da assecondare tutte le sue follie, Mancini sembra aver trovato la quadratura del cerchio, tra il rispetto di una continuity piuttosto sfilacciata (dove però, alla fine, torna tutto) e la necessità di inventarsi qualcosa di nuovo.Se la componente horror era stata del tutto azzerata ne Il Figlio di Chucky, e in parte ripresa in Cult of Chucky, qui è in primo piano rispetto a tutto il resto: Cult of Chucky non è una parodia, è un film dell’orrore dove scappa qualche risata, soprattutto per la parlantina volgarissima di Chucky e per alcune citazioni davvero ben piazzate (inestimabile quella di Qualcuno volò sul nido del cuculo). Il body count è altissimo, di sangue ce n’è a secchiate e una certa scena con protagonista un trapano vi farà saltare sulla sedia.

Lo status di icona conquistato sul campo da Chucky in anni e anni di onorato servizio impedisce di prenderlo troppo sul serio, ma Mancini è bravissimo a bilanciare la consapevolezza meta-cinematografica di Chucky personaggio con la volontà di farlo tornare a essere uno spauracchio che ancora può graffiare e far male. E così sfrutta a più non posso l’ambientazione chiusa della clinica psichiatrica: le pareti di un bianco accecante, le stanze e i corridoi di grandezza spropositata, le apparecchiature moderne, la neve che attutisce i suoni, isola i personaggi e seppellisce l’edificio sotto una coltre silenziosa e placida, l’uso della luce quasi sempre diurna così da far risaltare il dettaglio gore in tutto il suo splendore, ralenty, split screen, inserti psichedelici, esagerazioni videoclippare. In Cult of Chucky c’è una sovrabbondanza di stili e registri che addirittura stordisce, come se Mancini si fosse divertito a riempire il suo film con ogni cosa che gli passava per la mente, sempre all’insegna dell’eccesso.

È serie B, lo dicevamo prima, ma serie B gloriosa e palpitante di orgoglio, quel cinema che si ostina a esistere nonostante il pubblico che lo ama si assottigli ogni giorno di più, distante sia dal meditabondo horror moderno sia dalle manie nostalgiche che pervadono quello più commerciale. Spazzatura che non si vergogna di essere tale, se vogliamo essere severi. Oppure un vero ritorno al passato senza il filtro del distacco ironico. Perché la mentalità che sta dietro Cult of Chucky è esattamente quella del B movie come lo si concepiva qualche decennio fa: è la mentalità di Zio Tibia e dei pupazzi animati, degli effetti speciali dal vero e della cura in ogni minimo dettaglio, dell’horror come terreno per soluzioni linguistiche anche ardite, l’horror inteso come campo dove tutto è lecito.
E quindi, perdonate l’entusiasmo per un filmetto di poche pretese, il settimo su un bambolotto posseduto da un serial killer, che sta in giro dal 1988 e ancora non sembra avere alcuna intenzione di andare in pensione, ma è un entusiasmo per cui non provo alcun imbarazzo.
Prendetevi un’ora e mezza per riscoprire il lato ludico del cinema dell’orrore, godetevi l’assurda escalation degli ultimi venti minuti e non fate l’errore madornale di abbandonare il film prima della fine dei titoli di coda, perché c’è una sorpresa ad attendervi e, se siete “chuckisti doc” (cit. il mio amico Andrea), ne sarete estasiati.
Lunga vita a Chucky, la bambola assassina.

8 commenti

  1. Andrea · ·

    Magari Chucky non sará tra i pesi massimi del genere tipo Freddy, Pinhead, Jason e compagnia bella, ma la sua saga non ha sbagliato neanche un film. Mancini ha solo alzato il volume nel corso degli anni, facendo evolvere il suo bambolotto con coerenza, stile e divertimento.
    Fiona Dourif = ❤

    1. Ma quanto è bella Fiona Dourif? ❤

      1. Giuseppe · ·

        Eh, lo è davvero assai! ❤
        E, detto fra noi, la sua mi era sembrata pure l'unica presenza di almeno un buon paio di spanne superiore a chiunque all'interno del non entusiasmante Curse of Chucky. Non entusiasmante al punto che, da lì in poi, nemmeno io avrei mai più pensato di veder realizzati altri capitoli della serie. E invece, alla fine, Mancini l'ha (ri)trovato il modo giusto per andare avanti…

        1. ma infatti, uno dei pochi motivi per vedere Curse era la sua presenza.
          Ora aspettiamo un ottavo film, ma tipo subito!

  2. A me è piaciuto La maledizione di Chucky,a parte che Fiona e identica al bambolotto,la Tilly me la ricordo anche molto generosa in Bound,comunque onore al merito Mancini l’unico forse insieme a Singer a tenere una saga lunga in più di 3 film

    1. Ed è il creatore della saga e, davvero, nella vita non ha fatto altro. Solo l’anno scorso si è allontanato da Chucky per scrivere Channel Zero.
      Se non è dedizione questa…

  3. Grandiosa recensione e ottima lettura del film di Mancini. I fan mi pare siano divisi tra chi lo crocifigge (ma Mancini conosce esattamente la lezione sin da Seed of Chucky) e chi lo trova geniale. Io credo che pochi come lui abbiano il coraggio di mandare tutto affanculo, assecondando poco gli studios e ‘sabotandoli’ dall’interno. Se ci pensi, si è molto contenuto in Curse of Chucky e qui si è sfogato nuovamente come in Seed, ma dosando tutto. Cult of Chucky è un mash up di tutto il franchise, dal primo all’ultimo, pieno di riferimenti alla serie, al cinema horror, alla devozione di Don per la sua creatura più famosa. Certo, non tutto coincide, ma a lui interessa poco la coerenza con il resto della serie – leggenda a parte (il rito voodoo che si adatta ad ogni capitolo e viene reinventato, il bambolotto che ora sanguina e diventa umano, ora no, ecc.) – e molti questo lo trovano intollerabile. Nota: l’idea del ‘Culto’ del film, non voglio spoilerarlo qui, viene da un vecchio script, credo quello de La Bambola Assassina 3, ma che per motivi di budget non si realizzò. Se ti interessa qui trovi la mia recensione di Seed: http://www.nocturno.it/movie/il-figlio-di-chucky 😉

    1. Letto con interesse e sono d’accordo su Seed: è un film incatalogabile, sicuramente difettoso, ma unico nel suo genere.
      In Curse, è vero, Mancini aveva cercato di contenersi e di tornare completamente alle origini, a un horror “serio”, ma non ci era riuscito. Qui, al contrario, riesce a mettere insieme l’horror e la follia caciarona portata da Yu alla saga e tira fuori il prodotto perfetto, uno dei migliori di tutta la serie.

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