Regia – Michele Soavi (1989)
In teoria, doveva essere il terzo capitolo di Demoni: dopo il cinema e il grattacielo, la cattedrale gotica. Ma Soavi, entrato a progetto già in corso, non ne volle sapere: se doveva essere lui il regista, La Chiesa sarebbe stato un film a sé stante, con una dimensione più sofisticata rispetto a quella dei film del collega Lamberto Bava, a cui aveva fatto anche da aiuto proprio sul set di Demoni, mansione ricoperta anche in Tenebre, Phenomena e Opera.
Argento, il cui nome sulle locandine è sparato a caratteri cubitali, più grandi di quelli dello stesso regista e quasi alla pari con le dimensioni del titolo, aveva scritto il soggetto, mentre la prima sceneggiatura, quella intitolata Demoni 3, era di Dardano Sacchetti. Solo che a Lambertone arrivò da parte della Fininvest un’offerta che non si poteva rifiutare: Fantaghirò. Evidentemente, Bava aveva capito in anticipo sugli altri dove sarebbe andato presto a parare il cinema di genere italiano, ovvero nel nulla e accettò la proposta televisiva, lasciando così campo libero a Soavi.
La sceneggiatura, cui venne cambiato il titolo e aggiunto il prologo medievale, porta la firma dello stesso Soavi e di Franco Ferrini.
Tuttavia, se il garbuglio inestricabile la nostra distribuzione lo ha creato con le varie “case” cinematografiche, non è che la saga di Demoni sia da meno, contiene solo un numero minore di film: alla fine La Chiesa venne distribuita in alcuni paesi con il titolo di Demons 3. In aggiunta a questo delirio, sia La Casa dell’Orco, tv movie diretto da Lamberto Bava nel 1988, sia Demoni 3, di Umberto Lenzi, passano per seguiti di Demoni, quando non lo è nessuno dei due. Questo solo per dire che il cinema di genere italiano è stato, da sempre e fino ai suoi ultimi respiri, consacrato alla cialtronaggine più estrema con delle spruzzate di genialità casareccia.
Credo che Soavi abbia voluto svincolarsi da Demoni proprio per sottrarsi al contesto cialtrone.
Non ci è riuscito del tutto: i tempi erano stretti e non c’è stato modo di scrivere dal nulla una nuova sceneggiatura. Nonostante Dardano Sacchetti non sia accreditato (pare che Argento gli abbia dato parecchi soldi per non firmare lo script), alla fine gran parte del suo lavoro è rimasto e il risultato finale è un impasto tra un sequel di Demoni e un’opera originale di Michele Soavi.
Forse, anzi, sicuramente per questo La Chiesa è un film del tutto privo di coerenza narrativa, un film dove non vi è un minimo di senso, dove non esiste uno straccio di spiegazione per ciò che accade sullo schermo e gli attori paiono muoversi per il set in stato quasi catatonico, come se neanche loro sapessero bene cosa stanno facendo.
Eppure, è un film che a me piace da matti.
Di Soavi continuo a preferire altre cose (se volete, ma dovete dirmelo voi, la prossima settimana possiamo fare un post su La Setta) e La Chiesa è il suo film in cui più si sente la presenza ingombrante e non richiesta di Argento. L’Argento soprannaturale, per fortuna, a cui infatti sono imputabili gli stessi difetti di sceneggiatura che ha anche La Chiesa. Poi parlare di difetti è un eufemismo: semplicemente, la sceneggiatura non esiste, non intesa come costruzione di una trama lineare che procede secondo uno schema di causa ed effetto. Ma, a ben guardare, è tutto l’horror soprannaturale italiano ad avere queste caratteristiche.
Che si tratti di poesia gore come nel caso della trilogia della morte di Fulci o di esercizi di stile sofisticati e cerebrali, come nel caso di Soavi, una trama tradizionale e il fanta-horror italiano non sono mai andati d’accordo. Certo, ne La Chiesa si toccano vette di assurdo ineguagliate e credo che questa stranezza, che diventa in realtà calcolata proprio grazie alla messa in scena di Soavi, sia parte del suo fascino, oltre a essere il principale motivo che respinge i detrattori del film, insieme alla recitazione, spesso discutibile. Ma è o non è sempre stato, quello degli attori, un problema endemico al cinema horror italiano?
L’idea alla base de La Chiesa non è neanche malvagia: si comincia nel medioevo (nel prologo ispirato in parte al Conan di Milius e in parte a The Keep di Michael Mann) con un’armata di Cavalieri Teutonici che assalta un borgo infestato da streghe o così pare. Tutti gli abitanti vengono sterminati e gettati in una fossa comune che viene ricoperta con la calce. Su quel posto verrà costruita una chiesa, a baluardo degli influssi del maligno. Passano circa otto secoli e dei lavori di restauro nella chiesa, insieme alla curiosità del nuovo bibliotecario (Thomas Arana) hanno come conseguenza la rottura del sigillo che conteneva i demoni e l’entrata in azione di un meccanismo, improntato dal costruttore della cattedrale, che sigilla il portone e rinchiude nella chiesa tutti i presenti. Tra loro ci sono dei bambini in visita, dei turisti, i modelli di un servizio fotografico e una coppia anziana che sta festeggiando l’anniversario di matrimonio. Il contagio demoniaco si sparge tra i presenti (sì, lo so, non ha senso, ma vi giuro che è così) e parte un delirio allucinatorio privo di qualsiasi logica ma girato da Dio.
Come avrete sicuramente notato, lo scheletro della sceneggiatura originale, il seguito di Demoni, è ancora presente nella struttura del film: la forza maligna scaturita dai sotterranei della cattedrale si propaga come un’epidemia tra chi ha avuto la sfortuna di restare bloccato all’interno della chiesa. Nessuno ne è immune, bambini compresi, e tutti prima o poi finiscono contagiati. La differenza sostanziale tra un film della tipologia di Demoni e questo sta nel punto di vista di Soavi, più orientato a infarcire l’inquadratura di elementi sbagliati e fuori posto che al gore puro e semplice. La Chiesa ha l’andamento di un sogno al rallentatore, con gli eventi che si fanno sempre più bizzarri. Weird, diremmo oggi. Non che Soavi disprezzi il gore, ma qui non è esplosivo come nel dittico di Lamberto Bava, non possiede la stessa visceralità artigianale. Siamo a un livello di sofisticazione più alto, che supplisce alle carenze di una sceneggiatura evidentemente rabberciata.
Non che Soavi lesini in effettacci, ci mancherebbe: tra cuori strappati, corpi trapanati da martelli pneumatici e malcapitate inchiodate al portone della chiesa dalle punte di una grata di ferro, non ci si fa mancare nulla, ma non è tanto il gore a fare da traino al film, quanto l’atmosfera da fine del mondo su piccola scala, un’apocalisse in cui l’inferno emerge poco a poco e finisce per camminare in mezzo a noi, un insinuarsi lento ma inesorabile del male che non ha, com’è giusto che sia, né logica né spiegazione.
Certo, sarebbe stato auspicabile se almeno la sceneggiatura avesse chiarito qualche punto sull’origine delle entità demoniache sigillate nei sotterranei della chiesa, forse il film ne avrebbe giovato in comprensibilità e coerenza, non per altro, ma almeno per sapere da cosa sia effettivamente scaturita tanta malvagità. Ecco, a parte questo punto, non lamento la mancanza di spiegazioni: una volta sbarrato il portone e iniziato il delirio, crolla qualunque pretesa di tenuta del racconto. Crolla proprio qualunque pretesa di racconto e il film procede a strappi, con un’andatura lenta e ipnotica interrotta da esplosioni gore, visioni infernali (a volte con citazione allegata) e improvvisi sprazzi di umorismo macabro. In questa ridda di stranezze, nulla è fuori posto e tutto fa parte del circo degli orrori diretto dai movimenti di macchina di Soavi, scatenato a più non posso, più maturo e consapevole e controllato rispetto al suo esordio con Deliria.
La Chiesa è un ibrido assai particolare: troppo colto per essere un semplice filmaccio da Notte Horror, troppo sconnesso e difettoso per aspirare ad altro. Gli manca anche il totale disprezzo delle regole che caratterizzava gli horror soprannaturali di Fulci e, spesso, passa per una specie di clone riuscito peggio di quelli del suo produttore Dario Argento. In realtà di personalità ne ha vendere, solo che la mancanza di coesione narrativa e la natura evanescente della storia non sembrano volute e predeterminate, ma casuali e quindi, in qualche modo, sbagliate. Soavi ha fatto di meglio, nella sua breve carriera in campo horror e prima di finire a dirigere fiction, ma questo resta pur sempre un esempio della sua bravura come creatore di immagini potenti e piene di profonda inquietudine.
ancora mi ricordo i Calpestanti che si marchiavano a fuoco la croce sulla pianta sei piedi, madò che figo ‘sto film…
trovo che la qualitá onirica e “ondivaga” de “La Chiesa” torni ancora più prepotente in “La Setta”, Soavi ha proprio un modo tutto suo di citare e rielaborare i capolavori del passato
Infatti La Setta è più riuscito, secondo me, più personale e anche più sentito. Mi sa che la prossima settimana ne parlo 😉
Ti dico solo che dopo averlo visto, da ragazzino, i cavalieri teutonici per me erano diventati una vera e propria fissa. Non avevo nemmeno idea di cosa significasse “teutonici”, ma nella mia testa di ragazzino suonava come qualcosa di occulto, spaventoso e fighissimo. Sono quasi certo di essermi addirittura costruito un elmo di cartone come quelli che indossavano i cavlaieri nel film.
L’horror ci ha resi tutti quanti più colti, questa è la verità.
La Chiesa è uno dei primi horror che ho adorato. Lo vidi nella sua prima visione televisiva su Notte Horror, luglio 1991, avevo 12 anni ed ero attratto dal demone alato che compariva nella foto su Sorrisi e Canzoni quasi quanto dalla donna nuda (dal notevole culo!) che abbracciava. Ricordo che non capii praticamente nulla della trama ma mi ero lasciato affascinare dall’atmosfera che si respirava nel film. Chissà se oggi mi farebbe lo stesso effetto… Grazie per il viaggio nei ricordi 🙂
Lo stesso effetto temo di no, molto probabilmente oggi ne noteresti tutte le mancanze, però ha pur sempre un certo fascino e di sicuro è la dimostrazione di quanto Soavi fosse un regista con del potenziale enorme
Ricordo di aver letto che Argento e Soavi ebbero difficoltà a trovare una chiesa dove poter girare il film e dovettero andare in uno dei tanti paesi dell’ex Unione Sovietica dove per ovvie ragioni le autorità non si scandalizzarono e diedero loro il permesso.Personalmente è uno dei miei Horror italiani preferiti proprio per le immagini deliranti che riesce a creare nella seconda parte e per il prologo con i Teutoni che mi ricorda tanto l’Alexander Nevsky di Ėjzenštejn.
Sì, mi pare di ricordare che andarono a girare in Cecoslovacchia, ma non ne sono sicurissima. In teoria doveva essere una città tedesca, ma non fu possibile effettuare lì le riprese.
In effetti, la mancanza di una sceneggiatura propriamente detta credo faccia parte del fascino che ancora oggi La Chiesa emana: in fondo, ha appunto una sua specie di coerenza interna il fatto che togliendo il sigillo al male anche i rassicuranti e “positivi” binari della logica vengano meno, calandoti in un qualcosa di quanto più vicino possibile ad un incubo (e un incubo di classe) a occhi aperti. Il che non toglie che qualche piccola spiegazione iniziale -magari proprio nel prologo teutonico- male non le avrebbe fatto…
Riguardo a La Setta… parlane, parlane! 😉
Allora la prossima settimana si affronterà La Setta! 😉