Regia – Jesse Holland, Andy Mitton (2016)
Ci hanno messo quasi sei anni, ma alla fine sono tornati: parlo dei due registi do YellowBrickRoad, qui recensito con tanto entusiasmo quando questo blog era giovane e io con lui. Sono tornati con un film molto più lineare del precedente, ma sempre e comunque strambo e bizzarro. Un film per cui ho letto definizioni alquanto campate in aria, tipo che sarebbe una commedia, segno evidente che We Go On è stato recensito senza neanche essere visto, perché al massimo, se proprio una definizione è necessaria, può essere un dramma soprannaturale. Non c’è infatti nulla che sia anche lontanamente buffo in We Go On e anzi, seppure non fa paura nel senso classico del termine e non lo si può certo accostare all’horror di maniera, è un’opera che comunque una discreta angoscia riesce a generarla, sempre che abbiate la sensibilità necessaria, il che non è affatto scontato. Badate bene: non sto dicendo che se questo film non vi piace siete degli insensibili, sto dicendo che l’argomento trattato deve toccarvi in qualche modo, altrimenti rischiate di annoiarvi. O di trovare ridicolo proprio lo spunto di partenza.
Il protagonista, Miles (interpretato da Clark Freeman) è un uomo pieno di fobie: non riesce a guidare, a stento esce di casa, passa le sue giornate come un recluso nel suo appartamento di Los Angeles. Per fortuna che fa il montatore, di spot soprattutto, e quindi il suo lavoro glielo consente. Il motivo di tante fobie è che Miles ha paura di morire. E voi direte: “E grazie al cazzo, ce l’abbiamo tutti”. Sì, ma per Miles è una cosa realmente invalidante, un’ossessione vera e propria. Quindi decide di mettere un annuncio su un giornale in cui si offre di pagare 30.000 dollari a chiunque gli fornirà una prova inconfutabile dell’esistenza dell’aldilà: un fantasma, un angelo, un demone, qualsiasi cosa è ben accetta, basta che sia una certezza.
Accompagnato dalla madre, una donna scettica e molto razionale interpretata da Annette O’Toole (tanto amore per questa attrice, sempre), Miles si imbarca in un viaggio tra casi umani e truffatori e, quando troverà ciò che stava cercando, capirà che forse sarebbe stato meglio non aver mai cominciato la ricerca.
Potremmo inserire We Go On anche nel variegato ambito della ghost-story, perché in fin dei conti è esattamente questo: una storia sui fantasmi e sul soprannaturale, cose che nel mondo contemporaneo diventa sempre più complicato inserire. Il mestiere di Miles, montatore video, è in tal senso indicativo: in virtù delle sue competenze tecniche, riesce a smascherare con facilità tutti i falsi che gli vengono inviati. In un’epoca in cui manipolare le immagini è alla portata di chiunque (bastano un paio di programmi anche semplici da usare), è evidente come il magico sia ogni giorno più escluso dalle nostre vite. Per questo la ricerca di Miles ci appare folle e disperata.
Eppure – e diversamente l’horror avrebbe smarrito la sua funzione in quanto genere – gli eventi al di là della nostra comprensione trovano sempre il modo di insinuarsi anche in un contesto ad alta tecnologia e riescono comunque a sconvolgerti l’esistenza.
Quando finalmente Miles viene in contatto con qualcosa di davvero inspiegabile, con la prova che in teoria dovrebbe fargli passare la paura di morire, il film cambia faccia e passo. Dopo una sequenza, che arriva esattamente a metà film, da brividi lungo la schiena, We Go On si avvicina di più all’horror tradizionale, pur mantenendo quell’atmosfera stralunata e un po’ weird già riscontrabile nel lavoro precedente dei due registi e che, se non si trattasse appena della loro opera seconda, potrebbe quasi essere considerata un marchio di fabbrica. Sia in YellowBrickRoad che in We Go On, infatti, si ha sempre l’impressione di un progressivo scollamento dalla realtà, quasi che essa fosse una copertura messa lanciata su un oggetto in maniera maldestra e affrettata. Se quella copertura cade, si entra in una zona molto poco confortevole, in cui le regole cambiano all’improvviso e le certezze si sgretolano.
Entrambi i film, se ci pensate, potrebbero essere degli episodi allungati di Ai Confini della Realtà, anche perché la definizione di horror stava stretta a YellowBrickRoad così come sta stretta a We Go On. Non fatevi ingannare dall’apparente maggiore linearità della trama. I due registi hanno soltanto focalizzato meglio la loro scrittura, che nel film precedente era un po’ confusa: YellowBrickRoad, per quanto ricco di suggestioni e inquietudini, non aveva una direzione ben precisa. We Go On ha un’idea precisa di dove vuole arrivare e di cosa vuole raccontare. Meno cervellotico e metacinematografico del suo predecessore, si distingue per un’empatia maggiore nei confronti dei suoi personaggi, per un lavoro più approfondito sulle psicologie e, in generale, un approccio più maturo alla materia. Insomma, è un buon passo avanti per la carriera di entrambi i registi che, a quanto si vede dalle rispettive pagine su Imdb, pare abbiano scelto di procedere separatamente.
Parlando proprio di personaggi, credo che il punto di forza maggiore di We Go On sia la descrizione di un rapporto tra madre e figlio che non è mai banale e vola altissimo sul genere horror perché non è distruttivo, non è tossico, non è malato, ma viene rappresentato come una relazione reale, tra due esseri umani che cercano di aiutarsi e confortarsi come possono in un momento difficile. La sensazione che se ne ricava è di profonda umanità e, ve lo assicuro, non è poco. Dopo una serie impressionante di mamme terribili e castranti, nonché origine di tutti i mali per i propri figli, vedere sullo schermo un personaggio così vero pare un miracolo. O un’anomalia, fate voi. Merito è, in parte della recitazione di Annette O’Toole, un’attrice a cui forse sarebbe spettata una carriera migliore, ma soprattutto della scrittura di Holland e Mitton, in forma smagliante anche nel reparto sceneggiatura. Tra Miles e sua madre ci sono un paio di dialoghi preziosi e bellissimi su come affrontare la morte e qualunque cosa ci aspetti dopo. C’è, in tutto il film, questa intensità luminosa e straziante che deriva dalla consapevolezza dell’essere mortali, e dalla volontà di andare comunque avanti, il we go on del titolo, nonostante tutto.
L’unico problema di We Go On è il budget, che credo sia di poco superiore a quello già ridicolo di YellowBrickRoad. È un film indipendente fino al midollo e un pochino la resa visiva ne soffre. Per fortuna l’abilità dei due compensa la miseria dell’operazione, perché il film, nonostante la carenza economica pesi più di tutto il resto sul reparto fotografico, ha dalla sua delle ottime soluzioni di regia, come l’uso massiccio dei cambi di fuoco (già molto presenti in YellowBrickRoad ma qui più efficaci) che diventano una vera e propria soluzione narrativa, nonché la cifra stilistica più riconoscibile del film e persino un ricorso limitato alla macchina a mano, che interviene proprio quando non se ne può fare a meno, mentre di solito l’MdP è stabile e fissa, cosa abbastanza rara nel circuito indie. Abbondano inoltre i campi lunghi che danno un grande respiro alla storia e non c’è quell’abuso dei primi piani che di solito contraddistingue le produzioni micro-budget.
We Gon On è un’opera molto personale che conferma la presenza sulla scena di due autori interessantissimi e da seguire, anche nel loro futuro da “solisti”. Speriamo solo che, prima o poi, entrambi possano lavorare con più soldi a disposizione, perché le loro idee se lo meriterebbero, e che trovino qualcuno che gli faccia dei poster migliori.
Come è invecchiata la O’Toole.
Poi ci penso, mi guardo allo specchio e dico, eh, no, come siamo invecchiati tutti.
M sul film, che nonho visto… non è l’unico film sull’esistenza dell’aldilà in uscita in questi mesi (credo di aver visto trailer di almeno due, se non tre altre pellicole) – è come se il cinema stesse rilevando un’inquietudine esistenziale generalizzata, quasi a confermare la regola per cui le storie di fantasmi esplodono nei periodi di apparente quiete e di reale incertezza politica.
Chissà come mai… 😉
La signora ha l’età di mio padre, che compie i suoi bei 65 a dicembre. E a me sembra vagamente impossibile una cosa del genere.
Ultimamente i film che vedo continuano a rispecchiare questo mio terrorizzato stupore. Non so come altro definirlo.
E vedo che non sono solo io, è proprio una tendenza collettiva. Infatti l’horror non è così in forma da almeno 40 anni a questa parte.
Sei riuscita a interessarmi. Penso proprio che lo recupererò.
Il fobico personaggio di Miles finisce per incarnare quel proverbio… “Chi cerca quello che non deve trova quello che non vuole”. E, proprio per questo, facendo trovare a noi quello che cerchiamo in questi casi: un’intrigante, per nulla banale e sfaccettata ghost-story (Ai Confini della Realtà, appunto) 😉
Sì, ha tantissime cose in comune con il telefilm. Sembra un suo episodio gonfiato a lungometraggio. Ti piacerebbe moltissimo 😉
Molto bello e – spoiler – ci sta benissimo quel lieto fine, per una volta si vince e si va avanti nonostante tutto. Anche un “horror” può veicolare questo messaggio, guarda te che roba 😉
Ah, per quanto mi riguarda, sono gli horror migliori 😉