1935: La Moglie di Frankenstein

bride_of_frankenstein_poster Regia – James Whale

To a new world of gods and monsters”

Esiste un esilarante scambio di lettere tra James Whale e Joseph Breen, capo della Production Code Administration negli anni ’30, avvenuto durante la stesura del copione de La Moglie di Frankenstein. La sceneggiatura di Whale era infatti ad alto rischio e, quando venne inviata per la prima volta ai censori del Codice, fu un vero e proprio massacro. La storia della lavorazione di uno degli horror fondamentali della storia della Universal (e non solo di quella) è, prima di tutto, la storia della sottile guerra combattuta da Whale contro la censura. E vinta senza che quelli del Codice se ne rendessero neanche conto.
Si parlava di dare un seguito al Frankenstein del 1931 sin dall’uscita del film nelle sale. Non a caso, tracce di un ipotetico secondo film appaiono nei listini di produzione della Universal sin dal 1932. Si dovette attendere fino al 1935 perché Whale desse il suo benestare e Carl Laemmle (Junior) considerò addirittura l’idea di procedere senza il regista.
Ma, nel frattempo, Whale era diventato uno dei nomi di punta della Universal, infilando successi come The Old Dark House e L’Uomo Invisibile e poteva permettersi di pretendere ciò che voleva. Per tornare a dirigere un film su Frankenstein chiese, e ottenne, completa libertà creativa. A patto che se la vedesse lui con la censura e che fosse in grado di presentare un film capace di essere distribuito senza troppi tagli o polemiche.
Whale accettò la sfida: da artista sofisticato e profondamente intelligente quale era, sapeva che i censori andavano accontentati e ingannati.

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L’umorismo (che oggi potremmo anche chiamare camp) diventa una componente decisiva nel cinema di Whale dopo il primo Frankenstein, pellicola ancora seriosa, un po’ ingessata, non del tutto sua. Quattro anni dopo, il regista aveva pienamente sviluppato il proprio stile e La Moglie di Frankenstein rappresenta l’apice di una carriera straordinaria. Whale concepisce il seguito di Frankenstein in forma di sberleffo: alla religione, alla società patriarcale, a quei rozzi campagnoli che prima affollavano le sale per vedere mostruosità assortite e poi si lamentavano perché non erano consone alla morale corrente, fiancheggiatori e sostenitori di una censura tesa a soffocare qualunque forma di creatività, pronti a scendere in strada con torce e forconi per linciare il diverso e il deviato di turno.

Si dice spesso che il romanzo di Mary Shelley è stato frainteso e semplificato dal cinema, capace di coglierne solo l’aspetto sensazionalistico. Non esiste, nonostante alcuni film si fregino di titoli roboanti, fallendo su tutta la linea (e ogni riferimento a Kenneth Branagh non è casuale) un adattamento che possa essere considerato realmente fedele al testo. La Moglie di Frankenstein, nel suo essere un seguito, nel suo tradire la Shelley da diversi punti di vista, persino nel suo essere il principale responsabile dell’errore di attribuire alla Creatura il nome Frankenstein, rappresenta però un’opera che porta alla luce alcuni aspetti all’epoca sottaciuti del romanzo della Shelley e che arriva con qualche decennio di anticipo sulle varie interpretazioni femministe che del libro sarebbero poi state date.
Già, perché mentre Breen si preoccupava di tagliare i primi piani della Lanchester nel prologo in cui interpreta Mary Shelley, a causa di una scollatura un po’ troppo accentuata, Whale nascondeva in piena vista tutta una serie di colpi bassi alla morale e sghignazzava impunemente su Dio, matrimonio e sessualità. E, principalmente, sull’ambizione tutta maschile di cancellare la donna dall’equazione riproduttiva, per arrivare a quel famoso mondo di demoni e dei di cui parla il Dottor Pretorius a un sempre più soggiogato Dottor Frankenstein.

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Dopo il già citato prologo, dove Mary Shelley afferma di aver voluto dare, con Frankenstein, una “lezione morale”, il film comincia esattamente dove il suo predecessore era terminato: Henry  (Colin Clive) precipitato dalla torre e la Creatura (sempre Boris Karloff) messa al rogo. Entrambi, tuttavia, sopravvivono e mentre il povero mostro, ancora più ripugnante di prima a causa delle ustioni, vaga facendo danni per le campagne, un vecchio professore di Frankenstein va a fargli visita quando è ancora convalescente. Si tratta di Pretorius (Ernest Thesiger, grande caratterista nel ruolo della vita), personaggio assente nel romanzo di Shelley e inserito nel film affinché ci fosse un vero villain,  ruolo che non poteva essere ricoperto dalla Creatura.
Pretorius è la chiave del film, il pilastro su cui si regge la narrazione di Whale. Anche lui, come Henry, vuole creare la vita e, in parte è già riuscito a farlo. Mostra al suo allievo degli esseri umani in miniatura tenuti dentro delle campane di vetro: un re, una regina, una sirena, una ballerina e un peccatore che, dice, gli somiglia moltissimo. Il problema sono le dimensioni. Per questo chiede a Henry di collaborare con lui.
Nella sceneggiatura originale, Pretorius uccideva la moglie di Henry Frankenstein e usava il suo cuore per portare in vita The Bride. Ma era decisamente troppo per una censura che pretendeva il lieto fine. Se si guarda al film avendo presenti le richieste del PCA, ci si rende conto che Whale accontentò i censori in ogni cosa. Tagliò tutto quello che gli chiedevano di tagliare, acconsentì a modificare intere linee di dialogo, diminuì il numero delle vittime della Creatura da una trentina ad appena dieci. Eppure tutta questa accondiscendenza non riuscì neppure a incrinare la portata di un film come La Moglie di Frankenstein.

Una portata che è difficile da comprendere appieno se non si comprendono Pretorius, il suo rapporto con Henry, la sua ironia corrosiva (che è quella di Whale), la sua natura quasi mefistofelica, di diavolo tentatore nei confronti di un Frankenstein che non vorrebbe più avere a che fare con strambi esperimenti, e il suo ridicolizzare, in continuazione e in ogni sequenza in cui appare, tutto ciò che può essere considerato sacro o inviolabile. Non è il classico scienziato pazzo, Pretorius, ma è freddo, calcolatore, lucidissimo e distaccato nella sua ambizione. La follia appartiene di più a Frankenstein. Pretorius è un personaggio completamente amorale, per il quale la creazione della vita è un gioco e gli altri esseri umani pedine da muovere a suo piacimento.

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Pretorius, come un diabolico demiurgo, prevede e anticipa le mosse del suo ex allievo, soggioga il mostro promettendogli ciò di cui ha più bisogno, ovvero una compagna, arriva a rapire la moglie di Henry per ricattarlo e costringerlo a lavorare. orchestra tutto alla perfezione, ma dimentica un piccolo dettaglio: la libertà di scegliere. Non prevede dunque, la reazione della Sposa, dando per scontato di poterla pilotare come ha pilotato gli altri, esseri umani o mosaici di cadaveri che fossero.
E qui arriviamo a quelli che la sottoscritta (non dovete farlo per forza anche voi) considera i dieci minuti più potenti della storia del cinema horror: l’entrata in scena di Elsa Lanchester nei panni di The Bride. Vedete, la Lanchester è diventata un’icona restando in campo per pochissimo tempo e senza pronunciare neppure una battuta.
La gestualità della Sposa, sottolineata dai primi piani della macchina da presa di Whale è entrata nell’immaginario collettivo tanto quando il suo trucco e la sua acconciatura. Gestualità e sguardo, che in una manciata di inquadrature, rendono alla perfezione il sorgere della coscienza di sé in un essere appena venuto al mondo. Dopo la presa di coscienza, arriva subito l’orrore per un destino (quello di compagna forzata del mostro) respinto con violenza.
Si guarda sempre alla povera Creatura, odiata anche dalla donna assemblata per lui. E sì, è vero, le lacrime sul volto di Karloff suscitano compassione, perché la condanna a una solitudine eterna è un incubo in cui ci si rispecchia facilmente. Ma guardate con attenzione gli occhi della Lanchester e ascoltate il suo grido, sia quando si accorge della presenza del mostro e lo rifiuta, sia quando si rende conto che la sua esistenza è già arrivata al termine.
Non credo che fosse possibile, negli anni ’30, architettare un insulto così estremo alla società patriarcale. Forse non è possibile neppure ora. Ma i censori dell’epoca erano troppo presi dalla scollatura di Mary Shelley per accorgersi di quello che Whale aveva nascosto in bella vista. Ringraziamo, una volta tanto, l’idiozia.

Tre film pronti per il 1945, due horror puri e un outsider da riscoprire.
Partiamo dall’outsider: si tratta di A Place of One’s Own, di Bernard Knowles, che forse appartiene più alla categoria mistery, ma che voglio inserire ugualmente.
Sono horror veri e propri, invece, Dead of Night (Incubi Notturni), di Alberto Cavalcanti e La Scala a Chiocciola di Robert Siodmak.

16 commenti

  1. Fabrizio · ·

    Film davvero splendido che ha consegnato alla storia l’immagine della sposa del mostro ormai entrata nell’immaginario collettivo. Non si contano le citazioni in altre opere successive, tra le tante mi piace ricordare la Magenta del Rocky Horror Picture Show. E, se non ricordo male, è questo il film in cui compare il personaggio del vecchio cieco che accoglie la Creatura trattandola da suo pari e avvicinandola di più ad un’umanità che purtroppo gli sarà sempre preclusa.
    Per merito della tua analisi ho colto tutto un sottotesto che mi era sfuggito preso come sono sempre stato un po’ di più dal lato visuale e di superficie di quest’opera che non dai suoi significati più profondi e critici verso la società del tempo.
    Dovremmo essere più attenti perché quando vediamo film del genere spesso dimentichiamo, per una questione temporale, di quanto possano essere stati davvero reazionari e innovativi per il periodo in cui uscirono e a tal proposito mi viene in mente un film come M il Mostro di Dusseldorf che, a più di 80 anni dalla sua uscita, è ancora di un’attualità spaventosa.
    Sono convinto che James Whale sia stato uno dei più grandi registi della storia del Cinema e The Bride of Frankenstein sta qui a dimostrarlo.
    Grazie per il tuo lavoro di riscoperta di tutti questi classici, non vedo l’ora di leggere il tuo prossimo post!

    1. Sì, è questo! Il personaggio del cieco che poi sarà ripreso in maniera geniale da Mel Brooks e, più recentemente, da Bernard Rose con il suo nuovo Frankenstein, dove il cieco è interpretato da Tony Todd.
      Credo anche io che Whale, insieme a Browning che però aveva altre fissazioni, sia tra i più grandi registi della storia del cinema e non solo horror.
      E ti ringrazio per il gentilissimo commento 🙂

  2. Whale era un genio, oltre che un trollatore fantastico della PCA e dei suoi bigotti schemi.

    Il mio voto va a Incubi Notturni di Cavalcanti

    1. Sì, credo che come li ha trollati lui, non li ha mai trollati nessuno 😀

  3. Whale è storia del cinema. Si scrivono saggi e non si dirà mai abbastanza…
    Ho scelto l’outsider perché non lo conosco, semplice

    1. Sì, Whale è uno dei fondamentali, diciamo. Sarebbe da riscoprire tutta la sua filmografia.

  4. The Butcher · ·

    Articolo meraviglioso e potente. Mi è piaciuto veramente tanto. Hai saputo parlare davvero bene de La moglie di Frankenstein e di tutto il pensiero di Whale e della sua furbizia.
    Molte persone tengono a snobbare o non guardare film del genere perché in bianco e nero e “vecchi”.
    Non hanno mai visto film come questi. Certe pellicole di quei tempi dicono tante cose in poche inquadrature, cose che neanche i film di oggi (a parte qualche caso) riescono a fare.

    1. Grazie!
      Io sono convinta che certe pellicole vadano viste e studiate. Perché è come dici tu: dicono con pochissime inquadrature quello che un film di oggi ci vogliono due ore per raccontare. All’epoca avevano una capacità di sintesi che ti faceva capire tutto senza spiegare niente. E questa prerogativa è andata un po’ perduta con gli anni.

  5. Giuseppe · ·

    Ho l’ardire di affermare con certezza che James Whale (titanico regista nonché abile fustigatore di idioti e patriarcali bigotti) ed Elsa Lanchester (eccelsa Sposa qui entrata nel mito con la sua presenza breve ma intensissima) approverebbero questo tuo post. Alla grande 😉

    1. O almeno si farebbero quattro risate, che è sempre cosa buona e giusta 😉

  6. Francesca Fichera · ·

    L’ha ribloggato su La finestra di Hopper.

  7. Bellissima recensione! Devo rivedere il film e recuperare altra roba di Whale. A parte Frankenstein e L’uomo invisibile (per me altro capolavoro), cosa mi consigli?

    1. Ti consiglio assolutamente The Old Dark House, una perla rara.

      1. tensore · ·

        Un altro grande film! La scena della mano di Saul sul corrimano è incredibile. Grazie del consiglio

        1. E allora, sempre di Whale, se non l’hai già visto, c’è L’Uomo Invisibile. Oppure, non horror, ma spassosissimo, Remember Last Night

          1. tensore · ·

            L’uomo invisibile già visto. Per me il film è anche meglio del libro (ancora una volta Whale si schiera dalla parte dei diversi). Recupero Remember last night.

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