Regia – Lexi Alexander (2008)
Si parla molto, in questi giorni, del caro Frank Castle, che finalmente ha trovato la sua giusta incarnazione sul (piccolo) schermo. Ed è vero, il personaggio interpretato da Jon Bernthal è la cosa migliore della seconda stagione di Daredevil, che ha forse il difettuccio di ammosciarsi un po’ negli episodi centrali, ma per il resto, fila che è una bellezza. Il Punitore, da sempre sfortunatissimo quando si è trattato di portarlo al cinema, sembra aver messo tutti d’accordo. Molto probabilmente si è raggiunta una maturità tale, nel trasporre gli eroi (e gli antieroi) dei fumetti che anche un tipetto spigoloso come The Punisher viene digerito con meno difficoltà, calandolo in un contesto di serietà estrema, com’è quello della Hell’s Kitchen di Daredevil, e dato in pasto a un pubblico adulto con tutte le sue contraddizioni. Ma, in fondo, dopo aver visto Wilson Fisk decapitare un mafioso russo a sportellate, Castle ha campo libero per fare ciò che preferisce. È tutto un fatto di soglia di sopportazione e di maturità delle vicende narrate. Se, al cinema, la Marvel è ancora incastrata nel PG13, su Netflix ci si può sbizzarrire. Ed ecco che anche Castle trova il suo spazio e la sua dimensione.
Non era così nel 2008. Sembrano passate un paio di ere geologiche da allora, ma si tratta di appena otto anni fa. L’anno del primo Iron Man e del fallimentare reboot di Hulk, il periodo in cui si stavano gettando le basi per quello che oggi tutti conosciamo come il MCU.
E, in realtà, il pessimo rapporto del Punitore con le trasposizioni cinematografiche viene da ancora più lontano, dal 1989, quando a interpretarlo c’era addirittura Dolph Lundgren.
Personalmente, sono affezionata a quasi tutte le versioni filmiche di Castle, escludendo proprio la prima che è indifendibile da ogni punto di vista. Apprezzo molto il film del 2004 con Thomas Jane (lo so, adesso smettete tutti di leggermi, dopo questa confessione) e impazzisco come una bambina scema per la caratterizzazione psicopatica, sopra le righe, ultra violenta che ne ha dato Lexi Alexander, coadiuvata da Ray Stevenson. Non me ne voglia Bernthal: lui è di sicuro l’attore più bravo ad aver vestito il teschio del Punitore. Ma la fisicità di Stevenson è, a mio parere, ancora oggi insuperata.
War Zone è andato malissimo. Il pubblico lo ha ignorato e la critica lo ha fatto a pezzettini piccoli piccoli. Gli si imputava una violenza eccessiva e cartoonesca, un gusto per lo splatter gratuito e perennemente esagerato, una tendenza all’esasperazione che arrivava dritta dagli action degli anni ’80, in un momento in cui ancora non si stava a recuperare ogni porcheria partorita nel corso di quel decennio e a rivenderla neanche fosse oro colato. In seguito, il film si è guadagnato una piccola fetta di appassionati. Troppo piccola, secondo me. Adesso che Il Punitore è tornato di moda, forse è anche arrivata l’ora di dare una seconda occhiata a questo film, diretto da una ex campionessa di arti marziali, la cui carriera dietro la macchina da presa ha subito una brusca interruzione proprio in seguito all’insuccesso del suo War Zone.
Prima di tutto è necessario dire che la corsa all’eccesso in cui il film si lancia sin dalla sequenza d’apertura è voluta, non è un errore o una mancanza di controllo del mezzo da parte della regista. Si tratta, al contrario, di un qualcosa di programmato nei dettagli. Può piacere o non piacere, capisco anche che non piaccia, ma è nel continuo gioco al rialzo che risiede la ragion d’essere stessa del film.
Perché tutto ciò che a Lexi Alexander interessa è mettere in scena un’ora e quarantatre minuti di insensata carneficina. E chi siamo noi, per dire no a un’ora e quarantatre minuti di insensata carneficina? Oh, insomma, se non gradite, quella è la porta.
Infatti, nonostante War Zone non sia un seguito del film del 2004, ma un reboot in cui viene azzerato tutto, non si sprecano neanche due minuti per raccontarci le origini del personaggio, che ci vengono presentate in brevissimi flash a minutaggio già molto avanzato. Ogni cosa che non comporti lo sparare in faccia alla gente, sfondare teste a cazzotti, rompere ossa o triturare facce con cocci di vetro, viene sbrigata alla svelta e con fastidio, come se si trattasse di una noiosa pratica burocratica da cui, purtroppo, non ci si può esentare. E così, anche lo scheletro di trama relativa al salvataggio della famiglia di un agente sotto copertura ucciso da Castle per errore, diventa un mero pretesto per farci vedere Il Punitore in azione.
Motivazioni, spessore, dialoghi, tutti elementi che, nell’ottica del moderno cinecomic sarebbero diventati indispensabili, qui vengono ridotti al grado zero. War Zone è una festa di sangue e carne maciullata, priva persino della componente un po’ noir, un po’ esistenziale che già Nolan stava diffondendo come un virus per il cinema fantastico. Non ammette riflessioni, non pretende di dirci chissà che cosa sul ruolo del vigilante e sulle implicazioni della giustizia fai da te. War Zone si limita a mostrarci lo scontro frontale tra un Punitore mai così taciturno e puramente fisico e dei cattivi dalla malvagità così estrema da risultare grottesca.
E la Alexander, con il suo stile muscolare e aggressivo, è perfetta per realizzare questo progetto. Data l’assenza quasi totale di scene di raccordo, si può scatenare con l’azione, perché lei è un vero mostriciattolo nel girare scene d’azione: che si tratti di scontri a fuoco, all’arma bianca o di scontri corpo a corpo, le dirige e le monta con una sicurezza e un ritmo che quasi me la fanno invidiare. Poteva diventare la regina del cinema action, se solo le avessero dato altre occasioni, dopo War Zone.
È bellissimo vedere come riempie l’inquadratura di corpi in rotta di collisione, come fa muovere il suo Punitore alla stregua di una macchina inarrestabile. Il suo è un cinema dinamico, colorato, dove la violenza, anche estrema, ha una funzione anarchica e liberatoria. Un cinema frenetico, ma gestito con fermezza, dove ci si può ammazzare un secondo prima e un secondo dopo mostrarci Castle che assembla le armi per la battaglia finale in una sola, lunga inquadratura senza stacchi. Un cinema che vive di campi lunghi perché l’azione la si racconta meglio se ci si tiene a debita distanza e si lascia allo spettarore un colpo d’occhio globale su ciò che sta avvenendo.
Un cinema che sì, è fatto di eccessi e stravaganze, ma che funziona se lo si accetta per ciò che è, se non si pretende di trovarvi elementi che non ci sono e che, in quel contesto, neanche avrebbero senso.
Ovvio che Il Punitore visto in Daredevil sia un personaggio più strutturato, più profondo, anche più drammatico rispetto a quello di Ray Stevenson. Da un punto di vista di scrittura, sicuramente migliore.
Ma War Zone è un tripudio di brutalità, arroganza e cattivo gusto che fa sempre un gran piacere rivedere.
Concordo appieno con la tua recensione, essendo un appassionato di “The Punisher” e di quel folle autore che è Gart Ennis. Ci si legge 🙂
The Punisher è da sempre il mio anti eroe preferito. Lo amo con tutta me stessa.
Nemmeno io ho trovato The Punisher con Thomas Jane un brutto film, anzi 😉 Invece a tutt’oggi War Zone ancora mi manca, con la caratterizzazione brutale e senza fronzoli di Stevenson (quanto ai critici, forse dovrebbero anche leggerselo un fumetto di tanto in tanto, prima di iniziare la gara a chi stronca meglio la trasposizione su grande schermo)…
Stevenson è una bestia di rara cattiveria. Te lo consiglio. 🙂
anche a me è piaciuto, questo almeno rende netta giustizia rispetto all’abominio che lo ha preceduto (e di cui salvo solo il cameo di Kevin Nash)
No, a me il film del 2004 era piaciuto. Lo rivedo ogni volta con piacere. Poi sì, è quello che è, non è il fumetto. Ma come film d’azione a sé stante non ha nulla di così offensivo.
no come “ammazzaespara” va benissimo, per carità, ma quello NON HA niente di Frank, per me
Forse il Punisher ideale sarebbe stato un giovane Steven Seagal anche se il personaggio del fumetto secondo me me per il cinema ha lo stesso difetto di Dredd,cosi estremo senza ironia il pubblico non potrebbe mai totalmente essere dalla sua parte,comunque War Zone c’è l’ho in dvd e me non dispiace,ma trovo migliore quello del 2004 perchè ha un pò più umanità e proprio ieri ho visto il film che profenizzò il pg 13 Demolition Man.