Regia – François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell
Ci sto pensando da giorni e alla fine ho deciso che io la recensione di questo film non posso farla. Mi manca qualsiasi forma di obiettività e distacco, con Turbo Kid. Posso solo dichiarare il mio amore incondizionato e fare di tutto perché chiunque legga questo post molli all’istante qualunque cosa stia facendo per precipitarsi a vederlo.
Stiamo parlando molto di film nostalgici, in questo periodo. È una cosa con cui siamo obbligati a fare i conti perché pare ne escano sei o sette al giorno, di film improntati sul recupero di un modo di fare cinema in voga una trentina di anni fa.
L’ultimo caso è stato il pregevole Lost After Dark per quanto riguarda lo slasher.
E si potrebbero più o meno dire le stesse cose anche a proposito di Turbo Kid: non un film che richiama agli anni ’80, ma un film degli anni ’80.
Solo che Turbo Kid è diverso da ogni prodotto nato per fare il verso a un’epoca cinematografica che, nel bene e nel male, ha formato la generazione a cui appartengo.
Turbo Kid fa davvero storia a sé.
Non penso serva a qualcosa riassumere la trama. La conosciamo tutti, anche se il film non lo abbiamo ancora visto: è un post atomico ambientato nel 1997. Non c’è più benzina e quindi il solo mezzo di trasporto a disposizione sono le biciclette. Le BMX, per essere precisi. Il protagonista è un ragazzino che sopravvive recuperando oggetti e rivendendoli al mercato in cambio di cibo e acqua. L’acqua è gestita da un Michael Ironside cattivissimo e senza un occhio.
Adesso, è importante sottolineare la scelta della datazione. Perché il 1997 implica che il film sia stato girato almeno una decina di anni prima.
Un film degli anni ’80, appunto.
La produzione di Turbo Kid è canadese. Nasce come un corto per il primo The Abcs of Death, T is for Turbo, alla fine non inserito nell’antologia. I tre registi lo hanno poi ampliato, gli hanno costruito una (bella) storia intorno e, grazie anche ai finanziamenti statali, lo hanno portato a termine. Trattasi dunque di un esordio a basso budget ed è uno dei migliori film de 2015.
Con questo, suppongo che le informazioni di carattere generale su Turbo Kid siano sufficienti e possiamo passare alle cose serie. Ovvero l’amore.
Sono convinta che, alla base di tutto questo recupero dell’immaginario anni ’80 da parte del cinema (soprattutto mainstream) contemporaneo, ci sia una grossa incomprensione. Quei film, e insieme a loro l’intero universo culturale che si tiravano dietro, non sono mai stati appannaggio del grosso pubblico. Lo sono ora, lo sono diventati ora. Ma, all’epoca della loro uscita nelle sale, si trattava sostanzialmente di robaccia per una ristretta nicchia di sfigati all’ultimo stadio e di ragazzini alla disperata ricerca di un’identità. Quello che il cinema di genere degli anni ’80 (ma per essere più precisi, ed è cosa che spesso si dimentica, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80) ha fatto, spesso in maniera del tutto inconsapevole, è stato costruire pezzo per pezzo, brutto ceffo per brutto ceffo, terra desolata per terra desolata, astronave per astronave, la nostra epica moderna.
Ed inconsapevolezza è la parola chiave. Insieme a ingenuità.
Erano film ingenui, semplici, non aspiravano a essere niente altro che buone storie ben raccontate.
I registi e sceneggiatori di Turbo Kid sono stati gli unici a capire, in un momento di selvaggio recupero e riciclaggio di quella mitologia, che erano la loro ingenuità di fondo, il loro manicheismo, la loro assoluta mancanza di cinismo, anche quando mettevano in scena antieroi e mattanze, a rendere quelle pellicole così speciali e così uniche. Irriproducibili.
Non è la citazione giusta al momento giusto, l’ammiccamento al pubblico, il cercare costantemente di dare di gomito allo spettatore per convincerlo che dietro la macchina da presa (e dietro l’intera macchina produttiva) ci sia uno di loro, a fare un buon film degli anni ’70-’80. Semmai è l’esatto contrario. O meglio, è l’equilibrio, molto fragile e sottile, tra il desiderare la complicità del proprio pubblico e il riuscire a tenerlo sempre inchiodato alla storia, non fargli mai pronunciare la frase peggiore sulla faccia della terra: “È solo un film”.
Ecco, guardando Turbo Kid, non capita mai neanche di pensarla, una cosa del genere. Dalle prime inquadrature ti immerge in storia e ambientazione, ti conquista con i suoi personaggi, ti commuove, ti esalta, ti disgusta e ti fa sorridere. E lo fa con un’ingenuità che è troppo vera per non essere sentita. Lo fa usando molto umorismo, ma evitando con cura ogni forma di distacco ironico. Turbo Kid non è un film che si prende in giro, anzi, tutto ciò che fa, lo fa seriamente. Cerca di suscitare emozioni reali, non filtrate. Se si ride, si ride di gusto e, quando si piange (perché si piange) è perché i personaggi ti sono entrati nel cuore.
“Facciamo che adesso io trovavo un guanto che sparava raggi e faceva esplodere i cattivi”.
Turbo Kid è questo: date una macchina da presa e qualche lira di budget a un bambino cresciuto imparando a memoria Mad Max e Robocop, e molto probabilmente ne uscirà una cosa molto simile.
A distanze siderali dai prodotti preconfezionati che sfruttano un revival con basi sostanzialmente nulle. Ma dove cazzo era tutta questa gente che oggi finge di aver visto seicento volte L’Implacabile, quando io e i miei tre amici in croce, da ragazzini, avevamo la stessa valenza sociale di una muffa perché ne recitavamo il copione battuta per battuta?
Turbo Kid è unico perché si rifiuta di inchinarsi alla cultura dominante e si riappropria dell’afflato anarchico, destabilizzante, e sì anche parecchio sfigato e disperato e quindi, di fondo, molto malinconico, di una filmografia nata con lo scopo di stravolgere e rivoluzionare il linguaggio cinematografico e poi rientrata nei ranghi della normalizzazione quando si è capito che ci si potevano fare un mucchio di soldi.
È la risposta a tutti quegli stronzi che pretendono ci vengano i lucciconi agli occhi per Pixels.
E si nota dai dettagli, da come spesso non vada a citare i soliti modelli, ma scavi nel passato, andando a ripescare quelle opere che hanno posto le basi per il cinema di genere degli anni ’80. E se non beccate il rimando a Soylent Green, siete brutte persone e non vi voglio più bene.
Si nota dall’affetto con cui coccola i suoi due protagonisti, soprattutto Apple, che contende a Furiosa la palma del miglior personaggio femminile dell’anno (ma allarghiamoci, del decennio). In completa controtendenza rispetto alle donne che siamo abituati a vedere al cinema in contesti apocalittici, con il suo atteggiamento stralunato e solare, il suo sorriso perenne, la curiosità nei confronti del mondo, l’ostinazione nel dare fiducia al prossima in maniera incondizionata. E comunque, all’occorrenza, è anche in grado di farti a pezzi con uno gnomo da giardino. Adorabile. Prendersi una cotta per Laurence Leboeuf è naturale e spontaneo.
Turbo Kid è anche un film violentissimo, ed è forse l’unico aspetto dove si nota che siamo nel 2015 e non nel 1985. Assisterete a sbudellamenti, decapitazioni, corpi tagliati a metà, mascelle strappate e poi usate come tirapugni, morti atroci di ogni tipologia immaginabile, e anche un vero e proprio diluvio di sangue nell’incredibile e romanticissimo finale.
La natura così esplicita della violenza è più figlia della nostra epoca che di quella a cui Turbo Kid finge di appartenere, perché oggi si possono mettere in scena vere e proprie stragi a tutto campo a costi relativamente contenuti, mentre una trentina di anni fa, il bugdet era spesso sufficiente a realizzare appena un paio di esplosioni di teste. La fattura degli effetti è chiaramente del XXI secolo, ma è solo lì che l’illusione, altrimenti perfetta, vacilla per qualche secondo.
La violenza poi, è talmente caricaturale da sconfinare nello slapstick. È liberatoria, estrema, selvaggia e creativa.
Sì, lo so, sono andata un po’ lunga. Chiedo scusa a chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui e, prima di chiudere, ho solo un’ultima considerazione da fare: Turbo Kid non è un esempio da seguire, ma è un epitaffio. È la parola definitiva su un cinema che tanto ci ha dato e che è stato spremuto fino al midollo, fino a diventare un vuoto ripetersi di stereotipi sempre più stantii.
Non mira a farci tornare bambini, Turbo Kid. Mira a farci ritrovare un atteggiamento meno distaccato e meno consapevole quando ci sediamo davanti a uno schermo. Mira a farci tornare semplici spettatori e non cinefili smaliziati.
Mira a essere cinema, insomma.
E adesso, per cortesia, possiamo fare in modo che gli anni ’80 riposino in pace, possibilmente per sempre?
Punto.
E ora lo DEVO vedere.
Visione imprescindibile
Concordo esattamente con te, anche nel modo in cui ti sei posta per commentare “Turbo Kid”, quando ho scritto il commento, mi sembrava…. Non so di rovinarlo parlandone troppo, mi è sembrato importante far capire alle persone che questo è un film che va visto, a scatola chiusa e sulla fiducia, quindi ho apprezzato molto il tuo approccio 😉 Laurence Leboeuf è in lizza per miglior personaggio femminile dell’anno…. Non si discute, avessi visto questo film da bambino sarebbe stata la fidanzata dei sogni, la principessa in pericolo che NON ha bisogno del principe azzurro 😉
Finisco solo dicendo sono d’accordo anche sull’ultimi punto, com’è che allora eravamo pochi (e guardati male) ad amare certi film/fumetti/libri etc ed ora sono mille mila? Non mi tornano i conti, qui qualcuno è saltato sul carro mi sa. Cheers! 😉
Ma infatti, se fai vedere Turbo Kid a uno che ha scoperto la cultura nerd con BBT, non lo capisce e lo schifa.
E meglio per noi, che possiamo gustarci queste perle in santa pace.
Basta vedere come si è trasformato il termine “nerd” adesso fa molto fico, fa molto ragazzo più intelligente che guarda cose che agli altri non interessano perchè non capiscono. Appunto mille mila, adesso. All’epoca il nerd era l’autentico secchione sfigato.
Esatto, era sinonimo di sfiga, di essere guardati mali e giudicati dall’alto, non ci credo che ora TUTTI si possano identificare. Cheers!
Hai scritto un post capolavoro, non solo riguardo al film in questione ma a tutta l’Operazione Riciclo Anni 80: amen, sorella, amen…
Ma grazie! È che a me tutta l’Operazione Riciclo Anni ’80 non è mai andata giù.
Perché, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, noi da appassionati di genere ci siamo stati davvero e sappiamo che cosa quegli anni sono riusciti a darci alla faccia di chi, oggi, si spaccia per profondo conoscitore di quello che, ai tempi, non cagava manco di striscio… Proprio per questo, sappiamo che il non limitarsi a operazioni intelligenti (come Lost After Dark, appunto) ma continuare a riciclarli, imitarli, citarli sempre più stancamente senza mai passare oltre, è forse la peggior mancanza di rispetto che si possa avere nei loro confronti. Turbo Kid riuscirà a fare il punto della situazione, finalmente? Almeno come lo ha fatto questo gioiello di post in cui ne parli?
Io spero tanto di sì. Che sia davvero l’ultimo capitolo di una storia durata troppo a lungo e che adesso si possa ricominciare a fare qualcosa di originale e nuovo, senza per forza muoversi sempre all’ombra di un ingombrante passato.
Vedremo…
Spero arrivi nelle sale spero arrivi nelle sale spero arrivi nelle sale spero arrivi nelle sale spero arrivi nella sale.
Ma non mi sono INVAGHITO DEL FILM dal SOLO TRAILER noooooooo ❤ ❤ ❤ ❤
Non penso che arriverà mai in sala da noi. Ma sperare non costa niente. E comunque, dato che ultimamente stanno cominciando a distribuire anche cose meno banali, forse chi lo sa…
innalziamo le nostre preghiere al Sacro V8
Avrei avuto altro da fare questo pomeriggio, ma come si può resistere a un post tanto appassionato? Così l’ho cercato subito questo Turbo Kid e mi è piaciuto, anzi l’ho trovato delizioso. Ma solo io penso che il 1997 non sia un anno scelto a caso? Facendone una goffa sintesi, a me ha ricordato una versione teen splatter di Fuga da New York, con spruzzatine di Blade Runner e sì, c’è anche il sosia di Indiana Jones. Ma forse saranno i miei anni perduti che parlano 🙂
Anche io sono convinta che la data non sia casuale, ma proprio per niente. Il 1997 è uno spartiacque, grazie a Carpenter e quindi la datazione è, per forza di cose, un omaggio al nostro Jena 😉
Sì, sono tutti presenti, i modelli da te elencati, ma non potevo parlarne troppo o avrei rischiato di rovinare la sorpresa a tutti. Specialmente per un film che tu hai nominato 🙂
Ah. Chiedo scusa.
Ma no, nei commenti facciamo come ci pare 😀
Figurati!
Ho deciso anch’io di seguire il tuo consiglio. Entro un’oretta sarà mio.
Non te ne pentirai!
Visto ieri notte su Netflix. Splendido. Il finale è commovente. Grazie mille del consiglio.
Sul finale io avevo i lacrimoni…
Figurati, è sempre un piacere diffondere le cose belle
Mi ero segnato questo post, nell’attesa di vedere il film.
Ora che (finalmente!) sono riuscito a vederlo mi rimane il dubbio che la tua recensione sia anche meglio del film stesso.
Intendiamoci, quello che scrivi è tutto vero: ho provato le tue stesse sensazioni, e come non si fa a non apprezzare un personaggio come Apple?
Il mio problema però con un film come questo è che io sono uscito dagli anni ’80 detestando cordialmente tutta quell’estetica che è il cuore pulsante del film stesso, e ora mi ritrovo preso in un corto circuito estetico-emozionale da cui non riesco a saltar fuori…
(che poi l’unica cosa fuoritempo del film è proprio il sosia di Indiana Jones che, appunto per le sue origini, è anche l’unico personaggio che negli anni ’80 è solo di passaggio, quasi fosse in prestito, ma che serve a far compiere alla pellicola un ulteriore doppio salto mortale, che contribuisce più di qualsiasi altro aspetto del film a mandarmi ancor più in confusione. :-))
Grazie, BTW.
Replicando con esattezza chirurgica gli anni ’80, ne deve per forza riprendere tutta l’estetica, da tutti i punti di vista poi… per esempio, la musica. E se quel tipo di estetica, caratterizzatissimo, non piace, è difficile che si possa apprezzare Turbo Kid in ogni suo aspetto. Anche perché, estetica e contenuti viaggiano di pari passo…