Mrs. Dalloway goes to R’lyeh – Making of 3

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La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei. Lucy ne aveva fin che voleva, di lavoro. C’era da levare le porte dai cardini; e per questo dovevano venire gli uomini di Rumpelmayer. “E che mattinata!” pensava Clarissa Dalloway “fresca, pare fatta apposta per dei bimbi su una spiaggia.”

Non sarà facile scrivere questo post. Infatti me lo sono tenuto per ultimo. A parlare di certe cose ho sempre un po’ di soggezione. Credo sia normale. Inoltre, non so quanto l’argomento possa interessare a quelli che abitualmente mi leggono. Questo è un blog di cinema di genere e ogni tanto lo utilizzo  per tenervi al corrente di altri miei progetti. Ed è il mio mezzo per farvi conoscere anche gli ebook che scrivo. Ma se con la Murena era tutto molto più semplice, qui i sentieri si fanno tortuosi e accidentati. E mi vedo obbligata a uscire dai miei soliti argomenti. Quindi vi comprendo perfettamente se salterete questo articolo a pie’ pari. Solo che io devo scriverlo. Spero di annoiarvi il meno possibile.
E quindi comincio con la cosa più noiosa sulla faccia della terra: un bel flashback. British_Museum_Reading_Room_500
Avevo 17 anni e mi trovavo a Londra. Era quindi la preistorica estate del 1996. Capitai al British Museum e lì finii in una sezione del dedicata ai manoscritti originali più importanti della storia della letteratura inglese. Sotto una teca di vetro, aperto proprio sull’incipit, c’era quello di Mrs. Dalloway, il romanzo pubblicato dalla Woolf nel 1925.
Lo avevo letto quell’inverno. Me ne aveva parlato uno dei miei professori, della Woolf. Io cercavo scrittrici donne ed ecco che mi arriva sul banco una copia di Una Stanza tutta per sé. Per circa un anno della mia vita, ho letto solo la Woolf. Ho letto tutto. Spesi un patrimonio per acquistare l’edizione dei Meridiani con le opere complete. Diari e lettere compresi.
Vi siete mai innamorati? Ecco, se sì, capirete cosa ho provato per quella donna così lontana nel tempo, che aveva spiegato a una ragazzina di 17 anni come la scrittura femminile passi attraverso l’indipendenza economica e l’abbandono della rabbia per la propria condizione di inferiorità.
Una Stanza tutta per sé comincia con Virginia Woolf che viene scacciata da un giardino di una università maschile dove non le è concesso entrare, continua analizzando i libri delle Bronte e della Austen e termina con uno dei più appassionati e potenti appelli, per qualunque donna voglia cimentarsi nella scrittura, mai apparsi su carta. E immagino come devono essersi sentite le studentesse dell’epoca, quando Virginia Woolf le incitava con queste parole, che riporto integralmente, e perdonate se non la voglio fare breve:

Vi ho già detto che Shakespeare aveva una sorella; ma non la dovete cercare nelle biografie del poeta.
Ella morì giovane; ahimè non scrisse mai una parola.
Giace seppellita là dove si trova oggi la fermata degli autobus, presso Elephant and Castle.
Ora io credo che questa poetessa, che non scrisse mai una parola e venne sepolta presso un incrocio, vive ancora.
Vive in voi e vive in me, e in molte altre donne che non si trovano qui questa sera, perché stanno a casa a lavare i piatti e a far dormire i bambini.
Tuttavia essa vive; perché i grandi poeti non muoiono; sono presenze perenni, hanno bisogno soltanto di un’opportunità e, mi sembra, siete finalmente in grado di offrirgliela voi.
Perché io credo che se viviamo ancora un altro secolo – parlo della vita comune, che è la vera vita, e non delle piccole vite isolate che ognuno di noi vive come individuo – e riusciamo ad avere cinquecento sterline l’anno, ognuna di noi, e una stanza propria; se abbiamo l’abitudine della libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; se usciamo un attimo dalla stanza comune di soggiorno e vediamo gli esseri umani non sempre in relazione l’uno con l’altro bensì in relazione con la realtà; e anche il cielo e gli alberi o ciò che si voglia; se guardiamo oltre lo spauracchio di Milton, poiché nessun essere umano ci può chiudere la visuale; se guardiamo in faccia il fatto, poiché si tratta di un fatto, che non c’è un solo braccio al quale appoggiarsi, ma che dobbiamo fare la nostra strada da sole e che dobbiamo essere in relazione con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne, allora si presenterà finalmente l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, ritornerà al corpo del quale tante volte ormai ha dovuto spogliarsi.
Attingendo la sua vita dalla vita di quelle sconosciute che l’hanno preceduta, come prima di lei fece suo fratello, nascerà la poetessa.
La possibilità tuttavia che ella possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte vostra, senza quella decisione che ci vuole perché una volta rinata ella possa vivere e scrivere il suo poema, è comunque da scartarsi, poiché ciò sarebbe assolutamente impossibile.
Ma io sostengo che ella arriverà, se lavoriamo per lei; e che lavorare così, sia pur nella povertà e nell’oscurità, vale la pena.”

Commozione a parte (io non riesco a rileggere questo passo senza che mi luccichino gli occhi), è ciò che insegna la Woolf in queste poche righe ad avere un valore enorme. E non solo per le donne, ma per tutti quelli che vogliano scrivere qualcosa.
Torniamo a Mrs. Dalloway. Era il suo primo romanzo compiuto. I tre che lo hanno preceduto, La Crociera, Notte e Giorno e La Stanza di Jacob, assomigliavano più a esperimenti. Mrs. Dalloway invece, rappresenta l’irruzione vera e propria di Virginia Woolf nella storia della letteratura:  vedere “gli esseri umani non sempre in relazione l’uno con l’altro bensì in relazione con la realtà; e anche il cielo e gli alberi o ciò che si voglia”.
Ora, rileggete l’incipit di Mrs. Dalloway e vedrete messo in pratica il senso profondo di questa frase. Si piomba, immediatamente e a precipizio, in una relazione intima con la realtà. È uno sprofondare, in un istante, insieme a Clarissa, dentro una giornata che sembra fatta apposta per dei bimbi su una spiaggia. Si sente il sole sulla pelle e l’aria fresca e la città che si sveglia e inizia a muoversi. E se lo leggete in inglese è anche meglio.

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Quando ho iniziato a scrivere Il Posto delle Onde, ero reduce da una rilettura (l’ennesima) di Mrs. Dalloway e di un altro romanzo della Woolf, Le Onde, il suo libro più complesso e ostico. È stato un processo naturale essere influenzata da lei. Ho disseminato quindi il mio piccolo ebook di omaggi a una delle figure più importanti della mia vita. E così, Mrs. Dalloway è diventato il romanzo preferito della madre di River, anche se River non lo ha mai letto tutto perché “troppo difficile”, e c’è un personaggio che ho chiamato proprio Clarissa. Ma, soprattutto, ho cercato di trasferire, nelle due protagoniste, delle caratteristiche tipiche di Clarissa Dalloway e di Septimus Smith, che nel romanzo della Woolf si incrociano solo un paio di volte per caso e non si conoscono mai. Ma la morte del secondo permette alla prima di salvare se stessa e di guardare la vita con occhi diversi.
Mi sono divertita a compiere questa operazione, anche se l’ho portata avanti in maniera quasi invisibile, così il fantasma di Virginia non mi viene a infestare casa e a tormentare nottetempo per come mi sono permessa di scomodarla in  uno sciocco libriccino che parla di mostri.
Però, ecco, non potevo tirarmi indietro, non dopo aver preso Clarissa Dalloway e averla trasportata dalle parti di R’lyeh. Visto a posteriori, questo strambo viaggio non mi sembra poi così paradossale, mentre due autori all’apparenza molto diversi tra loro non mi appaiono così distanti. Non come apparivano ai miei attoniti interlocutori quando, da ragazzina, confessavo che sì, passavo con disinvoltura da Virginia Woolf a Lovecraft e non ci vedevo alcuno scandalo.
In fondo, sempre di epifanie, o di “moment of being” (ho sempre adorato questa definizione) si tratta. Di unire i puntini e dare una sbirciata a ciò che si intravede dentro e al di là del reale. Con effetti il più delle volte opposti per i due scrittori, certo. Ma il punto di partenza, la ricerca, il viaggio appunto, sono simili.

Kraken_4Ho scritto tanta roba nella mia vita. Brutta e meno brutta. Ma niente è stato così importante come Il Posto delle Onde. Non sto a spiegarvi perché, ho già ciarlato a sufficienza. Ma proprio a causa dell’importanza che quella storia ha rivestito per me, era ovvio e doveroso che, ad aprirla e chiuderla, come tra due parentesi (o come in un abbraccio), ci fossero Virginia Woolf e H.P. Lovecraft.
Se lo scheletro del mio racconto deriva da Lovecraft e dal suo immaginario, i muscoli e la pelle sono stati modellati dalla Woolf. Certo, io non avrò mai, neanche se dovessi mettermi a scrivere minacciata da un kraken che vuole spianarmi il culo a calci, la sua capacità di scavare nelle pieghe del nostro mondo e farlo apparire ai nostri occhi come un luogo appena nato.
Ma da lei ho imparato almeno a fare un paio di cose: a distogliere lo sguardo dal mio ombelico e ad alzarlo per guardarmi intorno. A non vergognarmi di quello che scrivo. A cercare, soprattutto, cercare e collegare le cose e le persone tra loro.

«Vedo un anello» disse Bernard «sospeso sulla mia testa. Pendente, tremulo e vibrante, in un cerchio di luce.»
«Io vedo una lastra di un giallo pallido» disse Susan «che fugge via fino a perdersi in una striscia violetta.»
«Io odo un suono» disse Rhoda «cip cip, cip, cip; su e giú tra i rami.»
«Io vedo un globo» disse Neville «pendulo come una goccia contro i fianchi immensi di una qualche collina.»
«Vedo una nappa color cremisi» disse Jinny «con fili d’oro intrecciati.»
«Io sento come uno scalpitío» disse Louis. «Il piede di un grosso animale è stato incatenato. E la bestia scalpita, scalpita, scalpita.»

E con questo, abbiamo terminato. Credo sia l’articolo più lungo mai apparso sul blog. Non so nemmeno che diavolo ho scritto.
Avevo un debito da pagare e l’ho fatto.
Ma, prima di salutarvi, voglio farvi vedere un’illustrazione che la mia amica Silvia ha realizzato per me, immaginando il Grande Cthulhu e Virginia Woolf che si incontrano. La ringrazio, perché è bellissima. E irriverente. E dopo tanta seriosità, un po’ di ironia ci vuole.

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Vi lascio il solito link all’acquisto dell’ebook.

16 commenti

  1. Mi scuso con Cthulhu e la Woolf, ma soprattutto mi scuso coi tuoi lettori. Non sono in grado di essere seria per più di dieci minuti consecutivi. ◕‿◕

    1. Ma ti si ama per questo. E la tua vignetta è meravigliosa, nella sua psychopucciosità!

      1. Giuseppe · ·

        Vero! 😀 Come non è da meno TUTTO il post, sia chiaro. Tanto da voler provare a immaginare che Virginia Woolf possa leggerlo, sentendosi orgogliosa di come hai messo in pratica il suo insegnamento… e ho pure la presunzione di credere che il suo fantasma – non avendo motivo di tormentarti – non se la prenderebbe nemmeno con me, per quello che ho provato a immaginare. 😉

        1. Silvia ha fatto un gran lavoro per mettere insieme quei due 😉
          E sono contenta che tu sia passato da queste parti, Giuseppe… senza di te, il deserto!

          1. Giuseppe · ·

            E ti pare che io ti potessi lasciare in mezzo al deserto? 😉

        2. Beh, grazie dell’apprezzamento Giuseppe! 🙂 Fa piacere che qualcuno legga e abbia perfino la gentilezza di esprimere un pensiero. Specialmente perché questo è l’ultimo Making of sull’ebook di Lucia. Non è una recensione su un film. Ma è un articolo che racconta la nascita di un libro bellissimo della padrona di casa. Io ho contribuito con una sciocchezza, che comunque mi ha impegnato una mezza giornata. 😀 Ma che piacere che è stato. Un sentito grazie, davvero.

          1. Giuseppe · ·

            Non c’è di che, Silvia 🙂

  2. Mettiamola così: finirò di leggere il tuo romanzo e gli dedicherò un post il più approfondito possibile, perchè non meriti di meno.

    1. Grazie, fratellone! Sono davvero felice ❤
      E non vedo l'ora di leggere il tuo post

      1. Dammi solo del tempo perchè sono in editing del Settimino, in stesura del suo seguito, in fase di documentazione per la seconda indagine di Martinengo, in fase appunti per un noir slegato dai miei due cicli e poi sto leggendo Pandiani, Mana, Chandler e…Patrizi!

        1. Ahahahahah! Ma ci mancherebbe!
          È comunque bellissimo avere così tante cose da leggere, scrivere ed editare

          1. E’ la vocazione di una vita che in parte si concretizza… oltre desidero ben poche altre cose…

          2. Sì, anche per me è la stessa cosa. E dopo tanti anni, finalmente, riesco a fare ciò che voglio.
            Certo, anche a me manca girare un bel film dell’orrore, ma per quello c’è sempre tempo 😉

          3. Tipo fare un film horror come dico io!
            😉

  3. Fantatico questo editoriale XDDD

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