Regia – Oliver Blackburn (2014)
Ovvero, You’re Next girato meglio e senza siparietti comici e spiegoni. Basterebbero davvero queste poche parole per consigliarvi la visione di Kristy, opera seconda del regista di Donkey Punch, britannico trapiantato negli Stati Uniti. Eppure c’è molto altro da dire.
Prima di tutto, che a leggere i nomi coinvolti nel progetto si sente la puzza di stronzata lontano un centinaio di chilometri. Scrive Anthony Jaswinski, responsabile di Vanishing on 7th Street e produce Scott Derrickson, che, dopo la fortunata parentesi di Sinister, è tornato al suo vecchio amore: il pippone moralista e religioso alla Emily Rose, realizzando Dliver us from Evil, uscito persino da noi in sala, tanto per deliziarci con le vaccate.
Non nascondo a nessuno che entrambe queste presenze pesano sul film come macigni, rischiando di schiacciarlo. Fortuna che ci pensa Blackburn a salvare la baracca, portando in secondo piano sia l’impostazione vagamente bigotta che sottende al film come un fastidioso ronzio di fondo, sia una sceneggiatura molto lineare, un po’ scontata e con qualche buco di troppo.
E tuttavia, se siete amanti degli script sfaccettati e pieni di colpi di scena, o dei film con una morale ben precisa, è probabile che Kristy vi farà incazzare.
Se invece volete assistere a un survival teso e brutale, accomodatevi pure e non ve ne pentirete.
Quando tutti tornano a casa per il fine settimana del Ringraziamento, Justine (Haley Bennet), che non ha i soldi per l’aereo, rimane da sola nel gigantesco dormitorio della scuola. Anche il suo fidanzato la molla, per andare a passare la festività con la sua famiglia di ricconi che, si capisce, non ha in grande simpatia Justine.
All’inizio è anche divertente avere quel luogo tutto per sé. Ma, durante una breve uscita per comprare schifezze in un supermercato, Justine incontra una strana ragazza che inizia a chiamarla “Kristy”. Insieme ad altri tre figuri incappucciati e mascherati, la ragazza si introduce nel dormitorio. E comincia la caccia.
Una specie di home invasion su scala più grande, quindi, dove al posto della casa, abbiamo un dormitorio studentesco enorme e isolato, un’ambientazione sfruttata molto bene da Blackburn, a cui piace stare incollato con la macchina da presa alla sua protagonista, seguirla nei corridoi vuoti e silenziosi, spiarla quasi, mentre è da sola nelle varie stanze dell’edificio. Sia prima dell’arrivo degli assalitori che durante la caccia, Blackburn non le si toglie un istante di dosso. Ed è molto brava la Bennet a sostenere il peso di 86 minuti sempre in campo e sempre sottoposta a stress fisico ed emotivo.
Potendo godere di un budget di circa sette milioni di dollari, Blackburn si diverte come un matto con steadycam, dolly e addirittura una splendida ripresa con un elicottero che, da un primo piano di Justine, ci porta a osservare l’intero campus deserto dall’alto e a sentirci, anche noi, smarriti in un ambiente così grande e improvvisamente ostile.
Il montaggio del veterano Jeff Betancourt aiuta tantissimo a non farci pesare troppo la linearità eccessiva del film, spezzandola a tratti con degli interessanti trucchetti. Vedere, a tale proposito, la scena in cui Justine inizia la sua prima giornata da sola nel dormitorio: è un piccolo gioiello.
Da qui qualche spoiler. Siete avvisati.
Se c’è una cosa che apprezzo, in un certo genere di film, è l’assenza di motivazioni chiare o di spiegazioni. Non so se ricordate quella fulminante linea di dialogo di The Strangers: “Perché eravate in casa”. Ecco, nell’ottica di un home invasion, o di un survival di questo tipo, basta e avanza per rendere gli assalitori terrificanti, senza che ci sia bisogni di ulteriori chiarimenti.
Kristy sembra addirittura spingersi oltre sul perché: la misteriosa ragazza a capo della banda che perseguita Justine neanche risponde. Justine viene aggredita perché esiste, perché ha avuto la sfortuna di incrociare la sguardo con la persona sbagliata.
Purtroppo, questa meravigliosa assenza viene turbata dalla forzatura di voler far apparire il sadico gioco come parte di un disegno più ampio. L’idea di una sorta di setta che chiama le proprie vittime, scelte comunque in assoluta casualità, “Kristy” (sì, c’è il richiamo a Cristo e odore di satanismo per diversamente intelligenti) è però appena accennata, quasi per niente sviluppata e se ne sta lì più come tappabuchi che come reale snodo narrativo. Si ha l’impressione che Jaswinski non abbia avuto il coraggio di non fornire ai suoi killer uno straccio di giustificazione e allora abbia scelto di inserire la storiella della setta.
E qui interviene Blackburn, abbastanza furbo da rendere ambigua e nebulosa tutta la faccenda, attento soprattutto a non darci il tempo materiale di porci domande, mettendo il turbo al suo film e facendolo scorrere rapidissimo verso la conclusione.
Lo abbiamo detto prima: 86 minuti. Davvero pochi per dare spazio ad altro se non la caccia, la paura e la trasformazione (già vista mille volte, è vero) di Justine da vittima in combattente. Una trasformazione meno repentina e realizzata in maniera migliore rispetto ad altri prodotti di questo tipo. Il background di Justine è del tutto inesistente: di lei sappiamo solo che è povera, ha amici e fidanzato che al contrario sono tutti figli di papà e che è un genietto in chimica, elemento che ci sarà molto utile in seguito.
Per il resto, il suo personaggio esiste solo in funzione della sua sopravvivenza, come i suoi persecutori esistono solo in funzione della sua morte.
Se la Bennet è intensa quanto basta e ha anche la fisicità giusta per il ruolo, è sorprendente invece, nonostante lo scarso minutaggio a lei riservato, e sebbene reciti quasi sempre con un cappuccio a coprirle gli occhi, la performance di Ashley Greene: non ti aspetti tanta cattiveria e tanta misura da una che è diventata famosa per aver partecipato a tuailait. Eppure Kristy non avrebbe lo stesso impatto senza la sua figura, capace di esprimere proprio quel buco nero di motivazioni che veicola la paura in un film del genere. Non c’è possibilità di dialogo con lei, non ci si può venire a patti, è una forma nella notte, uno spauracchio svuotato da ogni empatia nei confronti del prossimo. Ed è l’unica che non porta una maschera e che quindi non necessita di nascondere la propria umanità dietro a un altro volto. Tanto non ne ha.
Kristy funziona come puro meccanismo di tensione, funziona come esperienza molto semplice e primitiva di lotta per la sopravvivenza, e funziona anche nella costruzione di un paio di personaggi meno stereotipati del solito.
È un film che passa veloce e resta impresso nella memoria, soprattutto grazie a delle scelte molto accurate da parte di Blackburn, che forse meriterebbe copioni migliori. O di tornare a lavorare in patria.
Già che ci siete, rispolverate Donkey Punch.
Muy bien, l’ho già preso, ma dai commenti in giro non capivo se valesse la pena vederlo o no. Poi io i survival li seguo volentieri anche quando fanno tendenzialmente cagare. E anche i Survivor.
Non è che si tratti di un capolavoro, però a me è piaciuta molto l’impostazione stilistica. E poi ho un debole per questo tipo di storie 😀
Interessante….segno!
p.s. Visto sia “Cheap Thrills” sia “Blood Glacier”, buone pellicole tutte e due, seppur di genere diverso…
Sì, sono due cose diversissime tra loro. Chep Thrills è angosciante, Blood Glacier è un filmone di serie B divertentissimo!
donkey punch mi era piaciucchiato abbastanza.
e con questa rece mi hai incuriosito… 😉
Considerata la tematica, e il fatto che lo abbiano girato con tre lire e mezza, Donkey Punch era un successone!
Ti consiglio Cheap or Trick c’è una bellissima Anne Paquin vestita da cappucetto rosso,non c’entra niente ma senti che sogno ha fatto:fuggivo dagli zombi arrivavo dentro un supermercato ma dentro ci sono gli Aliens di cui uno mi da il suo bacio a due bocche.
Un saluto Lucia e ben tornata.
Beh, che da tuailait ci si possa redimere con classe è già di per sé una bella notizia, direi 😉 …se poi mi scrivi che questo succede all’interno di un (perlomeno) discreto survival contribuendo al risultato complessivo, ancora meglio!
Ottima dritta, thanks
Sinceramente ero perplesso riguardo a questo film, però la tua recensione mi ha incuriosito.
Proverò a dare una possibilità a Kristy.
sembra abbastanza interessante
Sono d’accordo con la tua analisi, in particolare sulla Greene che con ogni probabilità si sta disintossicando da twilight.
Su Burying the ex di Joe Dante è favolosa ed odiosa.
salve a tutti
ho l’impressione che sia dedicato più alle problematiche che l’America affronta oggigiorno, tipo difendersi dagli anticristiani per eutonomasia
Poi ho notato che uno della gang (una volta ucciso), aveva una medaglina al collo da ex militare..
non vorrà dire qualcosa?
credcredo che ci sia tanto da discutere
grazie a voi tutti