The Sacrament

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Regia – Ti West (2014)

Avvertenza: dato che il film è recentissimo e ancora visto da pochi, cercherò di evitare ogni forma di spoiler. La trama di The Sacrament è molto stringata e può essere riassunta in poche righe. Una troupe di Vice si reca in una comunità religiosa chiamata Eden Parish, per cercare la sorella di uno di loro. La ragazza, ex tossicodipendente, sembra aver trovato proprio in quella comunità una nuova dimensione di vita, e insieme a lei, tanti altri che hanno scelto di isolarsi dal mondo sotto la guida di un anziano predicatore chiamato Father. Altra cosa: il post sarà lungo e complicato. Mi dispiace non essere sintetica, ma parliamo di Ti West. 

 

Ho paura di cominciare questo articolo. Non so neanche come descrivere il film in oggetto. Potrei dare la colpa a Eli Roth e finirla lì. Oppure dire che, cambiando la squadra di lavorazione, affidandosi ad altri produttori e non al solito, bravissimo, Larry Fessenden, sostituendo molti elementi della troupe con gente nuova (per esempio, manca Jeff Grace e al suo posto ci ritroviamo con Tyler Bates che aiutami tu. Oppure, non c’è più il direttore della fotografia Eliot Rockett) e circondandosi dai fighetti dell’horror indie americano, quelli irritanti, quelli di You’re Next, era ovvio che sarebbe successo qualcosa di brutto. Di sicuro sono tutti fattori che concorrono alla scarsa riuscita di questo The Sacrament. Perché, diciamolo subito così ci togliamo un gran peso dal cuore, l’ultima fatica di Ti West è una mezza delusione. Siamo sempre una spanna sopra l’80% dei falsi documentari che infettano il mondo del cinema da Paranormal Activity a questa parte. Ma è lecito da Ti West aspettarsi qualcosa di più rispetto a un prodotto tutto sommato mediocre, che non possiede un grammo della classe e dello stile a cui ci eravamo abituati. E quindi la tentazione è di incolpare gli altri. Ma poi ci si ricorda di VHS e di The ABC’s of Death e allora ci si rende conto che non esiste solo il Ti West raffinato uomo di cinema che ci ha regalato The House of the Devil e The Innkeepers. Esiste anche un altro Ti West, quello di The Sacrament, svincolato dal suo modo di narrare fuori dal tempo, e al contrario attento a essere al passo con tutte le mode del più recente (e deteriore) cinema horror indipendente americano. 

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È già a partire dalle scelte di casting che è possibile notare quanto Ti West sia stato assimilato da quella specie di factory horror (si fanno chiamare Mumblegore) di cui però non è mai stato un vero esponente, se non di striscio. Abbiamo infatti Joe Swanberg come protagonista, insieme ad AJ Bowden (che sì, aveva un piccolo ruolo in The House of the Devil) e mezzo cast di You’re Next. Il fatto poi che a capo di tutto, come produttore esecutivo, ci sia quel volpone di Roth, dovrebbe far capire come la sbandierata indipendenza non sia altro che una questione di facciata. Fighettismo elevato all’ennesima potenza ed eretto a sistema. Una roba che se io fossi Fessenden andrei all’asilo  a riprendermi West tirandolo via per le orecchie. Ma, e qui arriva qualche buona notizia, per nostra fortuna Ti West è comunque Ti West, e anche nel suo film meno riuscito, è comunque capace di spingere a delle riflessioni non banali sul cinema, sull’uso della macchina da presa, sulla prospettiva e il punto di vista. Ed è quindi abbastanza scontato che scateni queste riflessioni con un genere, quello del mockumentary, che del cinema è diventato il grado zero.

Falso documentario. Un modo di girare film che ci dice, in continuazione, che chiunque potrebbe farlo, che la presenza o meno dell’autore è irrilevante. Basta premere il pulsante sulla nostra telecamera di ultima generazione e il film si fa da sé. Basta piazzare a ogni angolo della casa uno strumento di ripresa e abbiamo pronta una bella storia di fantasmi con cui terrorizzare le platee di tutto il globo. Fa specie che proprio Ti West, sempre così attento all’estetica, sempre così riconoscibile per la fluidità e la morbidezza della sua macchina da presa, abbia scelto di dedicarsi a questo genere. E non è spiegazione sufficiente la presenza di operatori professionisti a documentare gli avvenimenti. Sempre di riprese traballanti, momenti di mal di mare, sonoro incespicante e confuso si tratta, anche se la troupe di Vice che va ad accompagnare un amico a incontrare la sorella nella comunità religiosa di Eden Parish gira sicuramente meglio di un ragazzino che va a indagare in una casa infestata armato di telecamerina. Ed è singolare che The Sacrament tiri fuori il meglio di sé quando manca, appunto, una qualsiasi prospettiva, quando un qualunque personaggio secondario si appropria della telecamera dell’operatore professionista, la appoggia dove capita e continua a documentare il dramma, quasi inconsapevolmente. Questo in teoria, ché in pratica, lo sappiamo, l’assenza di un punto di vista ponderato e deciso è impossibile, quando si gira. E la casualità delle angolazioni di ripresa non è tale. Tutti sappiamo che la telecamera è lì perché Ti West ha voluto che lì si trovasse. Eppure l’illusione è forte. E allora ci si domanda se Ti West non abbia voluto girare un mockumentary per dimostrare l’inconsistenza e l’illusorietà di uno sguardo oggettivo e senza filtri alcuni su ciò che lo spettatore sta guardando. 

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Ma il vero problema di The Sacrament, quello che lo rende un episodio di scarso valore all’interno di una filmografia altrimenti perfetta, non sta nelle scelte estetiche. Era ovvio che non ci si potesse aspettare da West una riedizione dei suoi splendidi carrelli, o di quella capacità di terrorizzarci soltanto costruendo atmosfera con un lento movimento di macchina. La struttura stessa del suo film non glielo permette. Avendo abbandonato, volutamente e in nome di un genere tanto in voga in questo periodo, gli strumenti tipici del suo mestiere, West deve barcamenarsi tra uno zoom e una panoramica a schiaffo. Nemmeno può permettersi di giocare col sonoro, che non si presta a complicate rielaborazioni.

Il fallimento di The Sacrament è tutto sul piano narrativo, purtroppo. The Sacrament è carente nella storia e nei personaggi. Due elementi fondamentali nei film di Ti West, fino a questo momento.

I detrattori del regista hanno sempre affermato che le opere di Ti West sono “lente”. In realtà non si tratta di lentezza, ma di un graduale ingresso nelle vite dei personaggi messi in scena. L’empatia non è una cosa che si ottiene in un lampo. E, se si guardano le due figure femminili nei due horror precedenti di West, ci si rende conto di come ogni minuto di entrambi i film concorre a farcele conoscere e amare.

Ma se questo viene a mancare, ecco che i primi 40 minuti di The Sacrament sono davvero lenti, sono davvero noiosi, sono davvero momenti in cui non accade niente.
Ed è paradossale che l’unico carattere con cui si entri un minimo in contatto sia quello di Father, il predicatore. Mentre dei tre giornalisti non ce ne può fregar di meno. Bisogna anche ammettere che investire la nostra emotività nel “cattivo” (scusate se semplifico, dovrei dilungarmi e sarei obbligata a spoilerare) crea un interessante corto circuito e quando il prevedibile sviluppo di violenza e morte del racconto si scatena davanti ai nostri occhi, ci troviamo spiazzati. Ma non so quanto questo corto circuito sia voluto  o se sia solo merito delle capacità di attore di Gene Jones.

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Per il resto, i protagonisti non hanno un briciolo di approfondimento e l’unica caratteristica che lo contraddistingue è il cinismo un po’ distaccato e superiore tipico di chi si confronta con una realtà così aliena come quella di una comunità rurale che ha rinunciato a qualsiasi contatto col mondo esterno. Niente di male in questo, sia chiaro. Anzi, è naturale un approccio del genere. E tuttavia rimangono delle figure malamente abbozzate, con cui è difficile entrare in contatto. Sembra quasi che Ti West non si sia neanche sprecato a scriverli, questi personaggi. Tanto c’erano i suoi cari amichetti a interpretarli

Mi viene il sospetto che West abbia appositamente realizzato un’opera così anonima e piatta per dire la sua su un genere intero e sugli spettatori che chiedono solo spaventi a buon mercato e riprese traballanti in nome di un supposto realismo, tale solo sulla carta. Perché, forse, il realismo non sta nella scelta stilistica del falso documentario, ma nella messa in scena di situazioni e personaggi quotidiani e credibili. In cui inserire, come un meccanismo che a un certo punto si rompe e impazzisce, l’elemento destabilizzante, sovrannaturale o umano che sia poco importa.
Oppure si tratta solamente di un film uscito male, scritto superficialmente e realizzato al di sotto degli standard.
E magari sarà il film di maggior successo commerciale di Ti West.

14 commenti

  1. Solo per il fatto che è un mockumentary sarebbe da bocciare in partenza. Dai, REC è stato l’ultima cosa buona legata a questo genere di film, sarebbe anche ora di finirla, sono passati anni…
    Poi il fatto che ci sia di mezzo Eli Roth mi fa cadere le balle, quel tizio da Hostel in poi non ha saputo più tirare fuori niente di originale.

  2. Helldorado · ·

    Io sopporto poco i mockumentary, found footage e roba traballante, apprezzo qualche titolo come il già citato REC o Diary of the Dead di Romero. Ma che Ti West si mettesse a fare una roba così e oltretutto in malo modo, mi dispiace molto, “The Innkeepers” mi era piaciuto assai e l’avevo scoperto proprio grazie a te. Questo non credo che lo inserirò nella famosa lista di film da vedere…

  3. Giuseppe · ·

    Il tuo sospetto è ragionevole…che se avesse voluto esprimere una personale critica di genere accentuandone e sottolineandone a modo suo i difetti sarebbe stato perfettamente in grado di farlo. Questo però non toglie che -visti i tizi che circondano adesso West 😦 – Fessenden dovrebbe davvero andare a riprenderselo prima che sia troppo tardi…

  4. Una domanda che forse va fuori tema: anche qui c’è Oren Peli in produzione?
    In You’re the Next, che per me ha qualche pregio, c’era il suo zampino. Non è che fa parte della banda?

    1. Mi sembra che questa volta Peli non sia della partita. You’re next aveva qualche pregio, come anche questo The Sacrament, ma purtroppo non riesco ad apprezzarli, perché non è il tipo di cinema che di solito amo. Troppo distante da me.

      1. You’re the next mi è piaciuto per il tema dei delinquenti che si trovano inaspettatamente il badass davanti che gli fa il mazzo. Mi piace come tema.
        La realizzazione ha qualche falla e ho trovato fastidioso l’uso di camera da mockumentary a spot. Ogni tanto c’erano queste inquadrature alla Peli che mi hanno proprio dato noia, in quanto erano fuori tema.
        Comunque questo me lo guarderò, appena riesco, anche se è un mock e io sono un po’ saturo del genere.

        1. Okay, visto stanotte. Non posso che condividere le tue riflessioni: la parte narrativa è piatta, vuota, nulla di nuovo rispetto ad altre storie, spesso girate anch’esse con la camera a mano.
          Cosa che tra l’altro non tollero più.

  5. quindi il settantenne Levinson ha fatto meglio rispetto al nostro amato Ty.
    Io temo che lo stiamo perdendo.
    Vabbè aspetto il suo prossimo film che dovrebbe esser un western ^_^

  6. Eppure, voglio vederlo. Sarà perché sono come San Tommaso, sarà perché c’è di mezzo “cialtrone” Roth. Certo, la definizione Mumblegore l’avevo già incontrata scrivendo la recensione di You’re Next e quando cominciano a mettere etichette di solito è l’inizio della fine!

  7. Visto proprio ieri. Mi è parso abbastanza piatto, a tratti davvero noioso. Peccato perchè il tema era assai interessante.

  8. Sì, il problema però sta anche nel fatto che Ti West aveva già precedentemente partecipato (con due rispettivi corti) a “V/H/S” e a “The ABC of the Death”, con risultati, anche lì, a mio avviso molto deludenti. “Che gli è preso?”, mi son detto vedendo tali corti. E chi lo sa? Il genere “mocku” è molto inflazionato oggigiorno, e forse dobbiamo accettare questo trend appartenente alla “Vita liquida” di cui parla Zygmut Bauman, Molto “mocku”, in verità, non sono da buttar via (Elvezio Sciallis ha appena elogiato “Il Segnato” sul suo blog. Il film non l’ho visto, ma non mi aspettavo tale giudizio da Elvezio. Il sottoscritto ha appena scritto una recensione piuttosto positiva del recente “Afflicted” (che più “mocku” non si può: è fatto davvero tutto con videocamere Go-Pro!). Forse occorre vedere un film in sè, come contenuto estetico in quanto tale,come gestalt complessiva, non guardando coè più alla tecnica in quanto tale. O comunque ormai io mi son messo a funzionare così. E’ possibile cioè che il film di West non ti sia piaciuto perchè è proprio brutto in sè, aldilà dell’amatorialità usata come mezzo. Ciao, a presto. 🙂

  9. Re Ananas · ·

    Secondo me bisognerebbe ricordarsi che il cinema a volte ha la capacità di intrattenere documentando e questo film ci riesce benissimo. Trovo interessanti le puntualizzazioni tecniche ma per fortuna al cinema non andiamo tutti con in tasca il manuale della perfetta regia. Il film è bellissimo, girato bene e il cast è perfetto. Ricordiamo che si tratta di una trasposizione di Jonestown e in questo senso di mock c’è veramente molto poco, sembra un documentario vero. Chi conosce Vice sa che sono gli unici ad oggi ad approcciare i reportage in questo modo e la scelta dei reporter è perfetta, per nulla hipster ma sufficientemente borghesi alternativi di New York, abituati al cinismo dietro uno schermo ma abbastanza in crisi in mezzo alla natura selvaggia. Gene Jones è clamoroso, dall’inizio alla fine, e chi conosce la storia di Jim Jones (inquietante la quasi omonimia) non potrà non restarne perturbato. Tutti quelli a cui l’ho consigliato non conoscevano Jonestown ed episodi simili ma ne sono usciti con una fortissima partecipazione emotiva. Insieme a Red State è un valido esempio di orrore perturbante in cui l’oscuro non si annida in alcunché di soprannaturale, ma nella difficoltà a districarsi all’interno della logica a cui si ispira il progetto del paradiso in terra, che da presupposti utopistici (e in parte condivisibili) si traduce in ecatombe paranoide.

    1. Io non ho nessun manuale della perfetta regia in tasca. E secondo me l’approccio di West al tema è stato superficiale. Per questo salvo l’aspetto tecnico e le riflessioni sul cinema che sono presenti nell’opera. A questo punto, Red State è molto più incisivo rispetto a The Sacrament. E se mi voglio documentare su Jonestown, mi vedo il bel documentario che si può trovare anche sul tubo.

  10. Re Ananas · ·

    In che senso superficiale ? Non ho trovato forzature, lo script è molto fedele alla vicenda originale, manca il deputato americano a creare il ‘casus belli’ sostituito da un episodio ugualmente credibile. I documentari che trovi, alcuni molto belli, si concentrano su tutto il percorso di Jones, non c’è adrenalina per quanto io ami molto lo stile di Minoli. Eden Parish è Jonestown dall’interno, con un Gene Jones a mio avviso clamoroso nella scena dell’intervista ma anche nell’epilogo.
    Red State è sicuramente un film di spessore superiore, a cominciare dal cast, ma non lo definirei un horror. Il dato curioso è che gli ultimi tre horror belli che ho visto sono found footage. Sacrament, La stirpe del male e The borderlands. Non l’avrei detto.

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