“In order for life to have appeared spontaneously on earth, there first had to be hundreds of millions of protein molecules of the ninth configuration. But given the size of the planet Earth, do you know how long it would have taken for just one of these protein molecules to appear entirely by chance? Roughly ten to the two hundred and forty-third power billions of years. And I find that far, far more fantastic than simply believing in God”
Ne parlavo un po’ di tempo fa col dottor Mana che, tra le altre cose, è anche uno degli autori di questa raccolta di saggi su Blatty scrittore. E, se vi interessa uno degli autori più importanti dell’ultima quarantina d’anni o giù di lì, il mio consiglio è di darci un’occhiata. Però Blatty, oltre ad aver scritto ottimi romanzi, è anche un vecchio cinematografaro. Sceneggiatore, prima di tutto. Ha iniziato a scrivere con Blake Edwards, firmando il copione de Uno Sparo nel Buio e continuando poi la collaborazione col regista per diverse commedie. Nel ’71 lavora, non accreditato, alla sceneggiatura di The Omega Man, che segna la sua prima incursione nel territorio del cinema fanta-horror.
Due anni dopo, ecco che precipita sul mondo L’Esorcista. Non sto qui a dirvi il ruolo fondamentale che romanzo e film hanno avuto nella storia del cinema tutto. Non solo dell’orrore. Lo sapete da soli e se non lo sapete avete sbagliato blog.
Blatty, oltre a essere l’autore dello script, è anche il produttore della pellicola. Il successo interplanetario de L’Esorcista potrebbe far pensare che da quel momento in poi la carriera cinematografica di Blatty sia stata tutta in discesa. E invece no.
Blatty, da allora, ha all’attivo solo due film da regista e sceneggiatore. Dopodiché il suo nome, per quanto riguarda il grande schermo, si perde. Eppure, le sole due opere che hanno visto Blatty dietro la macchina da presa sono eccezionali, proprio per una concezione di cinema così diversa e distante da quella odierna, così aliena rispetto al semplice intrattenimento, così pregna di significati, concetti e riflessioni, che è davvero un peccato aver dimenticato un regista di questo tipo. Anche perché il buon Blatty ha sempre dimostrato di fregarsene altamente di ciò che voleva il pubblico. E la storia del suo esordio sta lì a dimostrarlo.
Twinkle, Twinkle, “Killer” Kane è il titolo di un romanzo uscito nel 1966, un’opera comica, anche se infarcita di elementi filosofici e religiosi. Una prima sceneggiatura tratta dal libro è pronta già alla fine degli anni ’60. Doveva dirigerla proprio William Friedkin. Solo che non se ne fece più nulla: nessuna casa di produzione era disposta a investire soldi su una storia simile.
Allora Blatty riscrive il romanzo, lo ripubblica con un titolo diverso, La Nona Configurazione. Una versione meno comica e surreale rispetto a quella originale. Ma anche così, trovare uno studio che investisse sul progetto si rivela un’impresa. E allora Blatty mette di tasca propria metà del budget, decide di dirigere lui il film e si va a prendere i finanziamenti addirittura dalla PepsiCo.
Il film esce nel 1980 e al botteghino si comporta malissimo, tanto che la Warner smette di distribuirlo e lo restituisce a Blatty.
Nonostante ciò, La Nona Configurazione ottiene tre nomination al Golden Globe, portandosi a casa il premio per la miglior sceneggiatura, battendo The Elephant Man, Gente Comune e Toro Scatenato. Robetta di piccolo calibro, insomma.
La Nona Configurazione si svolge all’interno di una clinica psichiatrica per marines a cui hanno ceduto i nervi. Clinica che è in realtà un castello. Uno strizzacervelli, sempre militare, arriva sul posto per analizzare i pazienti e stabilire se siano effettivamente pazzi, o se fingano di esserlo. Il colonnello Kane (questo il nome dello psichiatra, interpretato da Stacy Keach) instaura un rapporto complesso e conflittuale con uno dei pazienti, Cutshaw (Scott Wilson), un astronauta che ha abortito il suo lancio sulla luna.
L’atmosfera che si respira, sin dai primi minuti di film, è quella di una commedia dove a farla da padrone è un fortissimo senso dell’assurdo, dove la follia è percepita e vissuta come condizione di assoluta normalità e dove, tra personalità multiple, cani che interpretano le tragedie di Shakespeare (e citazioni da Shakespeare si trovano in ogni film di Blatty) e malati che si fingono medici e viceversa, lo spettatore rischia di trovarsi frastornato, disorientato e privo di punti di riferimento.
Soprattutto perché Blatty inserisce in questo contesto già di per sé molto sopra le righe, elementi onirici, lunghissimi dialoghi di stampo filosofico e teologico e un finale in cui ogni traccia di commedia sparisce, per far posto a un apologo struggente sul sacrificio e la presenza di Dio nel mondo.
Comprensibile che un’opera del genere sia stata recepita male e non apprezzata dal grande pubblico.
La Nona Configurazione è un film molto statico. Se si esclude una scena ambientata in un bar, con mega rissa allegata, e la dimostrazione che Blatty possiede un certo occhio anche per le sequenze più movimentate, non si esce mai dal castello. Le parti parlate sono preponderanti su tutto il resto. Dialoghi che durano diversi minuti, tra cui quello, memorabile, sulla pazzia di Amleto, o l’ultimo tra Kane e Cutshaw, in cui l’astronauta confessa finalmente il motivo che gli ha impedito di andare sulla luna.
È un film che neanche possiede una trama vera e propria, ma è più un gioco continuo tra personaggi e posizioni filosofiche divergenti. Un film che per un’ora ti fa sorridere e poi ti obbliga, anche a costo di prenderti a sberle, a pensare e a porti delle domande.
Certo, lo stile di Blatty è ancora acerbo e forse il ritmo latita. Ma vale comunque tre o quattro visioni. Giusto per cogliere le sfumature. Non rivelo il finale, ma posso dirvi che ne sono uscita con la fiducia nell’umanità parzialmente ripristinata.
Devono passare dieci anni prima che Blatty torni ad avere a che fare col cinema. Nel frattempo, la Warner aveva preso una batosta indimenticabile con L’Esorcista II, flop epico e bersaglio della critica, col povero John Boorman che ancora si vergogna di averlo diretto.
Blatty non aveva nulla a che fare col seguito del film del ’73. Non aveva partecipato in nessun ruolo alla sua realizzazione e, anzi, aveva usato parole non proprio lusinghiere per il risultato finale.
E tuttavia, il suo seguito ufficiale de L’Esorcista lo aveva scritto nel 1983: Legion, più che un horror, un thriller investigativo soprannaturale.
Rivitalizzare una saga data per definitivamente spacciata e girare un film che reggesse il confronto con il capostipite non sono obiettivi facili. Soprattutto quando si parla di grandissimi film. Blatty però non si scompone. Accetta che la produzione gli cambi il titolo da Legion a L’Esorcista III con lo scopo di acchiappare quanto più pubblico possibile, subisce i cambiamenti alla storia voluti dai produttori che, poverini, erano terrorizzati perché nel nel film non c’era neanche un esorcismo e, si sa, i titoli vanno giustificati in qualche modo, taglia qualsiasi riferimento con l’onta del secondo capitolo e, nonostante tutto, gira il suo film.
Che si rivela essere un film straordinario. Se si esclude l’inserimento a forza di una scena pacchianissima messa in coda. Blatty non la voleva e nel romanzo non esisteva. Ma questo non inficia affatto la bellezza del prodotto.
Un film dove la tensione è costante, quasi insostenibile e dove non viene mostrato niente. Ogni omicidio è fuori campo e al massimo ci viene raccontato. La paura, e ce n’è a pacchi, è tutta affidata a dialoghi serratissimi tra il protagonista Kinderman (un monumentale George C. Scott) e il Gemini Killer rinchiuso in manicomio e posseduto (Brad Dourif). Blatty non usa trucchetti facili e realizza un’opera granitica, con una forza espressiva impressionante, permeata da un profondo senso di smarrimento e solitudine, tutte sulle spalle del personaggio principale, un ateo che si trova al cospetto col demonio e deve combatterlo.
“This I believe in… I believe in death. I believe in disease. I believe in injustice and inhumanity, torture and anger and hate… I believe in murder. I believe in pain. I believe in cruelty and infidelity. I believe in slime and stink and every crawling, putrid thing… every possible ugliness and corruption, you son of a bitch. I believe… in you”
Queste le parole con cui il detective Kinderman, un uomo anziano, disilluso e sconfitto, si rivolge al diavolo negli ultimi minuti del film.
Anche ne L’Esorcista III, come ne La Nona Configurazione, è la riflessione su Dio a essere preponderante, pur all’interno di un thriller prodotto con l’intento di lucrare su un grande successo commerciale. Ma la personalità di Blatty viene comunque fuori, anche quando si tratta di lavorare con gli studios e di sottostare a delle regole ben precise.
E quindi abbiamo il solito ritmo dilatato, sequenze parlate di lunghezza molto superiore alla media, dialoghi zeppi di riferimenti culturali, nessuna concessione allo spavento facile, una lenta e graduale costruzione del racconto, incurante di dover arrivare subito al dunque (prima che si manifesti la possessione demoniaca passa quasi un’ora buona di film) e una profondità nella rappresentazione dei personaggi quasi unica per un film con intenti così commerciali. Anzi, andiamo pure oltre, una introspezione che è raro trovare anche in pellicole più autoriali.
In questo Blatty è certamente aiutato da una prova d’attore che fa quasi spavento, ma è soprattutto la scrittura dei personaggi a essere perfetta. E il modo in cui Blatty li fa parlare. Perché, l’ho già detto ma mi piace ripeterlo, ne L’Esorcista III si agisce poco, il sangue è presente col contagocce, e si parla in continuazione.
Ciò non gli impedisce di mettere addosso un’inquietudine affilata come un coltello che ti preme contro la gola.
Inoltre, conscio dei meccanismi che servono a mettere in moto la macchina della paura, Blatty gira due scene di terrore puro: quella nel confessionale e quella nel corridoio della clinica.
Bestemmierei se dicessi che questo film è in grado di rivaleggiare con il suo illustre predecessore. Ma Blatty non si è limitato a girare un seguito, ha diretto invece un’opera diversa, del tutto autonoma, con una sua dignità e una sua precisa ragion d’essere. E andrebbe recuperata, vista e magari anche studiata.
Come anche La Nona Configurazione, per rendersi conto di quanto, in fondo, i due film si somiglino e parlino degli stessi temi, solo con toni diversi. Più speranzoso il primo, più pessimista e con un filo di disperazione il secondo, sono due opere peculiari firmate da un regista con una visione ben precisa, che negli anni si è fatta molto più cupa.
Sarebbe bello se Blatty tornasse ancora una volta dietro la macchina da presa. E qualche anno fa, si parlava di una riduzione per lo schermo del suo romanzo del 2010 Dimiter. Dopo che Friedkin ha declinato l’offerta di dirigerlo, pare che Blatty abbia deciso di fare da solo e tornare alla guida di un set.
Però non ho altre notizie recenti.
Speriamo bene.
Ho letto i due romanzi l’esorcista e legion,mi hai fatto venir voglia di riprenderli in mano. L’esorcista 3 è da 20 anni che non lo vedo, lo vidi da adolescente e mi piacque perchè mi perdevo dentro a quei dialoghi lunghi.
La nona configurazione invece lo cercerò, mi manca e da quanto ho letto è un film che mi potrebbe interessare assai.
Mi suggerisci altri titoli di romanzi da leggere di blatty? Son giunti da noi? Che li chiedo al mio distributore
ciao
Sicuramente La Nona configurazione è stato pubblicato da noi. Forse lo trovi usato.
E poi dovrebbe esserci anche Il Traghettatore.
Ho scoperto da poco che la regia di Exorcist III: Legion era stata offerta anche al “Maestro”, che tuttavia si è ritirato dal progetto dopo una settimana di colloqui con Blatty. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori con la regia di Carpenter, allora all’apice del suo fulgore creativo…
Sì, è vero. Doveva farlo lui, ma poi non se ne fece più nulla e Blatty preferì dirigerlo da solo.
Sarebbe stato divertente vedere Carpenter alle prese con un film del genere. Molto nelle sue corde…
Non ho mai visto nessuno dei due, devo ammetterlo. Anzi, proprio per i sequel de L’esorcista mi ero sempre tenuto a distanza, temendo il peggio (cosa che a quanto pare c’è nel secondo). Questo articolone mi ha fatto aggiungere due pellicole alla lista dei film da guardare. 😀
Ciao,
Gianluca
L’Esorcista III fu una sorpresa enorme per me. Non credevo fosse possibile realizzare un film così bello, non con quell’eredità da raccogliere. E invece…
Grazie Gianluca!
L’Esorcista 3 mi è sempre piaciuto moltissimo, da accostare al primo, a mio modesto parere. Come mi aveva fatto saltare dalla sedia in quel paio di scene, raramente mi era capitato, successivamente. Un film in totale controtendenza, giocato su tempi lunghi e sui silenzi e per questo, ancora più apprezzabile, per il coraggio e la capacità di mantenere la tensione in equilibrio tra il rischio di tedio e una narrazione pericolosamente prolissa…
De La nona configurazione ho un ricordo televisivo, una di quelle riproposizioni notturne che il passato regalava. La rissa nel bar secondo me aveva una tensione adrenalinica pazzesca, quando keach fermenta la rabbia sembrava quasi di sentire i morsi della furia alla bocca dello stomaco.
La rissa al bar è spettacolare. Quasi insostenibile. Stai lì ad aspettare che Kane esploda e contemporaneamente speri che non esploda.
Una sequenza superba, davvero…
Vista la prima volta dava le palpitazioni
Wow!
Grazie per la citazione, tanto per cominciare – anche perché, a leggere l’incipit del tuo post, pare che sia io uno degli autori più importanti degli ultimi quarant’anni 😀
Aggiungo un solo dettaglio che potrebbe essere interessante – Cutshaw, l’astronauta de La Nona Configurazione, compare anche ne L’Esorcista.
Nelle intenzioni originali, infatti, La Nona Configurazione avrebbe dovuto essere il “vero” sequel della pellicola di Friedkin.
Il che metterebbe tutta la storia, naturalmente, in una luce diversa…
Sì, Cutshaw è diventato il personaggio che vediamo nel film proprio in seguito all’Esorcista, se non sbaglio.
Ed è interessante perché davvero cambia del tutto la prospettiva con cui guardare a entrambi (a tutti e tre, anzi) film/libri.
Visti entrambi! L’ Esorcista III non è al livello del primo capitolo ma si difende bene!
Diciamo che è molto, ma molto diverso.
Meno horror, sicuramente, più riflessivo.
Come storia in sé, bestemmio, ma preferisco il terzo. Ma è ovvio che il film di Friedkin sia distante anni luce.
Molto bello La Nona Configurazione, per quanto difficile da descrivere a chi non l’ha mai visto…commedia dell’assurdo, psicodramma (quello al quale il colonnello Kane dà molta importanza), citazioni del Grande Bardo, dramma esistenziale/teologico con momenti mirati di azione e violenta fisicità come la progressiva e intollerabile provocazione che sfocia nella rissa al bar (vedi la feroce sequenza “liberatoria” in cui Keach si confronta con Steve Sandor, prima di passare al resto), dimostrazione di autentica nobiltà del sacrificio. Tutto questo si può trovare nel film ma, come dicevo, non basta certo a descriverlo se non se ne ha esperienza diretta…e, a proposito, hai ragione su quel finale che -devo dire- ha reso leggermente meno cinico anche me. 😉
Quanto alla scena in coda de L’Esorcista III -effettivamente forzata e più pacchiana che suggestiva in confronto al resto- è verissimo che non inficia affatto la sua bellezza complessiva…il terrore arriva centellinato nei momenti giusti, come nel confessionale o nella rapida quanto raggelante scena in corridoio (e nemmeno è da sottovalutare il momento in cui quella paziente si sposta rapida ma NON esattamente sul pavimento) mentre i dialoghi ben costruiti contribuiscono a creare una paura sottile ma che monta inesorabile. E qui penso al confronto fra gli eccellenti Scott/Kinderman e Dourif/Gemini Killer, in special modo quando quest’ultimo fa riferimento a fatti che ben conosciamo affermando sardonicamente che “come minimo quei tipi non avevano gradito, come minimo”…
Che poi anche La Nona configurazione ha dalla sua dei momenti di pura inquietudine.
tutta la parte onirica del film mi ha sempre lasciato con un senso di profondo disagio. E, nonostante la conclusione sia tutto sommato luminosa, resta un fondo di dramma che non si stempera nemmeno con quel finale in pieno sole.
Davvero un’opera interessante.
Sì, opera interessante e ancora oggi non facile da classificare, anche se il suo collegarsi a L’Esorcista potrebbe contribuire a definire meglio alcune sue parti. In effetti, già dalla prima visione del film il suo contenuto onirico mi aveva dato l’idea di possedere -al di là del contesto psichiatrico- un indefinito ma persistente sentore di metafisico…