My Little Moray Eel – 27

Copertina Moray

LIGHTNING SONG

Adesso il fondale e la parete erano visibili. Sara riusciva anche a distinguere il rosso delle gorgonie. Era così strano ritrovare alcuni colori perduti sott’acqua. Il pulviscolo di sabbia e frammenti di alghe brillava.
Pochi metri sotto di lei, quelli degli abissi si erano disposti ad arco sulle rocce. Sembravano una luminaria natalizia sprofondata dopo un’inondazione e rimasta accesa per miracolo.
Uno di loro si staccò dal gruppo, portandosi dietro una scia di luce, e si mise in quota con Sara.
Due mani bianche le si posarono sulle spalle. E un volto liscio e pallido apparve dietro le lenti della maschera. Intorno alla testa della creatura la luce era più intensa. Sotto la pelle, si intravedevano delle venature azzurre che pulsavano a intermittenza. Gli occhi scuri la fissavano. Non c’era nulla di minaccioso in quello sguardo. Curiosità, forse un briciolo di sospetto. Ma Sara non avvertì alcun pericolo.
La prima volta che li aveva incontrati da vicino, le avevano fatto un po’ male, avevano urlato tutti insieme nel suo cervello in una cacofonia che l’aveva stordita.
Ma ora era diverso. Si stavano insinuando dentro di lei, solo che l’intrusione non era violenta o repentina. Era come se delle dita invisibili la stessero accarezzando. Come se le chiedessero il permesso.
Le palpebre della creatura si chiusero, due piccole membrane trasparenti, da cui filtrava altra luce. Anche Sara chiuse gli occhi. E posò le sue mani intorno alla vita dell’essere. Emanava calore. Sara portava i guanti, eppure riusciva a sentirlo lo stesso.
Scesero di qualche metro allacciati. Sara respirava con calma, lenta e regolare. Controllare il ritmo del respiro era importante. Non poteva sprecare aria. Non sapeva quanto l’avrebbero trattenuta lì sotto.
Le sue ginocchia urtarono contro il fondo sabbioso. Il contatto con la creatura si spezzò. Poi si trovò schiacciata al suolo. Aprì gli occhi.
Decine di creature nuotavano in circolo intorno a lei. Sempre più veloci, spandendo nell’oscurità code di luce come stelle cadenti.
Al suo fianco, Giamburrasca continuava a riprendere tutto, ma stentava a star dietro a quel carosello impazzito di scie bianche.
Ruotava su se stesso, troppo lento per seguire quelli degli abissi. Sara sorrise pensando al tecnico che lo stava pilotando dal motoscafo. E immaginò la faccia di Florenzi di fronte a quello spettacolo.
Diede un’occhiata al computer e vide che si trovava a 45 metri. Aveva ancora qualche minuto prima di uscire dalla curva di sicurezza. Centocinquanta bar nelle bombole. Abbastanza per tornare su con la decompressione. Si rilassò. Gonfiò il GAV quel tanto che le permetteva di galleggiare a pochi centimetri dal fondo e li lasciò entrare.

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Quelli degli abissi si fermarono. Fluttuavano nell’acqua aprendo e chiudendo la bocca. Muovevano appena le gambe. La luce dei loro corpi divenne più fioca e da bianca si fece lievemente ambrata.
Quello stesso calore che aveva sentito sulla pelle di uno di loro, le si diffuse dalle tempie giù lungo il collo e la schiena. Era piacevole, ma le dava un vago senso di euforia e, allo stesso tempo, sonnolenza. Simile alla narcosi d’azoto, ma più potente.
Ubriaca a 45 metri. Questa mi mancava.
Provò a nuotare, spingendosi in avanti con le pinne. I suoi movimenti erano rallentati. L’acqua faceva resistenza come se fosse diventata più densa. Eppure non aveva paura. Una parte di lei sapeva che sarebbe stato meglio risalire, che era pericoloso rimanere a quella profondità in quello stato. Ma non riusciva a muoversi. Non riusciva a controllarsi.
Scoppiò a ridere. L’erogatore le uscì dalla bocca. Allungò un braccio per riprenderlo, ma le sembrava fosse troppo lontano per raggiungerlo. Poco male. Era una degli abissi. Poteva respirare come loro.
Diede una boccata. L’acqua le entrò in gola e nel naso, soffocandola. Sara sussultò, iniziò a dibattersi a rallentatore, circondata di luce giallognola, goffa e appesantita. Trattenne il respiro. Non riusciva a ricordarsi se aveva l’erogatore di riserva appeso al collo oppure abbandonato lungo il braccio destro. E ovunque fosse finito, era troppo difficile raggiungerlo. Non era in grado di sollevare le mani, non era neanche in grado di girare la testa per guardarsi intorno.
Una delle creature, rapidissima, le si adagiò di fronte, sdraiata come lei col ventre che sfiorava il fondo. Prese l’erogatore principale, lo avvicinò alle labbra di Sara che aprì la bocca e strinse forte il boccaglio tra i denti.
L’aria tornò a circolare nei suoi polmoni. L’essere le prese la testa fra le mani e tutto tornò normale. Sparirono euforia e sonno. L’acqua riprese la sua solita consistenza e smise di essere una barriera ai movimenti di Sara.
Non lasciatemi. Non fatemi male, ma non lasciatemi.

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Era una forma di comunicazione diversa da quella coi pesci, o con Lui. Era più difficile, frammentaria e spigolosa. Non venivano trasmesse immagini chiare. La mente di Quelli degli Abissi era un dedalo di luci. Ogni tanto si delineava una figura che Sara riusciva a interpretare, le sagome delle navi viste dal basso, i cadaveri sciolti al sole, le murene condotte contro porti e imbarcazioni. Scene di guerra che affioravano in un flusso costante di stati emotivi differenti: paura, rabbia, angoscia, trionfo, gioia.
Quelli li capiva, li sentiva come fossero suoi. Erano simili. Eppure parlare era impossibile. O quasi. Ci sarebbero voluti una pazienza infinita e centinaia di tentativi.
E Sara non era sicura se entrambe le popolazioni sarebbero state disposte ad aspettare così tanto.
Con la coda dell’occhio, si accorse che Giamburrasca era scattato in avanti e l’aveva superata.
Guardò nella direzione in cui si era allontanato e lo vide.
Un nastro di seta azzurra trasportato dalla corrente. Lui.
Si avvicinava piano. A Sara sembrò che fosse cresciuto ancora. Senza pensare a quello che stava facendo, si sottrasse al contatto con la creatura, prese un profondo respiro e iniziò a pinneggiare verso di Lui. Gli corse incontro, spalancando le braccia e, quando gli arrivò vicino, si strinse il suo muso contro il petto.
Poi realizzò che c’era una telecamera lì sotto. E che al suo ritorno avrebbe dovuto dare spiegazioni che non aveva alcuna voglia di dare.
Si staccò da Lui.
Ci guardano. Non siamo soli.
Lui capì, puntò i suoi occhi gialli verso Giamburrasca che gli ronzava intorno, spalancò la bocca, e inghiottì il rover tranciando il cavo coi denti.
Ciao ciao Giamburrasca.

Altri Capitolo qui.

3 commenti

  1. Giuseppe · ·

    Ecco, adesso lo so cos’è successo a Giamburrasca. Sacrificato per il rispetto della privacy 😀
    Trovo il capitolo piacevolmente Cameroniano 😉 con il giusto spazio riservato a tutti i protagonisti e ai rapporti reciproci dovuti alle loro affinità…e in base a queste Sara riesce a percepire una parte degli schemi di pensiero di Quelli degli Abissi, dopo essere stata soccorsa da uno di loro. Tra l’altro questo bel passaggio -con Sara in difficoltà e l’immediata comprensione e reazione da parte dell’essere abissale- mi ha fatto tornare alla mente anche un vecchio episodio della serie U.F.O prodotta da Gerry Anderson, dove un colonnello Paul Foster in seria difficoltà sulla superficie lunare veniva rifornito di ossigeno da un alieno non ostile…e si assisteva a un embrionale tentativo di comunicazione fra i due nello sforzo di collaborare per sopravvivere.

    1. Diciamo che Cameron è un po’ il nume tutelare di tutta l’operazione 😉
      Solo che l’episodio di cui parli io non l’ho visto. La serie U.F.O. è di quelle che mi mancano del tutto.
      Dici che vale la pena recuperare?

      1. Giuseppe · ·

        Assolutamente sì, tieni conto che seppur datata trattasi di fantascienza british 😉 -alcuni di quei 26 episodi sono dei piccoli, inquietanti gioielli di minaccia aliena- e da quelle parti, come sai, ci hanno sempre saputo fare…tra l’altro viene sempre giustamente ricordato che la rai ai tempi gli episodi nemmeno li trasmise tutti oltre a censurarne alcune sequenze -pure in quello di cui ti ho parlato- per via del fatto che la serie, non concepita dagli Anderson per un pubblico di giovanissimi, era stata inserita con una certa faciloneria nei programmi per ragazzi (solita cazzata italica, questa volta pure vintage). Di conseguenza posso dire di averla vista davvero per la prima volta solo quando ne ho avuto tutti i dvd (in quasi venticinque anni i brillantoni della tv di stato l’avevano replicata una sola volta, sempre con i tagli)…per quanto riguarda i film destinati alle sale negli anni ’70 questi erano semplicemente rimontaggi nostrani di più episodi televisivi cuciti insieme fra loro con parti di dialogo riadattate e diverso commento musicale (John Barry al posto di Barry Gray), ragion per cui ti consiglio di dare priorità alla serie e guardarteli semmai più avanti per completezza (assieme a INVASION: UFO, altro film di montaggio realizzato nel 1980 in Inghilterra prendendo a modello i nostri, caso più unico che raro).

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