My Little Moray Eel – 25

Copertina Moray

WOODEN SHIPS

All’ingresso del porto, si fermarono davanti a una sbarra bianca e rossa, presieduta da due uomini in divisa. Uno di loro si avvicinò allo sportello, l’autista abbassò il finestrino e il militare fece passare.
Banchine e moli erano deserti. Le navi ormeggiate sembravano enormi cadaveri lasciati a imputridire.
Traghetti, navi da crociera e navi da carico. Tutte vuote.
Rumore costante di elicotteri. Sara ne scorse un paio che volavano bassi, poco oltre il braccio di cemento.
Avevano chiuso il porto al pubblico il mese prima. Ogni tratta sospesa fino a nuovo ordine.
Il generale si sporse dal sedile e si rivolse a Sara: “Ci siamo quasi.”
Superarono le due gru azzurre e si lasciarono alle spalle i container. Poco più avanti, una nave mercantile aprì il portellone a poppa. L’auto entrò nella pancia del cargo, mentre la jeep parcheggiò fuori.
Il motore si spense.
“Possiamo scendere” disse il generale.
Sara aprì lo sportello e fu investita da un odore di nafta che le ribaltò lo stomaco.
Guardò la madre e cercò la sua mano.
Seguirono il generale lungo una rampa di scale e sbucarono in un corridoio. Altri militari entravano e uscivano dalle cabine. Qui la puzza era meno forte.
“Il problema era conciliare la sicurezza del personale con la necessità di non stare troppo distanti dall’acqua. La zona è pattugliata in continuazione da elicotteri e motoscafi armati. Con le murene è meglio avere imbarcazioni veloci e maneggevoli, anche se sono piccole. Su questa nave abbiamo allestito il centro di ricerca. Studiamo quelle cose e cerchiamo di capire come funzionano.”
Altre scale li condussero al ponte superiore.
Si fermarono davanti a una porta con una targhetta sopra: “Dott. Florenzi”.
Il generale bussò. Una voce dall’interno li invitò a entrare.

civitavecchia

Era un piccolo locale adibito a ufficio: una scrivania, un computer portatile, un paio di scaffali. Dietro la scrivania era seduto un uomo sulla cinquantina, molto magro, i capelli grigi portati lunghi e raccolti in un codino.
“Ah, eccola” disse e sorrise a Sara “Grazie, generale, può andare adesso”
Fece cenno a Sara di avvicinarsi e le indicò una sedia di fronte alla scrivania. Sarà attraversò la soglia della porta, sempre tenendo sua madre per mano.
L’uomo la bloccò: “Non è necessario” disse “Qui risulta che sei maggiorenne. Puoi benissimo parlare con me da sola.”
“Preferirei restare” disse la mamma di Sara.
“Tranquilla, mamma. Vado da sola. Tu aspettami fuori.”
Entrò. Chiuse la porta. Si sedette e aspettò che quell’uomo le dicesse qualcosa. Ma lui la fissava in silenzio, il mento poggiato sulle dita incrociate e le labbra appena piegate da un piccolo sorriso.
Sempre senza parlare girò lo schermo del portatile verso Sara e premette un tasto. Immagini che Sara aveva già visto in tv. Le solite, in bianco e nero, riprese dall’alto, sgranate e un po’ a scatti.
“Le conosco.”§
“Certo che le conosci. È che io non riesco a smettere di guardarle.”
“Contento lei…”
“È straordinario. Non lo capisco, ma è straordinario.”
“Siamo in due, allora. Non ci ho mai capito niente neanche io.”
“Siamo qui apposta, Sara… ti chiami Sara vero?”
“Sì.”
“Io mi chiamo Giacomo Florenzi. Sono il biologo a capo di tutto questo casino.” Allungò la mano e Sara la strinse. “Ho insistito perché ti portassero qui. Loro dicevano che non eri determinante. Ma sono stronzate… scusa…”
“Non si preoccupi. Cosa volete da me?”
“Per il momento vorrei solo che tu scendessi e cercassi un contatto con quelle cose.”
“Non sono proprio cose.”
“Giusto. Ma allora che sono?”
“Sono come me e lei. E poi siete voi che li studiate, non io. Perché me lo chiede?”
“Perché non riusciamo a venirne a capo. Sappiamo in che modo comunicano. Sono telepatici. E già la faccenda è incredibile. Poi ci sono quei mostri che sembra siano macchine da guerra. Ci attaccano con una sincronia perfetta, sono organizzati al millesimo. E poi spariscono senza lasciare traccia. In realtà noi il mare non lo conosciamo, Sara. E non li capiamo. Ma tu sì.”
“Questo non lo so. Li ho incontrati solo due volte. Non mi hanno fatto niente, ma da qui a capirli ce ne vuole.”
“E le murene?”
“Le murene cosa?”
“Ci hai mai avuto a che fare?”
“Una volta sola. Quando le ho fotografate. Ma immagino lo sappia già.”
“Sì, lo sapevo. La mia domanda era un’altra: ci hai mai avuto a che fare prima?”
“No. Le ho detto di no.”
“Va bene. Domattina tu scenderai con me. Andremo a circa 30 m…”
“No. Io scendo da sola.”
“Non puoi scendere da sola.”
“Certo che sì. Se vuole che io cerchi un contatto con loro, non posso garantire la sua sicurezza e quella di nessuno che dovesse scendere insieme a me.”
“Ma alla stazione di polizia…”
“Alla stazione di polizia ho improvvisato. Non so se posso ripeterlo, non so che cosa succederebbe in acqua. E non voglio avere nessuno sulla coscienza. Se le sta bene, ok. Altrimenti trovi qualcun altro.”
“Dobbiamo documentare.”
“Hanno inventato le telecamere.”
“E stabilire una rete di protezione.”
“Non mi serve nessuna protezione. E non voglio gente armata in acqua. Devo stabilire un contatto con loro, non minacciarli, giusto?”
“Giusto.”
“Allora siamo d’accordo.”
“Non proprio. Per fare una cosa del genere devo chiedere tanti permessi. Non so neanche se mi autorizzeranno. E poi, la sai una cosa?” si alzò e si avvicinò a una finestrella rettangolare socchiusa. Si chinò per guardare all’esterno e Sara si rese conto di quanto fosse alto. Le ricordava una specie di buffo pagliaccio sui trampoli.
“Mi sarebbe piaciuto scendere con te e vedere da vicino quello che sai fare.”

cargo

“Prima di portare qualcuno con me vorrei solo capire se è davvero possibile stabilire una qualche forma di comunicazione con loro. E poi si vedrà.”
Florenzi mise le mani in tasca e scosse le spalle. “Ok. Provo a organizzare tutto entro domani. Tu e tua madre sarete nostre ospiti. Per il punto di immersione hai già qualcosa in mente?”
“Sì. Dove li ho incontrati la prima volta sarebbe l’ideale. Conosco la zona e non devo perdere tempo a orientarmi. Se fosse possibile, andrei lì.”
“Nessun problema.” alzò la cornetta del  telefono e digitò un paio di numeri sulla tastiera. “Sono Florenzi. Vi mando giù la ragazza per provare l’attrezzatura” mise giù il telefono “Chiedi al soldato qui fuori di accompagnarti a provare la muta. Noi ci vediamo più tardi.”

Altri capitoli qui.

2 commenti

  1. Giuseppe · ·

    Buon confronto a due condotto con un dialogo efficace e stringato, dove Sara fa capire bene chi deve condurre il gioco (senza dire più del necessario 😉 ). E Florenzi -che mi incuriosisce alquanto- al gioco ci deve stare, se vuole davvero il suo aiuto…bella e evocativa anche l’immagine iniziale delle navi ormeggiate.

    1. Civitavecchia è una tappa di tutti i miei viaggi verso l’Argentario. Volevo mettere quelle due gru azzurre da qualche parte 😀

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: