Non ci volle molto perché qualcuno arrivasse a bussare alla porta di Sara. Anzi, lei era convinta che ci avrebbero messo anche meno tempo.
Invece passarono un paio di settimane.
Come aveva sperato, i suoi non erano neanche entrati in autostrada. Li avevano bloccati prima, non appena scoppiato il casino.
I due poliziotti superstiti l’avevano accompagnata fino a dove l’aspettavano i genitori e l’avevano scaricata sul ciglio della strada, salutandola a stento. Ancora troppo scossi e spaventati per capire che gli aveva salvato la vita. Sara non se l’era presa più di tanto. Lo spettacolino che aveva allestito alla centrale aveva terrorizzato lei per prima.
Immaginava però che, una volta passato il panico, avrebbero cominciato a parlare.La madre si era seduta sul sedile posteriore con lei e Sara si era addormentata con la testa posata sulle sue ginocchia.
Una volta a casa, si era andata a buttare sul letto e aveva dormito ancora. Solo nel pomeriggio, un po’ più lucida, aveva messo il naso fuori dalla sua stanza e si era affacciata in salotto, dove i suoi stavano guardando la televisione.
Non c’era stato bisogno di raccontargli niente.
Lo stavano vedendo in quel momento sullo schermo: riprese in bianco e nero da una telecamera di sicurezza della stazione di polizia. Sara che guidava i due agenti fuori dall’edificio tenendoli per mano. E quelli degli abissi, immobili, che li lasciavano passare.
Un cazzo di capolavoro.
“Mi dispiace” aveva detto ai genitori.
Entrambi si erano girati e l’avevano guardata per qualche minuto, senza dire niente. Sara si aspettava una ramanzina infinita, comprensiva di colpevolizzazione e accuse di essere un’irresponsabile.
“E di cosa?” aveva risposto il padre.
“Di essermi fatta scoprire”
“E che altro potevi fare, lasciarli lì? Hai fatto bene”
Discorso chiuso e mai più affrontato.
La sensazione di sollievo era stata così forte che per poco non le era venuto da piangere.
Adesso guardava quegli uomini in divisa sulla soglia del suo appartamento. Tre militari schierati alle spalle di un tizio vestito in alta uniforme, che si era presentato come il generale Manfredini di chissà quale corpo delle forze armate.
Sua madre lo fece entrare in casa, insieme a uno dei soldati che lo accompagnavano. Gli altri rimasero sul pianerottolo. Sara immaginava i suoi vicini di casa che uscivano a fare la spesa e si ritrovavano quei due a fare da piantone alle scale.
Il generale si accomodò sul divano. Gli venne offerto un caffè e lui rifiutò. Il soldato rimaneva fermo, in piedi, gli occhi fissi su Sara. Nessuno si decideva ad aprire bocca.
Sara sbuffò e si accoccolò su una poltrona con le ginocchia strette al petto. Il generale aveva l’aria un po’ stanca. Non era molto alto, grassoccio e senza capelli, con la pancia che gli sporgeva dalla cintura dei pantaloni.
“Mi dispiace disturbare” disse, rivolto alla mamma di Sara “Ma pare che sua figlia abbia fatto qualcosa di straordinario.” girò poi la testa verso Sara: “Come ci sei riuscita?”
Sara cercò con lo sguardo l’aiuto della madre, che le sorrise e annuì.
“Lo faccio da quando sono piccola. Gli animali che vivono in acqua non hanno paura di me. Mi si avvicinano”
“E comunichi con loro?”
“A volte sì. Li sento, li capisco.”
“Anche quelle cose che ci stanno attaccando?”
“Non sempre. È un po’ confuso con loro. È difficile.”
“Ma potresti, vero?”
“Sì, potrei. Dovrei trovarmici a contatto un po’ più a lungo.”
“Va bene. Te la senti di venire con noi?”
“Dove?”
“Non lontano. A Civitavecchia c’è qualcuno che vorrebbe conoscerti e chiederti di aiutarlo a capirci qualcosa. Dovrai immergerti, naturalmente.”
“Sì.” rispose Sara, senza esitare neanche un istante, senza rendersi conto di quello che stava facendo. Immergersi. Tornare sott’acqua dopo tutto quel tempo passato all’asciutto.
Le parve di scorgere un’occhiata di disapprovazione della madre, ma non le diede troppo peso, non in quel momento. Forse avrebbe dovuto mostrare un briciolo di reticenza. Ma era come una bambina che scalpitava per andare alle giostre, con la prospettiva aggiunta di salvare il mondo.
“Giovane sub mette fine alla guerra e dà inizio all’alba di una nuova era di convivenza pacifica tra specie diverse”.
Più o meno pensava che sarebbero stati così i titoloni sui giornali, una volta che lei avesse stabilito un sistema di comunicazione tra umanità e quelli degli abissi.
Già vedeva un mondo in cui le creature che vivevano sul fondo dell’oceano svelavano a quelle della terra i misteri e i segreti degli abissi. E viceversa. Vedeva un futuro di armonia e capacità di coesistere senza farsi del male. E sarebbe stato merito suo.
“Bene, allora” disse il generale alzandosi “Andiamo”
“Può venire anche mamma?” chiese Sara.
“Certo che sì. Se dovete prepararvi vi aspettiamo fuori”
Il porto silenzioso, l’acqua scura e calma come una coperta stesa a nascondere le rovine e i cadaveri.
Più a largo, Sara lo sapeva, c’erano i relitti.
Lui presidiava e proteggeva quel frammento di civiltà rimasto a galla, quasi una scialuppa di salvataggio. Uno dei pochi paesi costieri dove ci fosse ancora vita. Gli altri erano stati abbandonati e, anche a distanza di così tanti anni, era difficile che qualcuno avesse voglia di andarci ad abitare.
Superarono il braccio di cemento e Ilio indirizzò la prua del gozzo verso l’Isolotto.
Ogni tanto uscivano per mare insieme. Gettavano l’ancora vicino agli scogli e si fermavano per qualche ora, a fumare e a guardare le onde.
Non parlavano molto. Se Ilio diceva qualcosa, Sara gli rispondeva scrivendo sulla sua lavagnetta.
Lui passava sotto la barca, faceva affiorare il muso, o la pinna dorsale. Sara sporgeva il braccio dal bordo e gli faceva una carezza. Le piaceva sentire sulle mani l’acqua salata, e il tocco morbido e un po’ oleoso della pelle di Lui.
A mezzogiorno, il sole li scaldava. Ilio portava con sé un thermos pieno di caffè bollente. Sara lo rimproverava perché era annacquato. Ilio rispondeva che era solo leggero e che alla loro età era meglio non berlo troppo forte.
“Come mai sei voluta uscire oggi?” le chiese.
Sara prese il pennarello e scrisse qualcosa sulla lavagnetta.
Dopo aver letto, Ilio diede una lunga sorsata al thermos.
“Ok” rispose “Se è quello che vuoi, ok”.
il trio sara,creatura degli abissi,e pescatore dal nome impronunciabile son dei miei eroi,quasi come mako,l’occhialuto salvator del mondo e marshall
ps:mo vado al lago,chissà quali creature..ah,già la macchia d’olio cannibale…che culo! 🙂
sempre ottima e brava,complimenti
Ogni volta è un grande piacere leggere di Sara. 😀
Ciao,
Gianluca
PS: La foto finale è meravigliosa.
Mi sono assentato per qualche giorno, ma vedo che Sara continua a cavarsela più che bene (con l’esercito che la vuole come “arma segreta” ).. 😉