Husk

Regia – Brett Simmons (2011)

Ho pensato che adesso recupero uno ad uno tutti i film dell’ After Dark Original, li guardo e li recensisco per il vostro sollazzo. Poi ho visto Husk e ho cominciato a cambiare idea, perchè se sono tutti così non c’è molto da dire. Non che il film sia orrendo, inguardabile o degno di pubblico ludibrio e insulti a profusione. Anzi, per essere un esordiente Simmons se la cava piuttosto bene: basta vedere le lunghe soggettive dei protagonisti nel granturco o le apparizioni fulminee e letali dello spaventapasseri assassino per rendersi conto che il regista conosce i meccanismi del genere e possiede un certo gusto estetico che potrebbe, in futuro, dargli la possibilità di creare un prodotto che si distingua dalla massa informe di slasherini di stampo televisivo a cui siamo abituati. Abbiamo quindi una messa in scena piuttosto elegante, una fotografia calda (forse un po’ troppo patinata) e degli attori che non abbaiano, tra cui spicca il giovane Dexter, Devon Graye, qui nella parte del nerd con allucinazioni.

Il problema è che, tolti questi dati tecnici appena superiori alla media, di Husk non rimane nulla. Il solito gruppo di giovani (quello atletico, quello con gli occhiali che gioca a scacchi, la ragazza dello sportivo che rompe i coglioni, il vigliacco e un povero idiota che sparisce dopo cinque minuti e quindi chissenefrega) incappa nel solito incidente con la macchina, i soliti cellulari non prendono. Con queste premesse diventa subito complicato suscitare un briciolo di interesse nello spettatore, che sa quale sviluppo avranno le vicende e può prevedere subito come andrà a finire il tutto.

Questa volta, i ragazzotti si schiantano con la macchina in prossimità di un campo di granturco. Invece di andare a cercare aiuto lungo la strada, si inoltrano tra i filari e lì li attende lo spaventapasseri della locandina. Il bello è che non entrano nel campo tutti insieme, ma alla spicciolata: “Dov’è finito Jhonny?” “Ma, non lo so, si sarà per caso infilato in mezzo alle pannocchie?” “Dai, andiamolo a cercare”. Passano cinque minuti “Eh, ma dove sono finiti Brian e Scott?” “Ma, non lo so, si saranno per caso infilati in mezzo alle pannocchie?” “Dai, andiamoli a cercare”. E via così.

Ci troviamo quindi alle prese con i meccanismi del più classico degli slasher con l’ aggiunta dell’ elemento soprannaturale di un fantasma vendicativo di cui ci viene svelata la storia attraverso una serie di flashback. Abbastanza originale, e piuttosto inquietante, è il trattamento che viene riservato alle vittime, la cosa migliore e la sola autenticamente spaventosa di Husk. Purtroppo i buoni spunti e la regia professionale di Simmons naufragano in un mare di clichés e si schiantano contro il comportamento del tutto incoerente e illogico dei protagonisti, oltre a venire assorbiti in una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Ciò che rimane della visione di Husk è un’ impressione di mancanza di volontà, come se Simmons si fosse appoggiato su stereotipi comodi e precotti e non avesse avuto il coraggio di puntare un po’ più in alto, che tanto stiamo solo girando un horror e allora è giusto che i personaggi compiano azioni idiote, è lecito sostituire angoscia e tensione con l’ onnipresente sbalzo di volume, e si può anche abusare del passato traumatico del cattivone di turno. Non ha importanza se si tratta di storie già viste e sentite fino allo sfinimento.

Non c’è passione, nè amore per il genere in Husk, ma solo l’ idea di dover portare a termine un compitino ben confezionato, con tutte le regolette al loro posto.  Il fatto che si tratti di un cortometraggio gonfiato e allungato per raggiungere la durata canonica di un’ ora e venti, sicuramente non aiuta, ma se all’ idea già non nuovissima di suo, di uno spaventapasseri assassino, si aggiunge l’ utilizzo sistematico di qualsiasi banalità stereotipata come schema narrativo principale, ci si ritrova con un prodotto privo di qualsiasi spunto di interesse, se non una realizzazione tecnica pulita e piacevole alla vista.

Qualcosa da salvare c’ è: l’ ambientazione è molto bella e sfruttata con gusto, sia negli esterni del campo di granturco, sia negli interni della casa in cui si rifugiano i ragazzi; i salti sulla sedia, per quanto telefonati e prevedibili, non mancano; il sangue è dosato col contagocce, ma anche con una certa eleganza, soprattutto nelle scene legate a una macchina da cucire molto particolare. Oltre a questo, poco altro, davvero troppo poco per sprecare un’ ora e venti del vostro tempo.

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