Nuovi Incubi Halloween Challenge Day 11: Rabbit Trap

Regia – Bryn Chainey (2025)

Il Day 11 è per la vita in campagna, ovvero l’horror rurale in ogni sua possibile diramazione, dal survival sui turisti scemi che partono per una scampagnata e si accorgono, a loro spese, di quanto sia poco benevola la natura, al folk horror tutto atmosfera, leggende, fatine e creature dei boschi.
Il film che ho scelto appartiene alla seconda categoria, è l’esordio di un regista giovane e molto promettente, è prodotto dalla SpectreVision di Elija Wood e ricorda tanto alcune cose di Ben Wheatley e Peter Strickland; il primo per l’atmosfera, il secondo per il lavoro sublime sul sonoro.
Ambientato nel 1976, racconta di una coppia formata da una compositrice di musica elettronica sperimentale, Daphne (Rosy McEwen) e dal suo fonico e ingegnere del suono, Darcy (Dev Patel), che abbandona Londra per trasferirsi in un cottage in mezzo al cazzo del niente in Galles, e registrare lì il nuovo album di lei.
Mentre Daphne se ne sta in studio a lavorare, Darcy se ne va in giro armato di cuffia e microfono per catturare i suoni della natura, affinché la moglie li possa inserire nelle sue composizioni.

Inoltrandosi nel folto del bosco, Darcy finisce dentro a un cerchio formato da pietre e lì incide un rumore molto bizzarro, una specie di lamento, che potrebbe essere il verso di un animale, una distorsione del vento, qualunque cosa, ma piace moltissimo a Daphne, che lo utilizza immediatamente.
La mattina dopo, si presenta alla loro porta un ragazzino senza nome. Lo chiamo ragazzino perché Daphne e Darcy si rivolgono sempre a lui al maschile, anche se a interpretarlo c’è una giovanissima attrice, Jade Croot. Nei titoli è menzionato soltanto come “The Child”, e tale resterà per tutti i 90 minuti scarsi di durata di Rabbit Trap.
Il bambino comincia a gironzolare intorno alla coppia, a frequentare la casa dove si sono stabiliti, ad andarsene in giro con Darcy e a tenere compagnia a Daphne mentre lavora. Racconta ai due che tutta la zona è abitata dai Tylwyth Teg, creature magiche del folclore gallese, che possono diventare pericolose, ma lui sa come gestirle.
All’inizio è tutto tenero, un po’ buffo, anche divertente, per Daphne e Darcy, ai quali sembra piacere giocare ai genitori di questa creaturina sbucata da chissà dove. Poi, le cose prendono una piega sinistra. 

Rabbit Trap non è l’ennesima declinazione sui marmocchi infernali che arrivano a rendere la vita impossibile agli adulti, anche perché quel tema è già stato affrontato in questa challenge. È un’opera molto più misteriosa e sottile, che parla soprattutto di manipolazione emotiva, di due protagonisti bravissimi a manipolare i suoni, che tuttavia finiscono per essere manipolati proprio da essi. Non succede quasi nulla di particolarmente rilevante nel corso del film, che è tutto giocato sul labile confine tra malinconia e inquietudine e non chiarisce mai né la vera natura del bambino né le sue intenzioni né i motivi per cui si trova proprio lì, proprio con queste due persone. Ogni dettaglio è volutamente lasciato nell’ombra e sta a noi dare un senso a quanto abbiamo visto, posto che il senso ci sia. 
Quello che davvero ha importanza, e davvero funziona, in Rabbit Trap, è l’atmosfera che Chainey riesce a costruire con tre attori e un magnifico paesaggio, che pare la culla da cui nascono le fiabe. 
È, a tutti gli effetti, una fiaba questo film, ne ha l’andamento, il sapore, l’umore, è un racconto antico che si srotola davanti ai nostri occhi senza che ne vengano fornite le ragioni, disperse in qualche mito dimenticato o accantonato dalla civiltà.

Grazie a immagini stupende e a un’altrettanto stupenda gestione di tutta la componente sonora, Chainey e i suoi collaboratori creano uno spazio situato in una dimensione altra, come se Daphne e Darcy, nella loro ricerca artistica ed esistenziale avessero creato una bolla che li separa dal reale, e in questa bolla fosse riuscito a introdursi il bambino, che può essere una fata o una qualsiasi creatura del folclore, ma anche, e forse più precisamente, una materializzazione dei desideri e dei traumi rimossi dalla coppia, o anche la natura che si incarna e arriva a rivendicare il proprio ruolo di elemento creatore, insostituibile, eterno.
“Attraverso gli occhi tu ti affacci al mondo; attraverso le orecchie, il mondo entra dentro di te”. È una cosa che ripete spesso Daphne, figura ispirata a due storiche compositrici di musica elettronica sperimentale, Delia Derbyshire e Daphne Oram. Derbyshire è colei che ha arrangiato il famoso tema del Doctor Who per BBC.
C’è un discorso interessantissimo sulla relazione tra musica e ambiente, tra il plasmare i suoni per farne oggetti artistici ed esserne a loro volta plasmati.

Il bambino nasce, di fatto, da una composizione di Daphne, è un rumore colto da Darcy dentro a un cerchio delle fate, donato a sua moglie e da lei riprodotto, contaminato e inserito in una delle tante tracce del suo disco.
Se è attraverso le orecchie che noi lasciamo entrare il mondo, e non possiamo in alcun modo impedirgli di farlo, il suono è la più antica delle divinità (altra battuta pronunciata da Daphne), e non appare affatto strano che, attraverso la musica, si riesca a evocare qualcosa, che questo qualcosa assuma delle sembianze familiari, innocenti, e decida di insinuarsi nella tua vita. 
Bisogna solo decidere quale tipo di caratterizzazione dare all’entità evocata, se malevola o benevola, o entrambe o nessuna. 
Rabbit Trap opta per un’ambiguità che non si scioglie mai: il bambino è a tratti molesto, di sicuro misterioso, forse addirittura pericoloso, e ha teso una sorta di trappola ai due adulti. Eppure, grazie anche all’ottima interpretazione di Croot, non è mai cattivo. Dai suoi gesti, dai suoi comportamenti, traspare una profonda solitudine, un desiderio spasmodico di essere accolto, di essere amato. Persino nei suoi scoppi d’ira, persino quando è minaccioso, non nasconde mai il suo lato più fragile e indifeso. 

Sono sicura che, quando si andranno a tirare le somme del 2025, in parecchi parleranno di Rabbit Trap, se non altro per la sua estetica preziosa e potente e per un paio di sequenze davvero difficili da dimenticare, come quella in cui l’erba comincia a crescere sui mobili della casa di Daphne e Darcy, i piccoli animali del bosco vanno a posizionarsi sulle suppellettili, trasformando lo spazio domestico in un luogo selvaggio e favoloso.
Se vi sono piaciuti film come In the Earth, Starve Acre e The Strings, potreste essere il pubblico adatto per Rabbit Trap, che non è un film per tutti gli stati d’animo, ma se vi coglie al momento giusto, vi entra nel cuore. Ve lo assicuro.

3 commenti

  1. Avatar di Fabio

    Giorno Lucia,per la challenge di oggi,mi ributto sull’odiosa e pericolosissima gita di campagna aziendale di “Severance”🤕.

  2. Avatar di Frank La Strega

    Sembra davvero molto figo!🙂

    per il Day 11 mi sono rivisto (per l’ennesima volta, ma ho privilegiato il cuore ♥️) “Sleepy Hollow”. 🎃

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · · Rispondi

    Interessante proposta… E avendo citato il Dottore, mi è tornata di nuovo in mente una miniserie realizzata all’incirca nello stesso anno in cui è ambientato Rabbit Trap da due autori veterani del Doctor, Bob Baker e Dave Martin: “Sky”, dove un giovane umanoide (dagli occhi completamente neri, se ben mi ricordo) arrivava per errore nella nostra realtà attraverso un varco aperto in un cerchio di megaliti, costringendo le forze della natura (che reagivano alla sua totale estraneità al nostro mondo) a manifestarsi fisicamente nella forma umana di Ambrose Godchild, “cattivo” quanto potrebbe esserlo una natura che cerca di ristabilire l’ordine cercando di correggere l’anomalia personificata dal giovane e involontario (olte che per nulla ostile) visitatore…

    Per la challenge di oggi, scelgo Unwelcome di Jon Wright.

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