
Regia – Walter Murch (1985)
Il tema della giornata di ieri era “Ricordi d’infanzia”, che tradotto nella nostra lingua potrebbe benissimo essere “Traumi infantili”, ma abbiamo preferito essere più tenere.
Uno dei traumi peggiori della mia infanzia è legato a questo film, che tra l’altro quest’anno compie la bellezza di quarant’anni. Negli Stati Uniti, Return to Oz è uscito a giugno, da noi a ottobre (quindi è pure un mezzo Complehorror), intitolato Nel Fantastico Mondo di Oz; era una produzione Disney, chiaramente indirizzato a un pubblico infantile, e i miei mi hanno portato a vederlo senza avere la minima idea di ciò che stavano per fare.
All’epoca era diverso, senza dare alcun giudizio di merito, ma era davvero, e tanto, diverso: il cinema per ragazzi e quello per adulti venivano considerati due cose separate, e il primo era di scarsissimo interesse per i genitori, che accompagnavano i figli a vedere qualunque cosa avesse addosso l’etichetta di “film per bambini”, senza curarsi punto di conoscerne in anticipo i contenuti. Da questa forma di noncuranza nasce ogni trauma infantile di chi ha più o meno la mia età.
Io avevo compiuto da poco sette anni, e se penso a mia sorella che passa al vaglio ogni singola opera audiovisiva cui si avvicina suo figlio anche per sbaglio, mi sembra proprio che siano trascorsi secoli, non una manciata di decenni.
Oggi, portare una bambina di sette anni a vedere Return to Oz in sala sarebbe considerato alla stregua di un atto criminale. Nel 1985, era un film della Disney, con una Dorothy adorabile (Fairuza Balk al suo esordio) e tante creature fantastiche. Cosa mai potrebbe andare storto?
Return to Oz è l’unico film diretto da Walter Murch, immenso uomo di cinema dai molteplici ruoli in carriera: premio Oscar per il sound design di Apocalypse Now e per il montaggio de Il Paziente Inglese e Cold Mountain, Murch ha anche scritto uno dei testi fondamentali sul montaggio, In un Batter d’Occhio. Leggetelo, se vi capita, è un libricino di poche pagine e vi spiega un sacco di dettagli su un’arte quasi sconosciuta. Ma sto divagando.
Quella della produzione di Return to Oz, è una classica e incasinatissima storia tipicamente hollywoodiana, che si dipana per circa trent’anni di tentativi falliti. È nel 1954, infatti, che la Disney acquista i diritti dei romanzi di Baum, all’inizio, con l’intenzione di usarli per una serie televisiva. La cosa non va in porto e si passa all’idea di un lungometraggio, The Rainbow Road to Oz, mai portato a termine. Nel 1980, Murch parla con l’allora capo della Walt Disney Productions, Tom Wilhite. Il montatore vorrebbe esordire dietro la macchina da presa con un adattamento di uno dei tantissimi libri di Baum. Non vuole fare un sequel del film del 1939, perché il suo progetto è molto diverso, più fedele ai romanzi e più cupo.
La Disney che, ricordiamolo, nei primi anni ’80 non se la passava benissimo, accetta e parte la solita, lunghissima macchina di pre-produzione, di casting, di tira e molla sul budget. In mezzo ci sono anche un cambio di dirigenza e il licenziamento di Murch che però viene richiamato.
Ridendo e scherzando, si va a girare nel 1984, con Murch che, ovviamente, finisce in enorme ritardo sul piano di lavoro, la Disney che chiede di tornare sul set tre o quattro volte, alcune scene buttate e rigirate da capo. Le solite cose, insomma.
Il film esce in pompa magna, in migliaia di sale, con enorme battage pubblicitario a sostenerlo, il 21 giugno del 1985. A fronte di un budget di 28 milioni di dollari (cui ne vanno aggiunti altri 6 buttati in promozione), Return to Oz incassa 11 milioni. Un disastro epocale.
Recupera un po’ sul mercato europeo (quello dei genitori distratti, suppongo) e, col passare degli anni, diventa un cult nostalgico della mia generazione. Non so se i più giovani lo abbiano mai riscoperto, ma tendo a dubitarne.
Il problema di Return to Oz, che è un horror bellissimo e, ogni volta che lo rivedo, non manca mai di stupirmi per la sua perfezione estetica e per la complessità dei temi messi in campo da Murch, è che non era un film per bambini. O meglio, in alcune scene ne ha (sebbene solo in parte) l’aspetto, racconta una vicenda a misura di bambino, ma questo ne peggiora addirittura la situazione, perché è tutto un inganno, una montatura, una sirena che ti chiama in sala con la sua voce soave e poi, una volta spente le luci, mostra il suo vero volto. E ti morde con una violenza inaspettata, soprattutto sei hai 7 anni e ti aspetti un tipico prodotto Disney, di quelli che consumi in VHS a casa tua: canzoni, numeri musicali vari, colori brillanti, personaggi buffi e simpatici.
Return to Oz si apre con una bambina che rischia di beccarsi un elettroshock, perché è talmente traumatizzata da un tornado che ha scoperchiato la fattoria dove vive con gli zii (Zia Em è Piper Laurie) da essersi inventata un mondo inesistente, Oz appunto. Dorothy non dorme più, farnetica di uomini di latta, leoni e spaventapasseri. Nessuno, com’è ovvio, le crede, e quindi la poveretta finisce in un ospedale psichiatrico. E questo è soltanto l’inizio.
Quando, dopo una rocambolesca fuga dall’istituto, Dorothy riesce a tornare a Oz, il luogo è molto diverso da come lo ricordavamo: la Yellow brick road è distrutta, la Città di Smeraldo ridotta in rovine e deserta, e tutti i suoi abitanti sono stati trasformati in pietra. A parte Billina, la gallina parlante arrivata dalla sua fattoria, Dorothy è sola in un luogo ostile e spaventoso. Il primo incontro è quello con i Ruotanti, che penso siano stati protagonisti degli incubi di legioni di bambini.
C’è poi la strega Mombi (Jean Marsh, che ci manca tantissimo), con la sua collezione di teste mozzate da cambiare a suo piacimento, che se ne va in giro decapitata, inseguendo Dorothy per i corridoi del suo castello.
Per non parlare del Re degli Gnomi, della sua fornace, della sua morte che non sfigurerebbe in un body horror.
Tutto l’immaginario intorno a cui è costruito Return to Oz è cupo, pesante, impregnato da un senso di morte e decadenza che magari quando sei molto piccola capti a un livello inconsapevole e confuso, e proprio per questo, ancora più angosciante, perché non riesci a definirlo con gli strumenti che hai a disposizione.
Non c’è niente, all’interno del film, che sia messo lì per rassicurare: i personaggi positivi, quelli che scortano Dorothy nel suo viaggio verso la montagna del Re degli Gnomi, hanno tutti qualcosa che non torna, sono rotti, malfunzionanti, danneggiati, nel corpo e nella psiche. Voi direte che le mancanze erano fondamentali anche nel film del ’39, ed è vero, ma lì era tutto stemperato nella dolcezza, annegato nel chiasso splendente del technicolor e delle canzoni. Qui ti resta solo la sensazione che Dorothy sia circondata da una corte di freak, uno più strano, più sinistro e più inquietante dell’altro.
Per dire, a me da bambina la zucca faceva più impressione della strega, e credo che non fosse perché la percepissi come minacciosa, ma perché è impossibile non sentirne la profonda tristezza, la malinconia, la solitudine di essere una creatura appena nata e subito gettata in un caos incomprensibile.
Poi ovviamente si invecchia, si rivede il film a un’età più consona per coglierne le sfumature e ci si rende conto che Return to Oz ha diversi strati, diverse interpretazioni, e sono tutte ugualmente disperanti, che è una delle rappresentazioni più dolorose del processo di crescita mai portate sullo schermo, il racconto di una fantasia che sta andando in pezzi, o addirittura di una psicosi. Perché è evidente a chiunque abbia visto il film da adulto che Oz esiste soltanto nella mente di Dorothy.
Il gioioso escapismo del primo film viene sepolto sotto una colata di colori spenti, di angoscia esistenziale, di primi confronti coi mostri che popolano il mondo dei grandi. Dorothy sta cambiando, sta crescendo, appunto, e restare aggrappata ai sogni dell’infanzia le riesce sempre più difficile, tanto che persino quelli sono meno vividi e assumono dei connotati tetri e sofferenti.
Il motivo vero per cui Return to Oz fa paura, quello che lo ha fatto diventare un flop commerciale all’epoca della sua uscita in sala, è che dice al pubblico infantile cui è rivolto che la loro immaginazione è destinata a essere sempre più sbiadita e più corrotta.
In un certo senso, Return to Oz è una pietra tombale sul concetto stesso di fantasia: se un anno prima, La Storia Infinita ci rassicurava (e infatti tagliava la seconda parte del libro) mettendo in evidenza l’enorme potere della creatività di un bambino, nel 1985 Return to Oz ci spediva tutti nell’ospedale psichiatrico più vicino.
Da questo punto di vista, la Dorothy di Return to Oz è quasi un’Ofelia in anticipo di vent’anni: la sua è una forma di resistenza impossibile ai dettami dell’età adulta che le sta addosso e che lei, coraggiosa, pura e armata di un candido fatalismo, combatte con ogni fibra del suo essere.
È una guerra persa in partenza, ma, come dice spesso Dorothy nel corso del film, persino quando sta precipitando nel vuoto, “dopotutto, non possiamo farci niente”.
Oggi invece è la giornata dedicata a chi è agli inizi del genere, quindi ci dobbiamo far venire in mente un horror da proporre a qualcuno che non ha molta dimestichezza coi morti ammazzati e i mostri che ti mangiano la faccia. La mia scelta cade su Scary Stories to Tell in the Dark del 2019.












Concordo: è un bel film ma anche un capolavoro di terrorismo psicologico per la generazione di bambini cresciuta negli anni ’80.
(chissà quanti di noi, da adulti, lo hanno rivisto con nostalgia scoprendo che, sì, era davvero così)
Ma davvero, “terrorismo psicologico” è proprio la definizione adatta. Per forza all’epoca non ha avuto il successo che la Disney sperava.
Buongiorno Lucia,per la challenge di ieri non ho niente da dire,perche’ entrambi abbiammo scelto “Return To OZ”,bellissimo e spaventoso😈.Invece per la challege di oggi,ipotizzando un titolo in grado di bilanciare orrore e momenti piu’ leggeri per chi e’ agli inizi col genere,ho puntato sulla mia amatissima Dark Castle di Silver e Zemeckis,forse mi prendero’ qualche pernacchia……ho scelto “I Tredici Spettri”,per me divertentissimo!.😁👍
I 13 spettri è perfetto per chi ancora non ha dimestichezza con l’horror
per quanto riguarda i traumi infantili il mio è senza dubbio “la collina dei conigli”…
Guarda, lascia stare, io ho letto il romanzo che ero piccolissima e poi mi hanno anche fatto vedere il film e ancora sto qui che non mi capacito di tutto quell’orrore.
Da piccola l’avevo registrato su videocassetta e l’ho visto più volte.
Più che un trauma è stato una consolazione ai traumi reali già vissuti ed alla conseguente solitudine.
Tra le altre cose avevo il terrore degli ospedali psichiatrici e in particolare dell’elettroshock, perché una zia nei primi ci viveva da decenni e il secondo l’aveva subìto nei “gloriosi” tempi ante-Basaglia.
Non a caso nei confronti di questo film provavo repulsione e fascino insieme.
In fondo parlava di me.
È un film interessantissimo da un punto di vista psicologico, infatti. Secondo me fa il paio, per quanto riguarda la messa in scena di uno stato mentale complicato, con Alice, quello d’animazione, quello lisergico.
Non avevo la tua età la prima volta che l’ho visto, ma questo non cambia il fatto che nemmeno io mi sarei aspettato un simile, oscuro e pauroso Regno di Oz all’interno di un film Disney. Regno che, tra le altre cose, vari decenni dopo sarebbe stato incluso negli universi del bonelliano Martin Mystère, dove infatti la base di Altrove intrattiene rapporti pacifici con la dimensione in cui Oz risiede (non fosse per la perfida multicefala Mombi, un po’ meno incline alla pace) 😉
Un film per horrorofili alle prime armi? Per rimanere in qualche modo sempre nel campo delle fiabe nere, Io sceglierei “Qualcosa di sinistro sta per accadere”…
Che bomba!!!🎃
Per i ricordi d’infanzia cito i due più traumatici. Uno è un film che ricordo chiaramente e l’altro una serie di immagini un po’ confuse che non sono riuscito completamente a sbrogliare ma che mi hanno impedito letteralmente di dormire.
Il film è “Alien” che ero riuscito a guardare per sbaglio per qualche minuto (non avrei potuto vederlo), fino al rientro nell’astronave col facehugger. Ricordo TUTTO!
Le immagini sono di un horror (ma potrebbero essere più ricordi sovrapposti), anche questo visto di nascosto, in cui un morto esce dalla tomba e poi, dentro ad una casa, sorprende alle spalle una persona uccidendola; un gatto viene trovato morto e c’è Telly Savalas da qualche parte…😅
“Film di entrata”, wow, ce ne sono di super.
Ne dico un paio di recenti che mi fanno impazzire e che sono interessanti insieme, dei “gemelli diversi”: “8mm” (♥️) e “Attack The Block” (♥️).
“Return to Oz” (♥️) non potevo perdermelo. Non mi ha traumatizzato perché l’ho cominciato a guardare con 2/3 anni in più. Era nella lista dei miei “classici” imperdibili in tv (Labyrinth, Goonies, E.T., Explorers, Incontri ravvicinati…, Piramide di Paura, Uno sceriffo extraterrestre…). Affascinante, denso, inquietante, si sentiva che aveva qualcosa di diverso… (se Murch si “allargava” ancora un po’ arrivava in zona Phenomena!😁). Trovavo questa “densità” magnetica e “adulta” e gli aspetti più “pesanti”w decadenti mi piacevano probabilmente perché io ancora non li avevo vissuti (o “realizzati” interiormente). Paradossalmente faccio più fatica a vederlo oggi che da bambino, oggi che ho più bisogno di “catarsi” di allora. Sarei davvero curioso di chiedere agli autori, immaginando il target che avrebbe avuto il loro film, cosa esattamente pensavano di comunicare e quale effetto pensavano di ottenere: sarebbe davvero interessante rifletterci. Neanche Labyrinth, per fare un esempio, (che io ho visto al cinema da bambino) è un film per bambini (o meglio: è “anche” per bambini) però ha una “confezione”, un tono, uno stile… che lo rendono fruibile e godibile emozionalmente e intellettualmente dal me bambino, dal me adolescente che lo rivede e dal me adulto che lo riscopre di nuovo, in modo “intenso” ma non traumatico (almeno a me fa questo effetto).
Però… che figo Return to Oz!🙂
Sono d’accordo, il film è un piccolo capolavoro. La Disney negli anni’80 aveva preso un’insolita direzione gotica ; “Return to Oz” potrebbe far parte di un’ ideale trilogia dark insieme ad altri film strepitosi della casa cinematografica americana di quel decennio, come ” Il drago del lago di fuoco” e ” Taron e la pentola magica”. Tutti e tre fiaschi leggendari, tutti e tre film assolutamente da rivalutare.
La prima apparizione dei ruotanti mi turbava tantissimo
In realtà è un poker di film fantaorrorifici quello proposto dalla Disney anni ’80 ; avevo totalmente dimenticato “Qualcosa di sinistro sta per accadere”, giustamente citato da Giuseppe…
Che gli è uscito così spaventoso quasi contro la loro stessa volontà
In tutto il pippone più su mi ero dimenticato che sì “Return to Oz” ma in molti siamo cresciuti con gli anime giapponesi trasmessi in Italia tra gli anni ’70 e ’80 come prodotti per… bambini! E cioè con scenari postatomici, orfani, complotti di corte, guerre coi morti veri, società sfasciate, traumi, umorismo demenziale sfrenato, tette – sangue dal naso – bave alla bocca, nudi, palestre del male, mostri e demoni assortiti, storie che finivano male, eroi che morivano, corpi che esplodevano, zattere sul Mississipi, giapponi medievali violenti, scheletri volanti, coming of age spessissimi e pesissimi… Il paradiso!😁
Ed è verissimo, ma lì c’era un errore di valutazione italiano nel mandare in onda quella roba e indirizzarla a un pubblico infantile. In origine, molti di quegli anime non erano pensati per una fascia di pubblico così giovane. Invece, i direttori di programmazione delle tv private hanno detto: ehhh, vabbè, so’ cartoni, saranno per bambini.
Tra l’altro, con delle contraddizioni che talvolta sfioravano il ridicolo (aggiungo pure patetico e ipocrita) involontario. Ricordo il caso di Ken il Guerriero, portato in Italia per la primissima volta dal circuito di matrice cattolica “5 Stelle” -oggi Telenova, credo- il quale non poteva essere di certo all’oscuro dei contenuti dell’anime… Non fosse che, sulla posta dei lettori di un noto settimanale a fumetti per ragazzi dello stesso “giro” (Il Giornalino), una timorata madre di famiglia si lamentò per l’estrema violenza che, a suo dire, aveva traumatizzato il figliolo di otto anni, con la redazione prontissima ad unirsi in coro alla sua condanna dei cartoni giapponesi… redazione di proprietà dello stesso gruppo editoriale consociato al circuito televisivo di cui sopra che aveva acquistato PER PRIMO i diritti per poter trasmettere le avventure di Ken 😖
Vero! Ma che magnifico errore…😁
Da quell’errore è iniziato un mito dalle Sette Stelle… 😉
Sarò strano io, ma dopo essermi spaventato a morte con i rotanti, rotolanti o come si chiamavano al cinema da ragazzino (avrò avuto 6/7 anni credo) e aver vissuto un trauma per via della strega (e di trauma si tratta visto che con alcuni amici si parla ancora di lei), l’ho rivisto parecchie volte in VHS. Ora però vorrei rivederlo, ma ho paura che il ricordo che è comunque legato a un periodo della mia infanzia mi abbia fatto ingiantire le qualità del film. Diciamo che nella mia mente è qualcosa di miticizzato e non voglio che magari diventi qualcosa di diverso.