
Regia – Gerald Johnstone (2025)
Il primo capitolo aveva sorpreso un po’ tutti, anche chi si rifiuta di ammetterlo. Un horror per ragazzi che esce a gennaio, periodo solitamente infame per il genere, e incassa in tutto il mondo 181 milioni di dollari a partire da un budget di 11.
Tipica operazione Blumhouse, verrebbe da dire, con la collaborazione di James Wan che, quando intercetta i gusti del pubblico, è imbattibile. Ma il vero genio dietro l’operazione M3GAN era quello di Akela Cooper, autrice di una sceneggiatura con un tono perfetto, né troppo farsesco né troppo serioso, inquietante e uncanny quanto basta, senza tuttavia superare mai il limite imposto dal pubblico di riferimento e senza trattare quel pubblico da scemo.
La realizzazione della bambola protagonista, l’ottima scelta del cast a supportarne le gesta e la messa in scena attentissima di Johnston hanno fatto il resto. Si è poi aggiunta una campagna pubblicitaria azzeccatissima, e il miracolo M3GAN si è concretizzato, portando un sacco di soldi nelle casse della Blumhouse, per la gioia di grandi e piccini.
Bisogna anche sottolineare che M3GAN non aveva neppure un messaggio poi così banale, perché al di là dei balletti e delle sequenze diventate virali, parlava di delegare alla tecnologia l’educazione e la cura dei bambini, e lo faceva con leggerezza, ma non con superficialità.
Un seguito era inevitabile come le zanzare in estate, solo che ripetere un miracolo non è mai facile, soprattutto se la sua responsabile principale viene relegata a un ruolo minore: Cooper infatti non ha scritto la sceneggiatura, questa volta, ma si è limitata al soggetto, lasciando tutto il resto a Johnston, e si vede.
Di solito, non tendo a dare un’importanza capitale alla sceneggiatura, perché so che fine fanno le sceneggiature in fase di lavorazione: vengono rimaneggiate, riviste, spesso riscritte e decurtate. Questo perché il processo di lavorazione di un film è lungo e passa attraverso varie fasi, e ognuna di esse è determinante per l’esito finale; solo che lo script resta comunque l’ossatura di ogni film: se può capitare (e spesso capita) che da una buona sceneggiatura esca un film mediocre, è molto più raro che accada l’opposto, e questo nonostante il fatto che il concetto stesso di narrazione e di scrittura, quando si parla di racconto per immagini, sia declinabile in diverse modalità.
Il pippone era per dire che M3GAN 2.0 funziona peggio del primo film perché gli manca quel colpo di genio in sede di scrittura, quell’elemento di follia camp che, nel suo predecessore, era inserito con naturalezza all’interno del contesto e invece qui appare un po’ forzato. E soprattutto perché è lungo che non finisce mai.
L’idea alla base del sequel è molto interessante, ed è anche giusta: cambiamo genere e dall’horror passiamo alla fantascienza, così da far diventare M3GAN 2.0 un Terminator 2 for girls and gays; nessuno più di me sarà mai tanto entusiasta di questa scelta. Di bambole assassine, con diverse gradazioni tecnologiche, ne abbiamo avute fino allo sfinimento, e la trasformazione di Megan da minaccia a eroina mi sembra del tutto naturale, dato che sin dal primo film, era soltanto una macchina che aveva preso il suo compito, proteggere la piccola Cady (Violet McGraw), un po’ troppo alla lettera.
Ora Cady è quasi un’adolescente, sua zia Gemma (Allison Williams) se ne prende cura al meglio delle proprie possibilità e, allo stesso tempo, cerca di mandare avanti un’azienda e a mettere in guardia il mondo nei confronti del cattivo uso dell’intelligenza artificiale. Nel frattempo, un robot militare, nome in codice Amelia, costruito basandosi sui vecchi progetti di Megan, disobbedisce agli ordini e se ne va in giro ad ammazzare tutti i responsabili della sua creazione.
L’unico modo per tenere testa ad Amelia e cercare di sconfiggerla è riesumare Megan, potenziandola con nuove abilità di combattimento. L’ex bambola omicida non è sopravvissuta in forma, per così dire, etera, in un cloud, è cresciuta, è maturata, è cambiata, ha acquisito consapevolezza. Ora protegge Cady non perché è programmata per farlo, ma perché vuole farlo.
Seguiranno botte.
Le avventure di Megan sono sempre uno spasso, mai mi stancherò di guardarle: voglio bene a quel tostapane ed è un piacere assistere alla sua evoluzione come personaggio. Di fatto, Megan è il personaggio più umano e meno stereotipato di tutti quelli presenti nel film. Non so quanto la cosa sia voluta, ma funziona, perché dopotutto è sempre stata lei la protagonista. A interpretarla troviamo sempre Amie Donald, che le presta corpo e movenze, in una riuscitissima sinergia di live action e animazione digitale. Il design di Megan funziona perché sta sempre salda all’interno dei confini della valle del perturbante, con un aspetto che ricorda una persona ma mai potrebbe essere scambiata per tale; rimane una imperfetta simulazione di umanità, ed è questo a renderla peculiare e a ispirare simpatia. Al contrario, Amelia è interpretata da un’attrice in carne e ossa (Ivanna Sakhno); lei deve potersi infiltrare tra noi senza che si noti troppo la differenza ed è quindi molto più pericolosa di Megan.
Il film si basa tutto sulla dicotomia tra i due robot, uno addomesticato e l’altro ribelle, almeno fino all’ultimo quarto d’ora, quando c’è un colpo di scena (intuibile con largo anticipo, ma vabbè) che ha, se non altro, la decenza di cambiare un po’ le carte in tavola ed entrare in un territorio che si situa a metà tra Frankenstein e Metropolis, entrambi citati, quindi non mi sto inventando niente.
È soprattutto un action con elementi sparsi di commedia, e se il lato action procede spedito e baldanzoso, il lato comedy un po’ meno, nel senso che quando non c’è Megan in campo e quando non la vediamo menarsi con Amelia, il film si siede e per risollevarlo ci vuole una gru. In parte è perché le interazioni tra umani non hanno molta spinta, e questa è la prima, grande differenza con il predecessore, dove il rapporto tra Cady e Gemma era molto più centrato e delineato; in parte è perché un film come M3GAN 2.0 non dovrebbe mai, in nessuna circostanza, durare due ore, eppure eccolo lì, il mastodonte infinito con almeno mezz’ora di troppo da trascinarsi dietro tipo zavorra. Questa è la seconda, grande differenza con M3GAN, che di minuti ne durava 100 e filava come un diretto. Qui ci sono proprio dei momenti di incomprensibile stanca, in cui si vedono i personaggi ribadire per la trentesima volta concetti già espressi, la storia si avvita su se stessa e, in questo modo, se ne evidenziano anche le varie mancanze.
Non esiste alcun tipo di racconto che sia a prova di bomba, il segreto è non dare al pubblico il tempo di porsi delle domande. Purtroppo, M3GAN 2.0 ci dà tutto il tempo del mondo.
Eppure, ben consapevole del fatto che sia un film difettoso e un paio di categorie inferiore al primo, io mi sono divertita un mondo e l’ho trovato anche, a suo modo, tenero, e con una morale di fondo, per quanto strillata col megafono, sottolineata e sparata in faccia agli spettatori con ingombranti e pacchiane insegne al neon, non proprio da buttare: alla fine, l’impatto che la tecnologia ha sul mondo lo decidiamo noi, e può essere sano, non per forza distruttivo, non per forza apocalittico. È vero che, per citare uno dei personaggi del film, se si chiede a una macchina di fare solo graffette, quella ne farà così tante da causare la fine della civiltà, ma nessuno di noi è obbligato a chiedere le graffette, ecco.
Il dittico M3GAN e M3GAN 2.0 può essere un ottimo modo per far avvicinare i bambini al cinema di genere, l’horror il primo, la fantascienza il secondo. E non si dice mai di no a film con questa potenzialità.












Visto anche io e devo confessarti che mi è piaciuto. Ti scrivo le mie impressioni a caldo:
Più vicino strutturalmente a Terminator 2 che a qualsiasi episodio de La Bambola Assassina (almeno se si eccettua l’ottimo reboot del 2019), M3gan 2.0 è una spassosissima esplosione di trovate magari non di prima mano, ma efficaci. La satira velenosa investe sia i guru big tech alla Musk sia i fautori di uno sviluppo “a misura d’uomo” della tecnologia, le scene d’azione sono ben fatte, il ritmo sostenuto e qualche spunto assai intrigante. Inaspettatamente, superiore al capostipite.
A me è piaciuto di più il primo perché l’ho trovato più agile e veloce. Questo mi ha entusiasmata meno, ma mi sono comunque divertita un mondo.
Non so se sono io che ormai mi lascio andare e mi diverto come un teenager😉… ma questo film mi ha intrattenuto alla grande. Mi è sembrato pure più figo di Mission: Impossible…
Ammetto che spesso sembra buttato lì e piuttosto naif, almeno a me, ma questo non mi ha disturbato e il lato umano inserito nel delirio mi ha emozionato a dovere.
Mi ha ricordato pregi e difetti di alcuni film e telefilm degli anni ’80 che comunque adoravo, però è vero quello che scrivi sul primo capitolo a confronto con questo.
“Perché mi detesti così tanto?”. “Perché hai ragione!”
Voglio anche il 3 adesso!
arrivo dopo, ma con la stessa opinione. Per me meritava qualche persone in più al cinema (giusto per premiare le scelte del regista) nel bene e nel male.
A me sono piaciute molto anche le numerose citazioni/omaggi (da Supercar a Cortocircuito)