
Regia – Ti West (2024)
Il mio cuore di pietra è diviso in due e non sa scegliere quale sia il suo horror preferito del 2024. Fino a pochi giorni fa se ne stava saldo sulla trincea di Immaculate, ma poi è arrivata Maxine Minx e l’ha mandato in confusione. Di una cosa però è certo: l’ultimo film di Ti West è il migliore della trilogia iniziata nel 2022 con X. So che a essere d’accordo con me è una minoranza, perché Maxxxine è stato accolto con un certo grado di perplessità, anche comprensibile: è il più teorico dei tre, quello che più ci riporta al Ti West degli esordi, quando girava con tre lire e mezza un horror che pareva uscito da un fondo di magazzino di fine anni ’70.
Nel frattempo, il regista è maturato, ma sempre al recupero filologico di un cinema antico è tornato. Ha attraversato la Hollywood del melodramma classico e la New Hollywood dei registi da guerriglia e del porno chic. Con Maxxxine l’epoca è tra le più abusate dal citazionismo nostalgico del XXI secolo: gli anni ’80 dai quali sembra non siamo mai usciti e mai usciremo.
Ma gli anni ’80 di Ti West sono quelli luridi e molto complicati di De Palma e Schrader, quindi ancora influenzati da una agonizzante New Hollywood, mentre gli studios stavano riprendendo il controllo della situazione e gli autori annaspavano in cerca di un linguaggio di compromesso con le esigenze commerciali di un’epoca tutta nuova, niente affatto scintillante come la nostalgia ci vuole far credere a tutti i costi.
Ti West lo sa bene che c’è una differenza enorme tra rievocazione nostalgica e recupero filologico, e di conseguenza c’è un abisso tra gli anni ’80 come ce li hanno raccontati e com’erano, e tra il cinema di quel periodo storico destinato all’intrattenimento di massa e indirizzato a un pubblico preadolescenziale, e quello adulto, tra quello che celebrava una società sempre più tesa verso l’individualismo sfrenato, e quello che ne denunciava la bancarotta morale.
Dico da anni su questo blog che, prima dell’invenzione del termine “elevated”, l’horror era quella robaccia situata appena un gradino sopra al porno. C’è sempre stato un filo diretto tra cinema dell’orrore e pornografia, e non soltanto per la scarsa considerazione riservata a entrambi; il collegamento esiste anche, da anni, a livello professionale, con il passaggio di registi e interpreti (attrici, soprattutto) da un settore all’altro e in entrambe le direzioni. Esiste anche una sorta di linguaggio comune: quante volte avete sentito definire alcuni horror “pornografici”?
È quindi naturale che, in un contesto come quello degli anni ’80, la nostra Maxine, sopravvissuta al massacro di X e partita alla volta di Hollywood, faccia un provino per un film dell’orrore, sua prima grande occasione per cambiare circuito, per fare il salto verso un cinema più rispettabile.
Ma neanche troppo. Perché gli anni ’80 sono anche quelli della prima ondata di satanic panic, delle crociate contro i film violenti, contro i giochi di ruolo, il momento in cui, dopo l’ubriacatura libertina del decennio precedente, la parola d’ordine era normalizzazione. A tutti i costi.
Di facciata, ovviamente, perché la metropoli messa in scena da Ti West è la stessa de Lo Squartatore di New York di Fulci, la stessa di Maniac di Lustig, la stessa di Frankenhooker di Henenlotter. Non importa siano città diverse; è in questi film che dovete andare a cercare l’atmosfera ricreata da West in Maxxxine: un mondo di predicatori puritani (il film a cui Maxine lavora è The Puritan II), di picchetti di genitori indignati davanti agli studios, che tuttavia si regge su un sottobosco fatto di sordidi locali a luci rosse, peep show, giovani donne che tentano di raggiungere la notorietà e spesso si perdono, scompaiono, muoiono nell’indifferenza generale.
E così, il set di un film dell’orrore, guidato da una regista ambiziosa, a volte dispotica (Elizabeth Debicki), ma estremamente preparata e con le idee molto chiare su cosa vuole dal proprio mestiere, diventa l’unico luogo pulito, assume i connotati salvifici di una via di fuga dallo squallore. Ogni volta che Maxime o, qualsiasi altro personaggio femminile, si trova al di fuori degli studios, entra subito in una zona di pericolo.
Cinema, adorato cinema. Malvagio e spietato, un meraviglioso tritacarne che ti scombina l’esistenza. Ti West dal cinema è stato prima accolto a braccia aperte, poi masticato e rigettato, e alla fine è tornato quando in parecchi lo davano per spacciato. Non conosce bene solo lo stile, la tecnica e l’arte del racconto per immagini; conosce alla perfezione i meccanismi distruttivi che l’industria innesca. In Maxxxine ce li mostra tutti, ci smonta il giocattolo e ci fa vedere com’è fatto, ma ne mantiene intatto il potere magico, la sua capacità di fungere da ipnosi di massa: Maxxxine non è un omaggio agli anni ’80, è un atto d’amore nei confronti del sottobosco dei lavoratori cinematografici che contribuiscono a tenere in piedi l’illusione: dai carpentieri che costruiscono i set, ai truccatori che realizzano gli effetti speciali.
Un’opera di altissimo artigianato e profondamente, intimamente colta. Mi verrebbe da dire un film per iniziati, però non sarebbe giusto nei suoi confronti.
L’ho trovato più centrato rispetto a X e a Pearl, più geometrico nelle scelte estetiche e più lucido nel raccontare il percorso della sua protagonista. Mia Goth, sempre più brava e sempre più padrona della narrazione, ci porta con lei in questo inferno di bugigattoli puzzolenti, vicoli lerci e orridi esemplari di individui di genere maschile, e da lì lungo la scalata che condurrà Maxine a diventare la diva che ha sempre voluto essere, rendendo così giustizia a tutte quelle a cui, prima di lei, è stato impedito. È un ritratto, il suo, di una donna che non ha alcun bisogno di stare simpatica, di essere carina o gentile, che impone la propria presenza e non chiede scusa per l’ambizione che le fa da motore. Maxine è il superamento definitivo del concetto di final girl e, da questo momento in poi, sarà difficilissimo tornare indietro.
Salutiamo la nostra nuova icona, usciamo dalla spirale nostalgica e reazionaria, mettiamo una pietra sopra all’elevated horror e godiamoci questo straordinario bagno di sangue che non si vergogna, non chiede di essere rispettabile e trionfa immerso nel marciume. Maxxxine è l’horror dell’anno, che lo vogliate o no.












Ho un rapporto strano con Ti West. Scorro la sua filmografia, e i suoi film mi sono piaciuti tutti senza eccezioni. Ma mai una volta mi ha fatto urlare al capolavoro. È un ottimo regista, non si discute, e ha un suo stile definito che apprezzo. Non so cosa ci sia nei suoi film che mi tiene emotivamente a distanza,
E alla fine, tra i suoi lavori, i miei preferiti restano House of the devil, e The Sacrament, sicuramente meno chiacchierati di altri.
Questo, per quanto mi sia comunque piaciuto, mi è sembrato un filo più debole dei precedenti due, forse semplicemente con meno cose da dire. Lei sempre bravissima.
Per me l’horror dell’anno, come dicevo in un’altro commento, resta Longlegs, con pochi rivali. Come annata, finora, non c’è stato moltissimo… Ma manca ancora qualche mese, e non si sa mai.
Non sono d’accordo. Lo sono di più.
Di sicuro il migliore della trilogia. Ti West ormai una garanzia e Mia una Dea.
Tra i primi 3 del 2024 e si sta giocando il primo posto, salvo imprevisti in questi 4 ultimi mesi dell’anno.
Sì, di solito l’horror si gioca le sue carte migliori nella parte finale dell’anno, però fino a questo momento, Maxxxine è al primo posto.
È un grande omaggio al cinema, come lo erano C’era una volta a… Hollywood e Hugo Cabret. Io continuo a preferire Pearl (anche solo per quel monologo di Mia che è una delle cose più emozionanti degli ultimi anni); se devo trovare un difetto a Maxxxine (ho sentito dire che anche i diamanti hanno difetti) è nell’ultima parte dove l’aspetto politico, presente per tutto il film sottopelle con grande naturalezza, si affaccia in modo troppo invasivo. Horror dell’anno? Se la batte con Immaculate e I Saw the TV Glow (sì, il film di Schoenbrun mi ha rapito); sicuramente non Longlegs.
“perché la metropoli messa in scena da Ti West è la stessa de Lo Squartatore di New York di Fulci, la stessa di Maniac di Lustig, la stessa di Frankenhooker di Henenlotter”….ok, hai avuto la mia attenzione solo con queste citazioni…:-)…credo che me lo vedrò stasera stessa…:-)
Esistono coloro che gli anni ’80 li hanno abbracciati con grande entusiasmo assecondandone la pacchianaggine di gusti, mode e tendenze (comprese quelle più deteriori come l’individualismo, purtroppo), ignorando volutamente la proverbiale polvere che si nascondeva sotto il tappeto, e poi ne esistono altri la cui sensibilità e spirito critico impedivano di ignorarla e che, quindi, quegli stessi per nulla mitici anni li hanno assai sofferti sulla propria pelle… Credo non sia difficile capire a quale delle due categorie si stia rivolgendo West, qui.
Mah, ho visto sia Maxxxine che Immaculate negli ultimi due giorni. Iperdeluso da entrambi: ma sono l’unico a pensare che i film horror debbano fare un minimo paura? Non dico che debbano essere originali (qualità sconosciuta ad entrambe le opere), ma che ne so, almeno stupire, mettere a disagio, darti qualcosa da pensare… Sembrano due operazioni filologiche fini a se stesse.
Poi certo, si possono andare a scomodare gli anni di cinematografia dell’università per trovarci un senso, ma questo si può fare con qualunque cosa.
Boh, sono basito. Peccato.
Sono un eretico se dico che l’ho preferito a ‘Last night in Soho’? (non so neanche di preciso perchè li associo ma vabbè…)