Double Feature: Drammi da camera indipendenti

Oggi torniamo ad analizzare i film a botte di due alla volta. Non lo facevamo da tanto tempo, ma questo fine settimana ho visto un paio di horror molto contenuti e claustrofobici nell’ambientazione, entrambi basati su un senso di crescente paranoia e sulla scarsa affidabilità della mente e della percezione dei protagonisti. Sono horror psicologici, molto ben realizzati, con un’estetica marcata e precisa, delle caratteristiche tecniche, in un caso gli effetti speciali, nell’altro il sound design, che risultano essere il cuore dei rispettivi progetti, e dei budget bassi. Anzi, in uno dei casi, si tratta proprio di un’operazione a micro budget, mentre nell’altro ci sono dietro i fondi del BFI. Ma non parliamo di grandi produzioni, ve lo assicuro. Come postilla finale, tutti e due i film sono disponibili su Shudder, anche se Stopmotion ha avuto anche una distribuzione in sala in UK, suo paese d’origine. 

Partiamo proprio da Stopmotion, esordio del regista inglese Robert Morgan e, come è evidente sin dal titolo, curiosa mistura tra riprese dal vero e animazione in stop motion. Racconta la storia di Ella Blake (Aisling Franciosi), figlia di una storica animatrice e animatrice lei stessa, impegnata ad aiutare la madre a realizzare quello che sarà il suo ultimo film. La donna ha infatti perso l’uso delle mani in seguito a quello che credo sia stato un ictus, e può solo dare le direttive a Ella che si occupa del lavoro sporco, ovvero spostare di pochi millimetri alla volta i pupazzi e scattare le foto. Quando la madre di Ella si ammala gravemente e viene ricoverata in ospedale, Ella cerca prima di portare a termine il film da sola e poi di girare un suo progetto personale. Ma la cosa avrà un impatto molto violento sulla sua salute mentale. 
Stopmotion è innanzitutto il ritratto di una personalità compressa in un ruolo che non le appartiene; tuttavia, Ella è anche convinta di meritarsi esattamente quel ruolo, ovvero di essere la spalla della madre, il suo “braccio” dove questo monumento dell’animazione in stop motion, riconosciuta da tutti i suoi colleghi come un vero e proprio genio, è la mente.  Nella prima sequenza del film, vediamo Ella impegnata a eseguire le direttive materne (e la signora dà ordini che paiono scoppiettate) e in pochi secondi abbiamo già capito tutto il necessario del rapporto tra loro due. Quando Ella si ritrova all’improvviso, e suo malgrado, libera, ha bisogno di costruirsi qualcuno che la sproni a mettere in pratica le sue, di idee. Credo sia la cosa più interessante del film: non tanto l’ormai trito discorso su l’arte che finisce per fagocitare la vita reale, quanto quello sul prezzo da pagare, dopo un’esistenza passata a prendere ordini, per l’espressione del proprio talento, per prendersi il proprio posto nel mondo. 
Nel caso di Ella, il prezzo assume le sembianze di orribili incubi in stop motion che sono frutto della sua immaginazione e, allo stesso tempo, la aggrediscono. Ora, lungi da me voler passare per un’esperta della tecnica di stop motion, perché non ci capisco niente e resto soltanto ammirata dall’enorme difficoltà che questo tipo di animazione presenta, però il lavoro di Andy Biddle è impressionante: dall’aspetto dei pupazzi ai loro movimenti, alle scenografie che li vedono coinvolti, ogni elemento va a comporre un mosaico che ha l’atmosfera di una paralisi del sonno. 
Stopmotion è un film bellissimo, con una grande prova d’attrice a sostenerlo e dei momenti di terrore puro. 

Il secondo film arriva dall’Australia, e qui sul blog parte già in vantaggio, ma è un po’ diverso dal tipico prodotto di quelle latitudini, perché potrebbe essere ambientato ad Acitrezza e non cambierebbe niente, dato che si svolge tutto all’interno di quattro mura. You’ll Never Find me è scritto, diretto, prodotto e montato da Josiah Allen e Indianna Bell; è il loro primo lungometraggio, anche se i due collaborano da parecchio tempo e hanno realizzato insieme un buon numero di cortometraggi. Come dicevamo prima, siamo nel territorio delle produzioni a micro budget, ma è sfido chiunque a dire, dopo averlo visto, che si tratta di un film povero. Certo, l’unica location e i soli due attori in campo per tutta la sua durata tradiscono la scarsità delle risorse, o meglio, dimostrano come si possa fare un ottimo horror avendo a disposizione il nulla, se si ha una visione chiara e se si sa bene in anticipo su cosa spendere i pochi soldi che si hanno. In questo caso, tutto il comparto sonoro. 
Andiamo con ordine: You’ll Never Find Me racconta di un uomo che vive da recluso in una casa mobile. Durante una notte di tregenda, una ragazza si presenta alla sua porta; è scalza, in stato confusionale e ha bisogno di un passaggio per arrivare in città. L’uomo non ha una macchina e le offre rifugio fino a quando il temporale non sarà passato, promettendole di accompagnarla di persona al telefono pubblico più vicino (non possiede un cellulare). 
Il film dura un centinaio di minuti scarsi, durante i quali non sapremo mai, se non nell’ultimo quarto d’ora, se stiamo guardando un home invasion o una di quelle storie in cui una  donna finisce nella tana del lupo. Entrambi i personaggi hanno dei segreti, entrambi si comportano in maniera molto strana, entrambi non rivelano le proprie ragioni ed entrambi hanno un atteggiamento ambiguo e suscettibile di diverse interpretazioni. Il punto di vista viene ribaltato di continuo, a fasi alterne cominciamo a fidarci di lui o di lei per poi vedere le poche certezze che ci eravamo costruiti crollare nello spazio di un battito di ciglia. E tutto questo viene portato avanti con ferrea coerenza e con una precisione estenuante. Roba da uscirne con i muscoli contratti per la tensione. 
La costruzione dell’ambiente sonoro è fondamentale, dai rumori che provengono dall’esterno (il temporale, il vento, gli scricchiolii strutturali della casa mobile causati dagli agenti atmosferici) a quelli che invece sono prodotti dai due personaggi (mai il suono di una zuppa che bolle è stato così minaccioso). Veniamo risucchiati in questa bolla  di ansia e paranoia e non abbiamo la più pallida idea di dove i due registi abbiano intenzione di portarci. 
Ovviamente, quando le premesse sono così forti, può succedere che la conclusione non lo sia altrettanto, o che sia semplicemente la più scontata e prevedibile. E infatti ho letto in giro parecchie critiche al terzo atto di You’ll Never Find Me. In parte è anche vero: accade quello che ci aspettavamo all’inizio nonostante gli efficaci depistaggi, ma credo anche che fosse voluto, che fosse una scelta precisa per sottolineare, ancora una volta, il peso enorme delle dinamiche di genere in situazioni di questo tipo. Di più non posso e non voglio dirvi. Cercate il film e fatemi sapere che ne pensate del finale. E anche se non dovesse piacervi, non potrete negare che il viaggio per arrivarci è stato mozzafiato.

5 commenti

  1. Giuseppe · · Rispondi

    Difficile che un horror australiano riesca a deludere, e a occhio e croce pure questo pare avere tutte le carte in regola per rispettare la consolidata prassi (ragion per cui sono ancora più curioso riguardo al twist finale)… Il primo sembrerebbe una sorta di Harryhausen sotto acido, con più di un debito nei confronti di Phil Tippett e il suo Mad God, direi.

  2. Visto Stopmotion, veramente inquietante cosa puo’ generare la nostra mente, quello che non ho capito e chi e’ la piccola ragazza? (Caoilinn Springall) e’ Ella da piccola o esiste veramente? (ne dubito)

  3. Scopro ora che sei tornata. Mi fa piacere…
    Visti e apprezzati entrambi, soprattutto Stopmotion.
    Vista la penuria recente di horror davvero validi, mi permetto di segnalartene un paio di cui non hai scritto, e che magari non hai visto. The Attacment (del 2022), Home Education e
    Godless: The Eastfield Exorcism, del 2023. Nulla di che, ma tra i migliori che mi siano capitati quest’anno.

  4. Il primo mi attira molto, perchè voglio capire quanto l’argomento stopmotion influenza l’evolversi della trama

  5. visto anche You’ll Never Find me ma devo confessare che il finale e’ abbastanza confuso e non spiega niente su cio’ che abbiamo visto, e’ fantasia o realta’ quello che succede? boh.

    Delusione a meta’.

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