Zia Tibia Guarda i Sequel Vol. 2 – Hostel: Part II

Regia – Eli Roth (2007)

Come avevo detto nel post precedente, questa estate staremo poco nel XX secolo, perché sono piena di sequel usciti dopo il 2000 di cui parlare, e anche per differenziarci un po’ rispetto al volume 1, altrimenti sai che palle. Quindi, siamo qui riuniti per una dotta dissertazione sul film migliore mai girato da Eli Roth. E anche su quello che ha contributo ad affossarne la carriera verso la seconda metà degli anni ’00. Ricordiamoci che questo è l’ultimo film diretto da Roth prima di The Green Inferno, di produzione 2013, ma di distribuzione 2015. Qualcosa, con Hostel II, è evidentemente accaduto, perché la strada di Roth verso il successo sembrava spianata, perché Hostel, due anni prima, era stato un caso clamoroso, per non parlare di Cabin Fever, uno degli esordi più fortunati al botteghino degli ultimi quindici anni. 
Ma Hostel: Part II no, non è piaciuto al pubblico. Non lo sono andati a vedere, e credo sia un esercizio non proprio sterile domandarsene il motivo, dato che si tratta di un film di tre o quattro categorie superiore al capostipite. Non soltanto perché, com’è ovvio, costa di più. È superiore in ogni singolo reparto. 

Da un punto di vista strutturale, Hostel: Part II segue il suo predecessore in tutto tranne che nel genere delle protagoniste. Tre amiche vengono adescate nel famigerato ostello in Slovacchia e vendute all’organizzazione che si fa profumatamente pagare per mettere a disposizione di ricchi da ogni angolo del pianeta gente da torturare e uccidere senza conseguenze. Solo che non è affatto identico, anzi. Da un lato, il film rispetta la legge del sequel secondo la quale devi rifare il primo film alzando tutte le manopole a mille; dall’altro, sceglie un punto di vista un po’ meno superficiale rispetto a Hostel. Non so se sia voluto, accidentale, frutto di una sorta di meditazione a posteriori sugli errori commessi o soltanto una coincidenza dovuta al gender swap. Sta di fatto che, nel film, non c’è l’obbligo di assistere alle gesta di due personaggi con i quali, se vi capita di empatizzare, c’è qualcosa che non va in voi. O siete semplicemente maschi eterosessuali. Il problema, al solito, non è mettere dei protagonisti privi di qualsiasi attributo positivo, ma non prendere le distanze da loro. Guardare i primi 40 minuti di Hostel era come assistere ai filmini delle vacanze di Roth con i suoi amichetti. Quando si arrivava alle torture, ci si arrivava già anestetizzati, e comunque si trattava di promesse non mantenute. 

Qui Roth cerca di aggiustare il tiro: l’introduzione è molto più breve, ci sono più personaggi, gettiamo uno sguardo all’interno dell’organizzazione con la deliziosa scena dell’asta per acquistare le future vittime. Soprattutto, ci liberiamo di Paxton, unico superstite del primo film, nella sequenza d’apertura e andiamo a conoscere un terzetto di nuove protagoniste con cui è più igienico passare 90 minuti, non perché abbiano chissà quale spessore, ma perché sono scritte con un certo garbo e un minimo sindacale di simpatia umana, forse perché Ali Roth, per la prima volta, è costretto a guardare oltre il proprio ombelico e a mettersi nei panni di qualcuno diverso da lui. Poi è il solito cialtrone che mette in scena l’Italia come una cartolina senza un solo anelito di vita o come la culla di ogni tipo di nefandezza, per non parlare di come usa l’Est Europa (ma questo c’era già in Hostel, non diciamo nulla di nuovo). Va comunque considerato che Hostel: Part II arriva al picco di quel tipo molto particolare di xenofobia tipicamente statunitense per la quale uscire dai propri confini nazionali significava morte certa in mano ai selvaggi assetati di sangue americano. 

E tuttavia, anche qui, Roth introduce un nuovo elemento: vediamo per la prima volta i clienti che acquistano gli ignari turisti, e sono l’emblema dell’America bianca e ricca. Potrebbero essere i due protagonisti di Hostel diventati adulti e con un considerevole capitale a disposizione. È banalissima tutta la vicenda del brav’uomo che diventa un mostro e dell’aspirante mostro che, posto di fronte alle conseguenze fisiche delle proprie azioni, non ce la fa ad andare fino in fondo. O meglio, più che banale, molto prevedibile, ma comunque speculare ai personaggi maschili presentati in Hostel. Al che si potrebbe addirittura azzardare una teoria ardita e dire che, secondo Eli Roth, i suoi protagonisti si meritano tutto ciò che accade loro. Perché tanto poi, se sopravvivono, diventano come Todd e Stuart. Ma forse è davvero un azzardo troppo grande, un voler attribuire a Roth un pensiero più sofisticato del dovuto. 

E invece Roth è un cialtrone. Niente di male in questo: il mondo ha bisogno della sua piccola dose di cialtroni e questa rubrica è dedicata alla cialtronaggine cinematografica in ogni forma e maniera. Roth è anche molto istintivo e gira quello che gli sembra figo in un determinato momento. Di solito per lui figo e rivoltante sono sinonimi, e in effetti Hostel: Part II è molto più rivoltante di Hostel, tanto che sembra quasi dirti “l’altra volta abbiamo scherzato. È ora di fare sul serio”. 
La serietà con cui Roth, in questo secondo film, si approccia alla violenza, è dichiarata dalla morte di Lorna (Heather Matarazzo), che dimostra di avere un talento naturale da urlatrice e una pazienza infinita sul set: dovette restare appesa a testa in giù, nuda, per due giorni, scendendo ogni tanto a riposarsi cinque minuti. Sarà per merito suo (Matarazzo io non capisco davvero perché non abbia fatto più horror in carriera), sarà perché Lorna è un personaggio gradevole, sarà per come Roth mette in scena questa rivisitazione della Contessa Bathory, ma è una sequenza dolorosa, tragica e violenta, e funziona alla grande per impostare subito la giusta atmosfera. 

Quindi, per tornare a bomba al quesito iniziale, Hostel: Part II è un film più “estremo”, più intelligente, più bilanciato e anche meglio diretto di Hostel. Perché è andato male?
La spiegazione “ufficiale” è la pirateria; pochi giorni prima che il film arrivasse in sala, qualcuno mise in circolazione online una copia lavoro del film, scaricata da una quantità impressionante di persone. Hostel: Part II divenne allora “il film più piratato di sempre”. Roth ha sempre attribuito gli scarsi risultati al box office a questo fatto, e di sicuro avrà influito. Ma qui parliamo di un sequel che esce nel doppio delle sale rispetto al suo predecessore e incassa la metà, e non credo che basti una copia illegale che circola online a giustificare una debacle del genere. 
E allora io sono convinta che il mezzo tonfo di Hostel: Part II derivi proprio dal suo essere un buon film. O dal possedere quel grado di consapevolezza e intelligenza di troppo per cui il pubblico di Hostel non ti segue più, e il nuovo pubblico che, al contrario, potrebbe seguirti, è condizionato dalla porcheria che hai fatto in precedenza e magari al cinema non ci va nemmeno. 

Terzo e ultimo motivo, Hostel: Part II arriva nel 2007, e se vi fate un giretto tra gli horror usciti quell’anno, difficilmente ne troverete uno con tre protagoniste femminili e l’assenza totale di personaggi maschili connotati in senso positivo. Hostel ha il successo che ha non perché è l’horror più violento della storia, ma perché racconta le vicende di due maschi senza qualità e passa più della metà del minutaggio a raccontarci le loro avventure in cerca di una scopata, in un Europa che è rappresentata come un gigantesco mercato libero del sesso. La parte torture è quasi accessoria, in Hostel. Arriva dopo un bel po’, termina in fretta, e non affatto il centro del film. 
Qui il centro del film è la violenza. Si possono avere opinioni divergenti sul modo in cui Roth affronta l’argomento (delicatezza di un ippopotamo e sensibilità di una cavalletta, di consueto), ma è indiscutibile che tenti di fare un discorso su come la violenza riguarda in maniera diversa uomini e donne, ricconi e poveracci, potenti e invisibili. Su come anche la violenza sull’altro sia, in fin dei conti, una merce di scambio come un’altra. Anche in Hostel: Part II c’è un gigantesco mercato libero, ma non si vende il sesso, si vende la violenza che lo ha sostituito. 
Logico che il film non abbia avuto i riscontri sperati e che, in seguito, Roth non sia più tornato a questi livelli. Un peccato, comunque. Chissà come sarà il suo Borderlands.

 

3 commenti

  1. Mi torna in mente quando andai al cinema a vedere “CLOWN” di Jon Watts(fui uno dei pochissimi che lo videro in sala),a me piacque molto,ma in tanti successivamente lo bocciarono a causa del marchio “prodotto da Eli Roth”,motivo per qui si aspettavano un film costituito essenzialmente da violenza gratuita a buon mercato per l’intera durata,mentre al contrario era un film a mio parere di gran classe per essere un esordio,dove la violenza era usata solo quando era necessaria,concentrandosi prevalentemente sulla mutazione fisica e mentale del suo protagonista,in pratica la conferma che il pubblico abituale di Eli Roth,che fossero film diretti o prodotti da lui,non fossero esattamente una gran cima in quanto a gusti!!

  2. ho visto entrambi gli Hostel e sì il secondo è mille volte superiore al primo, concordo con te

  3. Effettivamente anche questo secondo capitolo è molto bello, tra l’altro è un film “tra le mie grazie” per la scena della tipa che si fa il bagno con il sangue, che oltre a suscitarti tensione e brividi, ad esempio quando gioca con la ragazza, prima di ucciderla…È anche una bellissima e notevole citazione a Erzsébet Báthory, la famosa “Contessa Vampira”, citazione anche non troppo nascosta, anzi ben visibile a chi conosce la sua storia…Poi altra perla di questo capitolo due di Hostel, che chiude la trama del primo film con pochissimi minuti all’inizio del film

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