2009: Drag Me to Hell

 Regia – Sam Raimi

You’d be surprised what you’ll be willing to do, when the Lamia comes for you.”

Chiudiamo una rubrica che ci accompagna dal 2011, nelle sue varie incarnazioni, all’insegna del nichilismo e di Sam Raimi. E mi pare sia il modo migliore per portare a termine l’analisi di 90 film, selezionati da voi anno dopo anno. Dovreste essere fieri di quello che avete combinato, ecco.
Ma, a parte questo, dicevamo nichilismo e Sam Raimi. Io ho sempre pensato che Drag Me to Hell, ultimo horror diretto dal regista di Evil Dead, e suo penultimo lungometraggio, sia uno dei film più drammatici e disperati della storia del genere. Il che è tutto dire, considerando che parliamo di film dell’orrore.
Solo che, a differenza di quell’altra opera di estremo nichilismo, ovvero A Simple Plan, in questo caso, è tutto nascosto dietro a un’apparenza da otto volante del PG13: Drag Me to Hell è un film che ti diverti un mondo a vedere, almeno fino a quando non ti fermi a riflettere su tutte le sue implicazioni.

I fratelli Raimi avevano pronta una prima stesura della sceneggiatura sin dal 2002. Poi Sam è stato impegnato con la trilogia di Spiderman e non se ne è fatto più nulla fino, appunto, al 2009 quando il film viene preso in consegna dalla Ghost House Pictures del vecchio amico Robert Tapert e dello stesso Raimi e finalmente va in produzione.
L’idea era quella di raccontare una cara, vecchia morality play che prendesse spunto da La Notte del Demonio di Tourneur, altro film presente qui in rassegna; le analogie con Drag Me to Hell sono infatti tante: c’è una maledizione che ti rovina la vita per tre giorni e poi ti uccide e, per liberartene, devi trasmetterla a qualcuno, altrimenti non hai alcuna possibilità di salvezza. Inoltre, l’ombra della Lamia che ogni tanto si intravede perseguitare la protagonista Chris ha un aspetto molto simile al pupazzone demoniaco presente nel finale del film del 1957.
Ma Drag Me to Hell, lungi dall’essere un remake o anche soltanto un omaggio a Tourneur e alle sue atmosfere, prende una direzione tutta sua: da un certo punto di vista, imposta la strada per quello che sarebbe stato l’horror PG13 degli anni a venire, arrivando con largo anticipo sulla Blumhouse, per esempio. Soprattutto, nasconde dietro a una forma da horror quasi “per famiglie”, una morale punitiva e inflessibile, da far accapponare la pelle per la sua spietatezza.

Da seguire, Drag Me to Hell è un film, in effetti, molto semplice, addirittura semplicistico, trainato da un ritmo forsennato, dalle continue gag in odore di slapstick (l’incudine sulla testa della Lamia) che sono sempre state tipiche del cinema di Raimi, dalla reiterazione con cui ogni tipologia di fluido disgustoso finisce immancabilmente in faccia alla povera Chris o, al contrario, le esce dal corpo come nella scena in cui comincia a spruzzare sangue addosso al suo principale; da momenti deliranti come quello della seduta spiritica con tanto di capra parlante e cadaveri di gattini rigurgitati (momento traumatico per la sottoscritta, devo ammetterlo) dal demone.
Ma, in fin dei conti, tutto questo riguarda solo l’aspetto esteriore della pellicola, che si può etichettare tranquillamente come l’ennesima follia di quel pazzo di Raimi, eppure è un caso abbastanza raro di stile che funziona in maniera contrastante alla sostanza, che è nerissima, un po’ alla maniera dei fumetti della EC, ma con tonnellate di nichilismo aggiunte, tanto per gradire.

La protagonista Christine (Alison Lohman. Chissà che fine ha fatto) è infatti una brava persona, o almeno è convinta di esserlo e, per ottenere una promozione nella banca dove lavora, deve dimostrare al boss di saper prendere anche decisioni difficili. Ora, già la definizione è ambigua: per “decisione difficile” si intende infatti mandare in mezzo alla strada una donna anziana, rifiutandole un’ultima proroga per pagare il mutuo e portandole via la casa. Non è una decisione “difficile”, è un ricatto morale a cui Chris finisce per cedere.
Raimi non giudica tuttavia il suo personaggio, anche perché sarebbe complicato passare 100 minuti insieme a qualcuno che disprezziamo, qualcuno sempre presente in ogni singola scena del film escluso il prologo ambientato vent’anni prima. C’è un giudizio molto severo sull’ordine sociale di cui Chris è vittima e complice allo stesso tempo, ma il punto di Drag Me to Hell è proprio cosa si intende per brava persona, quanto i nostri errori (o “decisioni difficili”, se preferiti) riescano a compromettere il nostro essere e sentirci brave persone e fino a che punto dobbiamo pagare per questi errori.

La risposta data da Raimi è tosta da digerire, perché Chris, pur essendo, tutto sommato, una brava persona (o una persona normale, con pregi e difetti), paga con la sua vita e la sua anima un errore commesso per non sentirsi così inadeguata. E allora dobbiamo tornare un istante indietro e chiederci perché Chris si senta inadeguata: perché da ragazzina era grassa, perché sua madre è un’alcolizzata, perché è cresciuta in una fattoria, perché non è all’altezza del suo fidanzato (Justin Long) professore e della ricca e snob famiglia di lui, perché un suo collega arrivato lì da poco rischia di soffiarle la promozione senza alcun motivo, tranne quello di essere maschio.
Perché una donna certe “decisioni difficili” è ritenuta da tutti non capace di prenderle.

E così, Chris, per essere finalmente adeguata all’ordine sociale da cui si sente esclusa, smette per cinque minuti di essere una brava persona e si fotte la vita.
La persecuzione della Lamia ai danni di Chris è tutta improntata sulla fisicità: il corpo della ragazza è sotto costante attacco e, a parte il disgusto per le larve vomitate dritte in bocca e altri piccoli tocchi rivoltanti, l’impressione è quella di una vera e propria ordalia che però non porta da nessuna parte. Sofferenza gratuita che ha come unico sbocco la morte.
Punitivo, inflessibile, spietato, perché se fosse capitato al collega arrivista, al capo stronzo o persino al fidanzato, così perfetto in tutto, avremmo tutti accusato meno il colpo di quel finale che chiude il cerchio e ci mostra la vittoria della Lamia, la vendetta dell’anziana zingara e una forma primitiva e draconiana di giustizia.
Invece accade a una ragazza che attira le nostre simpatie, una ragazza che potrebbe essere ognuno di noi, e ci viene naturale di pensare a quante volte abbiamo smesso di essere brave persone, anche per un solo istante, quanto ogni volta sia stata irreversibile e irreparabile.
Credo che in questi tristi tempi, un film come Drag Me to Hell abbia un impatto ancora più violento rispetto a 10 anni fa o almeno questo è quello che è successo a me, che non lo rivedevo da allora, quando sono andata in sala e ho rovesciato un bicchierone di coca cola addosso al mio vicino di posto per un jump scare.

E con questo post, l’avventura di Dieci Horror per Decennio è ufficialmente conclusa. Spero sia stato un bel viaggio e vi siate divertiti, ma non preoccupatevi, perché il nostro rimestare nella storia dell’horror non termina qui. La prossima settimana cominciamo una nuova rubrica che, spero, ci darà un sacco di soddisfazioni.
Per quanto mi riguarda, è stato un piacere e un onore e devo ammettere di star provando un pizzico di malinconia.

6 commenti

  1. Una degna conclusione di una bellissima rubrica (che mi mancherà). Drag me to Hell è Sam Raimi al cubo: divertente ma anche spietato e tragico. Complimenti per il lavoro svolto, davvero.

    1. Grazie! Dopo anni e anni ce l’ho fatta! Sono molto contenta che sia piaciuto!

  2. la mia rubrica preferita. Un pezzo di storia del cinema ❤ . Questo film di Raimi a me è piaciuto assai perché centra in pieno il bersaglio. Ci fa riflettere sulle nostre responsabilità e scelte. Il finale ineluttabile non è una sorpresa ma una feroce conferma. Bello davvero!

    1. Bellissimo e chiude alla grande la rubrica preferita di tutti noi 😀

  3. Giuseppe · ·

    Condivido il piacere, l’onore e pure il pizzico di malinconia (che strana sensazione dopo tanto tempo non trovare più il sondaggio lì, al solito posto, a mettere a dura prova le nostre scelte) ❤ Tornando a Drag me to Hell, quel jump scare colpevole dell'incidente con la coca cola, aveva per caso a che fare con quello che capita ad Alison Lohman nel parcheggio interrato? 😉 … la povera Chris, che qui finisce per pagarla comunque molto, troppo cara rispetto a chi di quelle "decisioni difficili" si macchia in continuazione e senza il minimo scrupolo (capo stronzo, collega arrivista, ecc.ecc.) ma, com'è ovvio, alla Lamia le umane distinzioni non possono interessare.
    E, adesso, tutti ad aspettare l'esordio della tua nuova rubrica la prossima settimana!

    1. Infatti, ieri ogni tanto aprivo la pagina del post pensando di dover controllare i risultati del sondaggio e invece niente 😀
      Comunque dai, speriamo che la prossima rubrica sia di vostro gradimento come questa!

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