“Non voglio vivere in un mondo senza Sense8”. È stata questa la prima cosa che ho pensato al termine delle due ore e mezza che concludono l’epopea televisiva creata dalle sorelle Wachowski nel 2015 e giunta, purtroppo, a una fine prematura qualche giorno fa. E per fortuna che almeno l’abbiamo avuta, questa fine, perché il rischio di non vederla neppure era abbastanza alto e, se non ci fossimo mobilitati, forse a quest’ora saremmo tutti rimasti appesi al cliffhanger dell’ultimo episodio della seconda stagione.
Invece, una volta tanto, il fandom ha dimostrato di servire a qualcosa che non fossero minacce e insulti; sarebbe stato un paradosso bello e buono se proprio il fandom di una serie come Sense8 avesse utilizzato i metodi tipici degli altri fandom. Sì, siamo minoritari, in numero non sufficiente perché Netflix si convincesse a produrre una terza stagione, ma volete mettere la classe?
E così abbiamo avuto la fine della nostra serie e forse non era proprio quello che avevamo sperato che fosse, forse risente del fatto che è stata scritta, girata e montata in meno di un anno, forse comprimere tutte le idee di quella che avrebbe dovuto essere una terza stagione è stato un errore. Ma poi arriva l’ultima mezz’ora e ogni volontà di critica passa in secondo piano, perché noi lo abbiamo sempre saputo che il punto di Sense8 non è mai stato il plot, ma i personaggi. Anzi, meglio ancora, il punto di Sense8 è sempre stato quello di immaginare un futuro alternativo al cupissimo presente che stiamo vivendo.
Se la SF, non solo televisiva, è oggi dominata dalla distopia, Sense8 è stato così coraggioso dal voler raccontare un’utopia. Per questo, tornare alla realtà dopo un suo episodio è così difficile, oserei dire doloroso, soprattutto nelle ultime settimane e soprattutto qui da noi. Si capisce il motivo per cui una serie di questo tipo non sia riuscita a sopravvivere a lungo. A voi non spaventa che si avverino le atroci previsioni narrate in The Handmaid’s Tale, anzi, forse vi piacerebbe pure se si avverassero; a voi fa molta più paura un mondo sul modello di Sense8.
Non sono una detrattrice a priori delle distopie, tutt’altro: la già menzionata serie tratta dal romanzo di Atwood è tra le mie preferite e non la uso come termine di paragone negativo, chiariamoci, perché altrimenti qui si rischiano i fraintendimenti ogni tre righe; però sono anche convinta, come dice spesso il mio amico Davide, che l’adagiarsi contemporaneo di tanti cinema, narrativa e tv su argomenti di natura distopica sia indice di pigrizia. La distopia ti dice che tutto è andato a puttane e tu non puoi farci niente e, magari, se ti trovi dalla parte giusta della barricata distopica, riesci pure a cavartela; per come stiamo messi in questo momento, non richiede neanche uno sforzo di immaginazione eccessivo, perché in una specie di realtà distorta ci viviamo quotidianamente e quasi non lo avvertiamo più, per la famosa teoria della vasca piena d’acqua che arriva a bollire poco a poco.
Ci vogliono invece un bel po’ di incoscienza e un bel po’ di forza creativa per dar vita al mondo di Sense8, serie di fantascienza, non fantasy, in quanto è tesa a pensare al nostro futuro, a inventare una forma nuova di umanità che affronti le sfide che questo futuro comporta. Che sono, prima di tutto, sfide di convivenza tra visioni, scale di valori, religioni e mentalità diverse quando non diametralmente opposte, e di conseguente comprensione di esse, accettazione e, alla fine, amore.
Fa quasi strano parlare di amore universale quando ogni cosa che hai intorno sembra portarti a odiare, quando la parola buonismo è l’insulto più gettonato, quando se non sei cinico e disilluso passi per scemo.
E infatti le sorelle Wachowski per sceme ci sono passate, e continuano a passarci, parecchie volte dai tempi di Cloud Atlas, di cui Sense8 è una sorta di prolungamento. Entrambe le opere sbeffeggiate e insultate, perché troppo “ingenue”, perché prive di una trama a prova di errore, perché non vanno incontro al modo di pensare del pubblico del XXI secolo, composto a metà da ragionieri e a metà da aspiranti macellai.
E infatti, si esce da Sense8 e si ci ritrova incastrati in un posto dove non si ha alcuna voglia di stare e si vorrebbe tornare il prima possibile tra le braccia del cluster, dove ci si sente più al sicuro.
Non soltanto io, che faccio parte delle cosiddette minoranze, perché Sense8 non è riducibile alla mera definizione di serie “gay friendly”, come ho letto con miei sommi orrore e raccapriccio da più parti. Sense8, se è friendly di qualcosa, lo è dell’umanità, o almeno di quella parte di umanità che non esulta con la bava alla bocca quando il proprio paese decide di lasciare centinaia di persone su una nave in mezzo al Mediterraneo, ecco, tanto per fare il primo reale riferimento all’attualità mai avvenuto su questo blog. Sense8 fa appello alla parte migliore di noi, ci spinge a credere che questa parte esista e va persino oltre, ci dice che alla fine sarà quella parte a prevalere, che il futuro, piaccia o no, è quello descritto nella serie, che questo presente tetro e gonfio di angoscia è soltanto l’ultimo rigurgito di un mostro morente.
Sense8 è forse una delle opere più politiche degli ultimi anni, non è femminista, non è un manifesto di propaganda omosessuale (ridete con me, e ridete forte), non è un inno al multiculturalismo; è molto più semplice di così: la sua essenza si racchiude in quel “I am also we” che i protagonisti arrivano ad assimilare nel corso degli episodi, ma che viene posto come valore fondante a partire dalla prima puntata, dal bellissimo monologo di Nomi in occasione del Pride.
Puoi essere una hacker americana, una musicista islandese, un autista di autobus kenyota, un attore messicano o una donna d’affari coreana; puoi trovarti in ogni angolo del globo, in ogni situazione possibile, puoi essere un criminale o uno scienziato, ateo o religioso, gay o etero, puoi avere qualunque fisionomia o colore della pelle, ma non sei solo e, se riesci a entrare in contatto empatico con una persona dalle caratteristiche anche opposte alle tue, ci sarà sempre un terreno comune, ci sarà sempre qualcosa che vi rende simili, non al di là delle differenze, ma grazie alle differenze.
Questa è l’umanità del futuro immaginata dalle Wachowski, e non fatevi ingannare dal fatto che la serie sia ambientata ai giorni nostri, perché è evidente il richiamo utopico a una società che (ancora) non esiste.
Il Sensate non è altro che una versione più evoluta di noi e nel finale si capisce chiaramente che chiunque può diventare parte di questa evoluzione, con la scelta di Lana Wachowski (Lily non ha preso parte all’ultimo episodio) di tenere in campo tutti i personaggi e dare a tutti loro un ruolo ben preciso nella missione del cluster in espansione, che coinvolge anche chi non condivide (chissà poi per quanto) le stesse facoltà dei sensate.
È logico che il punto di arrivo sia un’umanità sensate, in costante contatto empatico con i suoi simili (e perché no, anche con altri esseri viventi, che non guasterebbe). Utopia, appunto, ma potremmo anche cominciare a crederci un pochino, come ci hanno creduto le Wachowski, come ci ha creduto tutto il cast, come ci hanno creduto tutti gli elementi della troupe e della post-produzione, che si sono gettati nell’avventura Sense8 con un entusiasmo unico, consci di star contribuendo a un qualcosa di mai visto prima e destinato a non vedersi mai più.
Sense8 mi rende ottimista, mi dà fiducia che il mondo in cui vivo potrà, un giorno, essere diverso e magari io non ci sarò più, ma ci sarà mio nipote che ora ha 10 mesi e per lui vale la pena di avercela, qualche speranza.
Può sembrare una quisquilia, ma anche una serie tv è in grado di innescare dei processi, per quanto minimi, di cambiamento, almeno all’interno di chi la guarda e si affeziona a storia e personaggi. Ciò che Sense8 è stato, ciò che Sense8 ha significato, ha davvero cambiato le persone e ci si sente un po’ parte di una setta, ad amarlo così tanto, difetti compresi, perché ci è rimasto dentro, ha modificato la nostra percezione delle cose, ci ha resi migliori. E forse lo farà anche con voi.
Splendido post.
Ammetto con ignominia di non avere mai visto un episodio del serial, pur amando molto le Wachowski. Una domanda: si può guardare doppiato o è decisamente meglio guardarlo sottotitolato?
Io non so come sia stato doppiato, perché l’ho visto solo in lingua originale, quindi non saprei cosa consigliarti. Di solito tendo sempre a preferire la versione originale. Qui, essendoci un bell’impasto di accenti, forse è ancora più importante vederlo in inglese.
Io ho sbirciato la versione doppiata ed effettivamente i doppiatori hanno tolto tutti gli accenti, per cui non c’è differenza tra un personaggio in India e uno in Messico. Meglio così che ritrovarsi con caricature tipo Simpson, ma se riesci è meglio guardarlo con i sottotitoli.
Grazie, allora vado in versione sottotitolata
Sense 8 mi è piaciuto moto proprio per i personaggi e per l’idea che non siamo soli, non siamo isole, ma ogni parole e azione ha effetti sugli altri. Forse l’ho vista anche nel momento giusto, perché non sono sicuramente una persona piena di entusiasmo e amore universale, ma col matrimonio sto mettendo in discussione me stesso e molte cose in cui credo. Vivere con un’altra persona, diversa da me, mi spinge a vedere gli altri e a capirne le ragioni. Per questo spesso su facebook o sui blog, seguo gente diversissima da me, anche all’opposto da me. Poi, chiaro io ho ragione e morta lì, ma è bello comprendere la bellezza che si nasconde in persone che magari uno potrebbe ignorare o non sopportare. Per questo Sense 8 è fondamentale. Poi c’è la parte più “complottista” che lascia il tempo che trova, ma quei personaggi sono meravigliosi. Tanto che ti verrebbe voglia di averli anche tu quei contatti. Io posso rendermi utile quando uno sente il bisogno assoluto di far tremende figuracce!
Che poi codeste cose le dicono da decenni anche Spielberg e Virzì, infatti due autori spesso criticati per buonismo. Il rispetto della vita degli esseri viventi come tremendo atto di barbarie, mentre deridere Asia Argento l’indomani di un fatto veramente duro e devastante, considerato come irriverenza e dissacrazione. Meglio buonisti che stronzi!
Buonismo dovremmo cominciare a rivendicarlo, sai?
Sì, sono buonista, e allora? Sono felice di essere buonista, anche perché il contrario di buonista è testa di cazzo, quindi… 😀
Ma infatti io mi presento sempre come radical chic e buonista. E poi spiego anche che voglia dire veramente radical chic. ^_^
Ho provato a guardarne qualche episodio, ma non so perché, non mi ha catturato. Però lo spunto generale mi ha ricordato un romanzo di fantascienza, più o meno contemporaneo alla serie: Psico-attentato, di Sawyer (uscito alcuni anni fa su Urania). L’idea è cucinata in modo un po’ diverso, ma in conclusione è una storia sulla connessione tra le persone.
Non so se possa piacerti, ma nel dubbio ho preferito scriverlo 😉
Chiedo scusa, ho sbagliato ad annidare il commento 😛
Innanzitutto ti ringrazio per aver evitato spoiler, perché devo ancora vedere il finale.))
Concordo su tutta la linea. Ricordo che al termine della prima stagione ho pensato: “è così che deve essere”. In Sense8 c’è un’empatia e un amore verso l’umanità che non ho mai trovato in altre serie, e molto raramente nei film. Ti trasmette alla perfezione l’idea che, al netto del processo evolutivo, basterebbe veramente poco per essere tutti connessi, davvero connessi.
Forse per questo non ha avuto il successo che una serie di fantascienza di questa portata avrebbe potuto avere. Di trama ce n’è poca e non è nemmeno l’aspetto principale. Il conflitto vero e proprio, senza nulla togliere all’impegno che ci mette il BPO nell’annientare i protagonisti, è in tutto il resto. Nelle relazioni con (quasi) chiunque non sia parte del cluster. Non sono gli X-men discriminati in quanto mutanti, sono persone discriminate in quanto persone e che sopravvivono grazie al loro potere. Quel potere che in tutte le altre storie sarebbe causa di problemi e che qui è un’ancora di salvezza. È fantascienza, è vero, ma molto realistica e molto attuale.
Chiudo qui, prima di diventare prolisso, con una delle immagini più belle della serie: il momento in cui Nomi e Amanita invitano Bug alla messa di Natale e lui è lì, attorniato dai suoi pupazzi, sbigottito e commosso. Era da tanto che non piangevo davanti alla televisione.
La scena di Bug a Natale mi fa piangere se solo ci penso (e infatti ho i lucciconi mentre scrivo).
Io credo che Sense8 non abbia avuto il successo che avrebbe meritato in parte perché il plot sul BPO è abbastanza confuso (e la conclusione non aiuta, dato che hanno compresso una terza stagione in due ore); in parte perché il mondo ancora non è pronto a una serie così.
Ciao Lucia,come sempre un’analisi perfetta e sentita di una serie TV che, davvero,ha conquistato me è il mio compagno oltre due anni fa.. è vero quello che dici,Sense8 fa davvero pensare che un mondo migliore sia non solo possibile,ma anche presente,reale,forse nascosto nelle pieghe della paura che si ha quasi ogni giorno quando ci si alza e ci si muove in cammino..ecco,quel cammino è davvero molto meno solitario!.. Grazie di cuore!
Infatti ti senti meno solo a far parte del grande cluster del fandom di Sense8. Ti sembra quasi di essere tutti una grande famiglia. Purtroppo siamo ancora pochi, ma io cerco di essere ottimista 🙂