1936: L’ombra che Cammina

17-1936-the-walking-dead-poster Regia – Michael Curtiz
“Leave the dead to their makers. The Lord, thy God is a jealous god.”

Curtiz è, tra i registi della vecchia Hollywood, uno dei più importanti e dei meno ricordati. Certo, tutti conoscono Casablanca (che gli fruttò l’Oscar come miglior regista quando gli Oscar erano ancora una cosa seria), ma non so quanti riescano ad associare quel titolo al suo nome. Non si può parlare di lui come di un grande autore, e la seconda parte della sua carriera è stata tutta in fase calante dopo aver lasciato la Warner, per cui lavorava quasi in pianta stabile dal 1926, anno in cui era emigrato dall’Ungheria agli Stati Uniti. E tuttavia ha diretto più di cento film, è stato, per un certo periodo, il regista più pagato a Hollywood e ha affrontato ogni genere possibile e immaginabile: dal ciclo di film d’avventura con Errol Flynn, al melò de Il Romanzo di Mildred, alla commedia per famiglie  come Bianco Natale, passando per il thriller, il mistery e, nel caso del film di oggi, l’horror sovrannaturale.
Se non è possibile definirlo “autore”, l’altra categoria amata dai cinefili, quella di “onesto mestierante” gli sta comunque molto stretta.
A me piace di più “solido professionista dell’epoca degli studios”, ma con dei guizzi di genio.
The Walking Dead non è sicuramente la cosa migliore che ha fatto, ma è molto interessante per come anticipa parecchi temi poi rielaborati dall’horror a venire, ma con modalità molto più semplicistiche rispetto a quelle impiegate da Curtiz in questo singolare film degli anni ’30.

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Inquadrature decisamente brutte

La storia è quella di John Ellman (Boris Karloff), un pianista appena uscito di galera dopo dieci anni e subito incastrato per un omicidio che non ha commesso. Il poveraccio viene condannato alla sedia elettrica, all’ultimo istante si presentano due testimoni per scagionarlo, ma non fanno in tempo e John muore da innocente.
Solo che la coppietta dei testimoni è formata dai giovani assistenti di uno scienziato che sta facendo esperimenti per riportare in vita i morti. E quale occasione migliore che far tornare dalla morte un uomo finito sulla sedia elettrica ingiustamente?
E così, il nostro John è di nuovo in vita, ma non ricorda quasi niente. Soprattutto, non ha (ancora) idea di essere stato vittima di un raggiro da parte, tra le altre cose, del suo stesso avvocato, ora nominato suo tutore legale e incaricato di gestire l’ingente somma di denaro con cui lo stato lo ha risarcito. Insieme all’avvocato, ci sono altre quattro persone responsabili della morte di John, tutti membri di un’organizzazione criminale, ma intoccabili, perché ricchi e potenti.

Quasi fosse un effetto collaterale di essere ritornato in vita, John (pur rimanendo sostanzialmente smemorato) diventa improvvisamente consapevole di essere stato incastrato e riesce anche a capire chi lo ha incastrato. Ma aspettate, perché qui viene il bello: L’Ombra che Cammina non è una storia di vendetta dove l’innocente diventa un mostro assetato di sangue. E sarebbe stato anche semplice, data la presenza di Karloff e gli scontati rimandi a Frankenstein.
È invece sorprendente come John rimanga sempre il povero disgraziato che abbiamo visto all’inizio del film e sia, in un certo senso, la morte a fare il lavoro tramite lui. Una specie di anticipazione anni ’30 di Final Destination.

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Le morti dei veri colpevoli, infatti, avvengono in maniera del tutto casuale: a uno parte un colpo di pistola, un altro finisce sotto un treno (sequenza incredibile), un altro ancora vola dalla finestra. John è sempre presente sulla scena, ma si limita a chiedere il perché, non ha intenzione di fare del male, vuole solo capire il motivo per cui ne è stato fatto così tanto a lui.
Karloff non era nuovo a questo tipo di ruolo. Abbiamo già detto che ci sono parecchi punti in comune con il mostro di Frankenstein, eppure qui il suo personaggio ha uno spessore umano e tragico che è raro trovare in altri film horror dell’epoca, soprattutto se si pensa a quanto a Karloff e ai suoi colleghi divenuti famosi ai tempi d’oro della Universal venisse richiesto di interpretare sempre la stessa parte e che spesso venivano relegati a recitare caratteri estremamente stereotipati in produzioni dozzinali.
Invece, Curtiz regala a Karloff un ruolo che richiedeva grande sensibilità e l’attore lo ripaga con una recitazione sempre molto fisica (memorabile la sua postura storta, come se gli gravasse addosso un peso enorme), ma anche piena di sfumature, di angoscia e rassegnazione.

Più che un horror vero e proprio, categoria in cui il film rientra per il ricorso al soprannaturale, L’Ombra che Cammina è un noir dai risvolti drammatici, dove il protagonista ha il destino segnato sin dal suo primo ingresso in campo e dove il ritorno alla vita non è che una provvisoria e precaria parentesi prima di scivolare di nuovo nell’oblio. E, anche se i “cattivi” fanno la fine che meritano, rimane un profondo senso di ingiustizia quando iniziano a scorrere i titoli di coda, tanta pietà per un’esistenza spezzata, per la fine triste e solitaria di un uomo.

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L’Ombra che Cammina è anche un apologo morale durissimo sulla pena di morte, che usa tutti i codici tipici del film di genere per mandare un messaggio che, forse, in un film preso più sul serio, non si sarebbe potuto far passare. Non a caso, la scena più forte del film è quella dell’esecuzione di John, o meglio, della preparazione a essa, dato che l’esecuzione vera e propria avviene fuori campo ed è annunciata da uno sfarfallio delle lampadine nel carcere.
John, in quanto musicista, chiede come suo ultimo desiderio che, quando percorrerà il tragitto dalla sua cella alla sedia, ci sia della musica ad accompagnarlo.
E qui, Curtiz si dimostra un maestro non solo della messa in scena, davvero maestosa, con un gioco di luci e ombre create dalle sbarre delle celle sui volti del corteo che scorta John verso la sua morte, ma anche della tensione, perché, contemporaneamente, assistiamo in montaggio alternato ai tentativi disperati del procuratore per informare il governatore dell’innocenza di John e fermare in tempo l’esecuzione.
È un momento di cinema davvero alto e solenne, inserito in un film dell’orrore degli studios, e quindi, per forza di cose, dalla marcata impronta popolare e commerciale.
Considerate anche che L’Ombra che cammina dura 65 minuti ed è pieno zeppo di avvenimenti, condensati in un tempo brevissimo. Il ritmo interno è quindi elevato, e non lo è solo per gli standard dilatati dell’epoca. In un’ora e cinque minuti vediamo un omicidio, due processi, un’esecuzione, un’operazione per riportare in vita un cadavere e altre cinque morti in rapida successione. Roba che oggi ci farebbero sei trilogie. O una serie tv da 56 puntate.
Curtiz è stato un regista prolifico, al servizio delle grandi produzioni, capace di girare qualunque cosa con  classe e personalità, ma non è stato soltanto questo. In lui convivevano una sensibilità di tipo europeo, lo spirito di adattamento a ogni esigenza narrativa e la precisa coscienza di quello che voleva il pubblico tipico del grande professionista hollywoodiano.

Per il 1946 mi vedo costretta a barare un po’, nel senso che di horror veri e propri non c’è poi molto di cui parlare, se si esclude il bellissimo Bedlam. Ma, purtroppo, abbiamo già parlato di un film di Mark Robson e dobbiamo passare oltre. Così, il nostro sondaggio vede come primo titolo in lizza addirittura La Bella e la Bestia di Jean Cocteau, per poi proseguire con Lo Specchio Oscuro di Robert Siodmak, che ci vuole coraggio a chiamarlo horror, ma è comunque un mistery in grado di mettere parecchia ansia. Concludiamo con l’unico horror propriamente detto presente nel sondaggio: Il Mistero delle 5 Dita, di Robert Florey.

3 commenti

  1. Mi hai convinto, voglio una rece sullo Specchio Oscuro

  2. Giuseppe · ·

    Sì, qui il “mostro” in senso stretto -nonostante alcune similitudini con il ruolo che rese Boris Karloff un mito- proprio non c’è. Semmai la sua nuova e precaria condizione lo rende di nuovo una dolente, malinconica, ingiusta vittima di quelle circostanze sulle quali, già da vivo, non aveva nessun controllo… peccato che l’eredità di Curtiz poi non sia stata raccolta da altri. Di lì a pochi anni Nick Grinde ne avrebbe forse avuto la possibilità, se non si fosse limitato a percorrere i più tradizionali e stereotipati binari del mad-scientist redivivo e omicida (con un Karloff comunque grande, anche se ovviamente le sfumature alla John Ellman lì non erano richieste)…

    Questa volta il mio voto va a Il Mistero delle 5 Dita.

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