Stranger Things

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Non si esce vivi dagli anni ’80. Ormai è un fatto assodato. Al cinema, i blockbuster sono quasi tutti all’insegna del ritorno a quel decennio, quasi tutti rifacimenti o reboot o sequel tardivi di film risalenti a quel decennio. Sembra ci sia stato un intoppo creativo che ha reso impossibile produrre una nuova mitologia. E no, i supereroi non contano perché le loro origini vanno ancora più indietro e, anche se la rappresentazione cinematografica e televisiva degli uomini in tutina è ultramoderna e patinata, si tratta di un sistema di storie già ben presente nell’immaginario collettivo. Insomma, si tratta di giocare su un terreno molto facile.
Le “novità” non derivate dagli anni ’80 sono tutte di matrice young adult. E voi sapete benissimo cosa ne penso dello young adult.
Ma il termine ci torna utile, perché, in fin dei conti, si tratta di ciò che, quando ero piccola io, veniva definito “cinema per ragazzi” e che oggi ha alzato l’asticella dell’età e si rivolge quasi esclusivamente a un pubblico adolescenziale. Il cinema per ragazzi puro è andato progressivamente sparendo dalla faccia della terra, perché è diventato un genere difficilissimo da realizzare, legato com’è a delle categorie di censura che si sono fatte sempre più restrittive: il PG13 del 2016 è molto diverso da quello del 1986.
E così il cinema per ragazzi, quella zona grigia su cui è stato edificato l’immaginario anni ’80, ha cessato di esistere, lasciando il posto a quello per “bambini” (film che ti verrebbe voglia di spaccare lo schermo a testate se hai più di sei anni) e per adolescenti.

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Se andiamo indietro nel tempo, ai film con cui siamo cresciuti, non facciamo alcuna fatica a ricordare quanto fossero anche film spaventosi, in un certo senso brutali. Ci permettevano di confrontarci con i lati peggiori della vita, pur facendo pendere la bilancia sempre sui lati migliori. Non nascondevano la sporcizia, la violenza, la cattiveria, dietro a un velo di ipocrisia, ma li lasciavano in campo. Persino un film dolce e positivo come E.T. possedeva dei momenti di una drammaticità fuori del comune. Ed è questo, credo, il motivo per cui abbandonare quell’immaginario, quel decennio, quel modo di fare cinema e di narrare, di rappresentare l’esistenza quotidiana di un ragazzino di un’età variabile tra i 10 e i 14 anni, è impossibile. Non abbiamo avuto altri esempi, non se ne sono voluti dare perché qualsiasi riferimento all’angoscia, all’orrore, al buio e ai mostri che lo abitano, è stato eliminato in favore di prodotti che, per prima cosa, hanno il compito di rassicurare. Non i bambini, per carità. I loro genitori che poi fanno causa agli studios se ai pargoli esce una lacrima o passano una notte insonne.

Ora, per chi è cresciuto avendo incubi ogni notte della propria vita e versando cascate di lacrime ogni volta che vedeva un film, tutta questa necessità di proteggere i bambini da ciò che potrebbe, anche solo in linea del tutto ipotetica, turbarli, appare come una squallida burla. Anche perché un dodicenne di oggi quella filmografia ce l’ha a disposizione e a portata di un click ed essendoci il vuoto di pellicole pensate apposta per lui, va a finire che condivide lo stesso tipo di immaginario con chi di anni ne ha quasi quaranta.
Ed ecco che arriva, su Netflix (sempre sia lodata) questo Stranger Things, una serie tv che ci riporta dritti alle atmosfere di Spielberg, Dante, King e persino Carpenter, citato a più riprese, sia nella colonna sonora che in alcuni elementi di scenografia, sia in maniera diretta quando un personaggio vede in tv una delle scene più impressionanti de La Cosa. E non si limita a farlo nominalmente, con qualche strizzata d’occhio buttata qua e là per far contenti i nostalgici. No, lo fa in maniera strutturale, lo fa replicando con precisione millimetrica quel modo di fare cinema e trasportandolo nel 2016, su piccolo schermo, che forse è l’unico modo che si ha per aggirare una censura soffocante.

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Stranger Things è una serie molto particolare, anche molto furba, se vogliamo: riesce a rivolgersi a una fascia di pubblico pressoché sterminata: non è solo una roba per iniziati, nerd all’ultimo stadio o nostalgici irriducibili, come poteva essere Turbo Kid. La farei, in tutta tranquillità, vedere a un bambino, sapendo che si spaventerebbe, si commuoverebbe e si divertirebbe tantissimo. Si riconoscerebbe anche, in quei cinque ragazzini del 1983, cosa che io non posso più fare. Ma, dopotutto, è un processo di identificazione abbastanza naturale. Io sentivo vicini a me dei bambini cresciuti nel 1958, quando leggevo IT o consumavo il VHS di Stand By Me. Possiamo dire che, come i registi e gli scrittori di fantastico attivi negli anni ’80 avevano gli anni ’50 come punto di riferimento e spesso ambientavano in quel periodo le loro storie, allo stesso modo, oggi vengono utilizzati gli anni ’80, con però una differenza sostanziale: quel blocco creativo di cui parlavamo più sopra e che impedisce di produrre qualcosa che sappia di nuovo.
Ma la colpa non è dell’ambientazione ed è qui che Stranger Things mostra tutta la sua importanza. Al netto del fattore nostalgia, la serie è una vera novità, è fresca, originale, racconta situazioni e personaggi che, per quanto possano essere derivativi, hanno una propria anima e una propria identità. Non si appoggia in maniera pigra sul passato, ma lo rielabora per creare un’opera dalla portata universale.

È una serie di fantascienza, Strangers Things, che narra di poteri paranormali, dimensioni parallele, esperimenti governativi (si fa menzione dell’MKUltra) e teorie del complotto. Tutto filtrato attraverso lo sguardo di un gruppo di amici in una cittadina dell’Indiana, dei loro genitori e dei loro fratelli maggiori, in un’operazione che riesce, in questo modo, ad acchiappare ben tre generazioni in una botta sola.
La ricostruzione degli anni ’80 è perfetta, non solo per le scenografie, il trucco e i costumi, ma anche per le scelte di casting, che hanno privilegiato dei volti e delle fisicità molto comuni, dall’aspetto pulito e innocente. Si respirano un’ingenuità e una mancanza di cinismo che davvero provengono da un’epoca remota e non c’è bisogno di spiegarle: le vedi sulle facce degli attori.
E Stranger Things è tutto così, nel senso che brilla nei suoi dettagli microscopici, nella cura con cui dipana una narrazione complessa senza sentire la necessità di illustrarla allo spettatore per mezzo di lunghi dialoghi o fastidiose didascalie. È un insieme armonico e coerente, molto più somigliante al cinema che alla classica struttura da serie tv.

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Ci sono violenza, paura, sconfitta, perdita e dolore, ma sono stemperati da una componente emotiva, magica, di fiducia nel prossimo e nel futuro che rendono il sempre traumatico passaggio all’età adulta qualcosa degno di essere vissuto, seppure tra mille difficoltà e fallimenti. Perché la vita è una cosa spesso spaventosa e anche orribile, però la si può affrontare con il supporto di chi abbiamo intorno, la si può affrontare facendo gruppo, non chiudendosi nella nostra piccola individualità e aprendoci agli altri, alle persone che ci amano, a quelle che ci insegnano ad amare, a quelle a cui, a nostra volta, insegniamo il concetto di amore e di amicizia.
I cattivi si possono sconfiggere, ma mai da soli. Il male, che sia rappresentato da esseri umani, da mostri dell’Altrove o dal mostro per eccellenza, la morte, che in Stranger Things si mostra in varie forme, va accettato e guardato in faccia e, alla fine, anche se la vittoria conseguita è comunque parziale e ti lascia con un profondo senso di rimpianto per ciò che andato perduto, si può lo stesso continuare a sorridere, tornare a giocare, tornare a crescere. Perché è comunque una vittoria soltanto il fatto di sopravvivere. E di farlo insieme.

Non è solo una affettuosa rievocazione degli anni ’80 e della narrativa del periodo, quindi. E tuttavia, è una storia che non potrebbe mai essere ambientata ai giorni nostri, proprio perché la fiducia necessaria per raccontarla è andata perduta. Forse è questo l’aspetto che dovrebbe far riflettere di più: mostrare un gruppo di ragazzini intelligenti, simpatici e collaborativi, affiancati a dei personaggi più maturi che, con tutti i limiti e le differenze del caso, provano a comprenderli e ad aiutarli, ci viene spontaneo solo se inseriamo questi personaggi nel contesto di trent’anni fa.
Bisognerebbe chiedersi il perché e io non ho nessuna risposta, solo domande. Non basta dire che “gli anni ’80 sono di moda”, non basta aggrapparsi al fattore nostalgia (fattore anche pericoloso, perché il passo da nostalgico a reazionario è breve). Temo che le cause vadano ricercate in un atteggiamento sempre più disilluso e disincantato, che coinvolge tutti noi, a prescindere dalla fascia d’età.
Eppure, in opere come Stranger Things, noi andiamo a ricercare proprio quella capacità di illudersi ancora, di non essere distaccati da tutto, di guardare al mondo con un briciolo di speranza. Insomma, cerchiamo di vivere davanti al piccolo schermo la visione spielberghiana del mondo che, nella vita di tutti i giorni, rigettiamo neanche fosse da considerarsi un insulto.

Un paio di link utili:
Articolo di Matteo Poropat
Articolo di Marco Siena

22 commenti

  1. Francesca Fichera · ·

    Bellissimo articolo, Lucia. Hai colto le stesse cose che sono balzate alla mia attenzione, ma soprattutto hai saputo andare oltre, in profondità.
    Oggi arriva pure il mio piccolo contributo (ancora più modesto di fronte a questo, nguè!), ma insomma: l’obiettivo è parlare di questa serie straordinaria fino allo sfinimento!

    1. Ma grazie!
      Hai ragione, dobbiamo diffondere la serie come se fosse un virus! 🙂

  2. […] Volete saperne di più? Seguite il nostro CineKing! Mentre, in quanto a Stranger Things, vi consigliamo vivamente di leggere l’articolo di Lucia Patrizi. […]

  3. […] tocca al blog ospitare questo soliloquio. Per le recensioni vere, di chi ne sa, aspettiamo al varco Lucia; io vi servo al solito un minestrone emozionale nel quale, se volete, potete sguazzare fino al suo […]

  4. Davide · ·

    Bellissima serie, ho respirato di nuovo le stesse sensazioni di quegli anni, bellissimi personaggi in primis i bambini e lo sceriffo, finalmente un uomo normale con la panza non bello ma che sa fare il suo lavoro e avere spessore

    1. Infatti è nei dettagli la bellezza di questa serie, nella “panza” dello sceriffo, che è un uomo normale, nell’aspetto dimesso di Winona Ryder, che sembra una comunissima donna, nelle facce degli adolescenti, con tutte le loro imperfezioni.
      È da queste cose che si nota la cura che è stata messa nella produzione.

  5. Lorenzo · ·

    Non avendo vissuto gli anni ’80 forse non dovrei nemmeno scrivere, ma essendo cresciuto con Spielberg e avendo letto IT e un’altra dozzina dei libri di King, capisco molto bene l’atmosfera di questa serie, che smanio per vedere.
    Condivido tutto quello che hai scritto e attendo la lacrimuccia.

    1. Ma, come ho scritto anche io, non è del tutto necessario averli vissuti. Io, per esempio, nel 1983, anno in cui la serie è ambientata, avevo 5 anni. Non me lo posso ricordare. I miei ricordi veri e propri cominciano alla fine degli anni ’80 e a cavallo con i ’90, ma comunque sono cresciuta con una mitologia costruita negli anni ’80.
      E la stessa cosa è accaduta a quelli molto più giovani di me.

  6. Smilla · ·

    Serie bellissima che ho appena finito. Sono degli anni ’90 ma alla fine anche per la mia generazione i punti di riferimento sono anche quegli anni lì, arrivando fino a Star Wars che è degli anni ’70. Mi è piaciuto molto come la serie abbia giocato con le citazioni e con gli stereotipi senza diventare banale, con i bambini – hobbit, il bullo della scuola, lo sfigato, le trappole fatte con la roba trovata in garage, i mostri affrontati a colpi di mazza da baseball, l’invito al ballo della scuola. Eppure nessuno scade nella macchietta e alla fine la storia non è prevedibile e non fa sconti a nessuno, i mostri sono reali e fanno paura ed era tanto che una serie non riusciva a tenermi incollata allo schermo come questa.

    Nella tv contemporanea mancano personaggi positivi, come se si avesse paura a mostrare i buoni, finalmente una serie dove ci sono un gruppo di persone certo con i loro punti deboli ma alla fine capaci di grande coraggio.

    1. Perché, proprio a partire dalla metà degli anni ’90, il cinismo ha preso il sopravvento su tutto e parlare di sentimenti è diventato proibito, si viene subito accusati di “buonismo”, cosa che a me ha sempre dato un gran fastidio.
      Ma, crescendo, si ha bisogno di un qualche esempio positivo e così io guardavo E.T. come lo guardavi tu vent’anni dopo e come continueranno a guardarlo tra altri vent’anni.
      Grazie del commento 🙂

  7. Giuseppe · ·

    Da come la descrivi Stranger Things mi sembra proprio un’ottima serie, oltre che un bellissimo modo di esorcizzare quell’intoppo creativo di cui parli ad inizio post (perché ancora lì torniamo, agli ’80: i ’60 e i ’70 non sembrano aver avuto, a conti fatti, lo stesso potere rievocativo e/o “castrante”). Ben lontano dalla successiva e fetente “normalizzazione” dei prodotti per ragazzi che purtroppo tutti conosciamo: ecco, a proposito di questo, almeno esserci stato in quegli anni mi ricorda quanto il mio -nostro- immaginario avesse ancora il rispetto che meritava, prima che il Moige-pensiero facesse breccia e tutti i giovanissimi venissero trattati alla stregua di rincoglioniti da “proteggere” (sì, certo, da quello che impressionava i genitori)… quindi, a maggior ragione, non può che farmi piacere una serie capace di dare ancora a tutti -a prescindere dall’età anagrafica- la possibilità di recuperare quel rispetto. 😉

    1. Il Moige-pensiero è stato la rovina del cinema per ragazzi. C’era una concezione, nel vecchio Pg13, secondo cui un film per ragazzi doveva piacere anche ai genitori. Oggi un film per ragazzi deve far avere ai genitori la coscienza tranquilla e fare in modo che i figli evitino le domande scomode

  8. Finalmente riesco a commentare (dopo vari intoppi informatici in questi giorni). Non tanto per il mio perdibilissimo commento ma perché voglio farti i complimenti per questa recensione. Nella premessa, innanzi tutto, sui tanto amato/odiati anni ’80 e sulla difficoltà di essere esaustivi circa il loro successo in questo particolare momento. Non so cosa sia, tra l’altro non ho ancora visto Stranger things; in generale, a me personalmente manca quella normalità che un tempo non veniva nascosta o che non sembrava disdicevole ma semplicemente da raccontare. Ora, prendi una serie a caso: non c’è figura che non sia meno che levigata e in un certo senso perfettina e se non lo è, se la sua evenutale imperfezione (fisica o psicologica) collima con un determinato stereotipo. Non che mancassero gli stereotipi, 30 anni fa, ma le ingenuità erano anche ammesse, non erano da rimuovere. Ora si rimuovono e l’effetto finale è quasi iperrealistico e finto, anche se godibile. Ad ogni modo chiunque, ma proprio chiunque, mi sta parlando bene di Stranger Things, deve davvero toccare determinate corde.

    1. Erano ammesse le ingenuità e il dolore. I difetti e le imperfezioni. Oggi non si fa più e tutto corrisponde a un modello standardizzato e quindi, sì, godibilissimo, ma di fatto, falso.
      Questa serie ha il pregio di far sembrare tutto molto vero, anche in un contesto fantastico. davvero interessante

  9. Ha sempre un effetto coinvolgente ritrovare il proprio background perché quelli sono stati gli anni ” dell’età squassante”

    1. Che, se ci pensi, vengono portati al cinema sempre meno. Si salta subito all’adolescenza. E, secondo me, è un vero peccato.

      1. A parte le produzioni Pixar è vero

  10. Davide · ·

    Infatti si cerca sempre l’adolescenza perché questa inizia sempre prima e tante volte la si vuol fare iniziare prima anche a livello commerciale. In questo caso è tutto stato rappresentato bene, negli ultimi anni l’unico altro caso che mi viene in mente è Lasciami entrare

  11. Alberto · ·

    Una delle cose più belle, appassionanti e sì, commoventi viste in tv negli ultimi anni. Tutto quello che hai scritto è condivisibile e da rileggere. I ragazzini sono fantastici, avrei voluto vederli in scena anche più spesso. E non ti chiedi mai come andrà a finire, perchè vorresti che non finisse. Splendido.
    ps. purtroppo è vero, i genitori non vogliono per i loro bambini lo spavento, le lacrime, l’angoscia per la sorte di nessuno, a cominciare dalle storie inventate. Niente batticuore, solo emozioni “positive”. Che tristezza.

    1. Sono contentissima che questa serie stia ricevendo da tutti pareri lusinghieri. Credo sia la cosa migliore che ho visto nel corso del 2016. E parlo sia di cinema che di tv.
      Purtroppo il moige pensiero ha rovinato il cinema per ragazzi e, in parte, anche quello per adulti e, se c’è una cosa in cui la tv sta superando il grande schermo, è proprio la libertà che ti concede poter operare su piattaforme come netflix.

  12. […] visto l’ottimo serial prodotto da Netflix, Stranger Things, riguardo al quale vi consiglio di leggere l’esaustivo post di Lucia Patrizi. Gli anni ’80 (e in parte minore i ’90) continuano a proiettare il loro fascino su […]

  13. […] importante c’era da dire. Vi consiglio di recuperare – su tutti – gli articoli di Lucia Patrizi (già linkato qualche giorno fa) e quello di Matteo Poropat. Però qualche parola su questo […]

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