1962: Che Fine Ha Fatto Baby Jane

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R
egia – Robert Aldrich

“You mean all this time we could have been friends?”

Non è falsa modestia, la mia. È che certi film non possono essere recensiti. Che cosa dovrei pretendere di fare? Esprimere un giudizio critico su Che Fine Ha Fatto Baby Jane? Ma siamo seri, per cortesia. È un capolavoro. Passiamo al prossimo film, fine del post e arrivederci e grazie. Per fortuna non è detto che un post su un blog debba per forza essere una recensione e, non so se lo avete notato, io i film tendo a recensirli sempre meno, soprattutto quelli del passato. Preferisco celebrarli, ricordarli e, quando ci riesco, raccontarli. Non nel senso della trama: quella la trovate su Wikipedia, su Imdb o dove pare a voi. Si tratta di raccontare cosa mi hanno fatto e cosa mi hanno lasciato, cercare di capire perché si attribuisce a un film l’etichetta di capolavoro, perché questa etichetta se la meriti tutta e qual è il suo posto nella variegata e un po’ bizzarra storia del nostro genere preferito.
Partiamo dunque dal regista che, lo sapete, è anche più delle star (ma ci arriveremo) il centro del processo creativo, la figura intorno a cui ruota sempre tutto. A maggior ragione se ha anche il ruolo di sceneggiatore e produttore. E soprattutto se si chiama Robert Aldrich. Uno che, da commesso per la RKO, è diventato uno dei personaggi più rappresentativi della vecchia Hollywood. Uno che ha diretto Quella Sporca Dozzina e a, a fine carriera, The Longest Yard (che da noi hanno tradotto, per assonanza, con Quella Sporca Ultima Meta).  Aldrich ha lavorato con gli attori più importanti, con le stelle più capricciose e, per girare Che Fine Ha Fatto Baby Jane, è riuscito a mettere insieme due signore che non si stimavano, per usare un eufemismo, e che all’epoca erano due simboli viventi della potenza del cinema americano, Bette Davis e Joan Crawford.

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Come abbia fatto a convincerle a recitare insieme, è ancora oggi un mistero. L’ipotesi più accreditata è che nessuna delle due abbia voluto rifiutare il ruolo per rischiare di lasciare campo libero all’altra.
È certo che, quando la Davis ricevette la nomination agli Oscar come miglior attrice, la sua collega rimasta invece a bocca asciutta tentò in tutti modi di boicottarla, andando anche contro i suoi stessi interessi: essendo un prodotto a basso budget, le star avevano diritto a una percentuale sugli incassi e, si sa, un Oscar vinto porta sempre tanto pubblico in sala. Ma alla Crawford tutto ciò interessava il giusto. Non poteva proprio digerire che la sua rivale ottenesse un riconoscimento a lei negato.
Alla fine l’Oscar andò ad Anne Bancroft per Anna dei Miracoli, in una delle tipiche scelte pavide della Academy, ma l’interpretazione di Bette Davis rimane una cosa stratosferica e molto, molto coraggiosa. Recitare in un ruolo sempre sul crinale tra il grottesco e il dramma, invecchiata e imbruttita oltre misura, e con la seria eventualità di coprirsi di ridicolo, per un’attrice di quel calibro, dovette rappresentare una sfida davvero impegnativa, specialmente se si considera che il film era, sulla carta,  un thriller a basso costo.
Entrambe le star erano in un momento poco felice della loro carriera. Si sa a che Hollywood invecchiare non è mai una cosa positiva, specialmente se sei una donna. E i ruoli importanti, se si supera la cinquantina, iniziano a scarseggiare. Considerando che da allora le cose sono comunque peggiorate, mettere due attrici di una certa età al centro della scena e renderle protagoniste assolute di quello che passa per thriller, ma è in realtà una commedia nera, richiedeva una buona dose di fegato, da parte di tutti.
Più fegato ancora ci volle, da parte di Aldrich, per avere a che fare tutti i santi giorni con due persone che si detestavano sul set. Anche se la profonda conflittualità tra la Davis e la Crawford ha giovato alla resa del film, deve essere stata un’esperienza allucinante.

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Meno appariscente rispetto a quella della Davis, anche l’interpretazione di Joan Crawford lascia il segno, in un ruolo per lei inconsueto di vittima indifesa che deve essere brutalizzata per due ore da sua sorella, con fiocco in testa, trucco pesantissimo che la fa assomigliare a un mascherone tragico, e l’atteggiamento di una bambina dispettosa. Ma non è che il personaggio di Blanche Hudson abbia poi la coscienza così pulita.
Ecco, Che Fine Ha Fatto Baby Jane è un’opera priva di protagonisti positivi. È la messa in scena di una guerra, prima psicologica e poi sempre più fisica, tra due ex stelle del varietà e del cinema che sopravvivono al proprio declino in una sinistra e claustrofobica villa, protagonista aggiunto al film, anche lei piena di acciacchi, anche lei con alle spalle giorni decisamente migliori, anche lei non del tutto rassegnata alla propria fine.
Ed è una storia hollywoodiana in tutto e per tutto. Quanto e, per certi aspetti, anche più de Il Viale del Tramonto. Non di quella Hollywood che si autocelebra parlando di se stessa, ma della Hollywood che si specchia nella sua meschinità e nella sua decadenza.
Soltanto un trio di consumatissimi professionisti, ben a conoscenza dei meccanismi spietati del cinema poteva portare sullo schermo una vicenda simile, e trasformarla in un film indimenticabile. Solo Bette Davis e Joan Crawford potevano reggere un intera pellicola, lunga più di due ore, praticamente da sole, con pochi comprimari che passano e spariscono, annichiliti dal magnetismo delle due dive.
Il modo unico che aveva, ognuna di loro, di donarsi alla macchina da presa e la bravura di Aldrich nel rinchiuderle in veri e propri quadri mobili, lasciarle libere di esprimersi e, allo stesso tempo, obbligarle a mettersi al servizio di storia e regia. Strabordante e sopra le righe la Davis, contenuta e misuratissima la Crawford. Com’è giusto che sia, come i rispettivi ruoli impongono che sia.
E si crea un equilibrio teso come una corda pronta a spezzarsi. Si teme ogni scoppio d’ira di Jane, si trema a ogni tentativo di Blanche di liberarsi, si provano pietà e ribrezzo. E si scende, insieme alle due protagoniste, in un inferno fatto di rimpianti, gelosie, umiliazioni, ambizioni frustrate, carriere e vite fatte a pezzi, che finisce per deflagrare nella follia, ignorato da tutti, ché tutti hanno dimenticato.

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Come riesca, Aldrich, a narrare tutto questo mantenendo un tono sardonico e leggero ed evitando sempre all’ultimo, e sempre per un soffio, di scivolare nel melodramma, è uno di quei miracoli di competenza ed eccezionale bravura nella direzione degli attori e della messa in scena, che è proprio solo dei grandissimi registi cresciuti e formatisi nella Hollywood degli anni ’50. E lì non c’è storia, era una scuola che o ti spezzava le ossa o ti rendeva un gigante.
E ti permetteva di portare a compimento film come Che Fine Ha Fatto Baby Jane, che provate a darlo in mano a un regista contemporaneo e poi ci facciamo quattro risate.
A costo di sembrare banale e nostalgica, a fare la differenza tra il cinema del passato e quello odierno, è quell’attenzione al dettaglio scenico, dovuto al fatto che ogni elemento era lì, presente sul set con gli attori. Se toppavi il trucco di Baby Jane, non c’era alcun intervento di post produzione che potesse sistemare le cose. Se un ambiente sembrava finto, finto restava. E il movimento di macchina in avvicinamento al viso di Joan Crawford dovevi farlo davvero, non lo potevi aggiustare a riprese finite.
Oggi non è più così. E quel modo di fare e vivere il cinema non esiste più.
Ma rimangono le testimonianze, rimangono i film, per nostra fortuna, quelli che hanno lasciato un solco così profondo nell’immaginario collettivo da non essere più neanche semplici pellicole ma fenomeni di costume. Sono quei casi in cui non ha neanche più importanza il genere di appartenenza e ciò che conta è la storia del cinema e basta, senza distinzioni tra autoriale e commerciale.
Cinema puro, nella sua forma più nobile e potente.

Tre film tra cui scegliere per il 1972, che credo sarà l’ultima puntata della rubrica prima della pausa estiva: il classicone Un Tranquillo Week End di Paura, di John Boorman; lo splendido Chi è l’Altro?, di Robert Mulligan e quello che ritengo la cosa migliore mai diretta da Bob Clark (sì, anche meglio di Black Christmas), La Morte Dietro la Porta.
Sì, lo so, è più difficile del solito.

12 commenti

  1. Commento fantastico, sei riuscita a scrivere di un capolavoro senza scadere nelle solite cose… bravissima 😉 Ho votato “Deliverance” banale lo so, ma per me è un altro film fondamentale e voglio sapere cosa ne pensi 😉 Cheers!

  2. Grande capolavoro, che migliora ad ogni visione. Lo vidi da bambino e mi terrorizzo’ a morte: l’essere paralizzati nelle mani di una pazza era qualcosa di orribile a pelle. Ovviamente la scena del topo devasto’ la mia giovane mente e vi rimarrà per sempre…

  3. Mi riservo di risponderti con calma stasera. Non meriti mai la sbrigatività sorellina

  4. Perchè nei film vecchi contava l’elemento umano(scenagiattura e gli attori dovevano essere bravi)
    Voto Deliverance di Boorman(tra al’altro ha fatto uno dei miei film preferiti Excalibur).

  5. bradipo · ·

    sul film hai detto tutto , io adoro Aldrich addirittura con un po’ di amici ci eravamo messi di buzzo buono per scrivere una monografia su di lui e a me toccò la rece di Piano Piano dolce Carlotta…che dici la vogliamo collegare alla tua con un fil rouge ideale?

  6. Un altro bellissimo film sul lato oscuro di Hollywood, diretto da Aldrich è Il Grande Coltello, con un magnifico Jack Palance. L’hai visto?

  7. Film su cui non era facile scrivere qualcosa di non già scritto o letto, ma come sempre ci sei riuscita.
    Per il voto, ho seguito il tuo suggerimento 😉

  8. Giuseppe · ·

    Essere celebrato, ricordato e raccontato con affetto, rispetto e passione: questo merita il capolavoro di Aldrich e questo hai fatto in modo egregio, com’era prevedibile 😉
    Per il voto, mi costringo a ignorare con enorme fatica i primi due titoli e scelgo quella che anche per me è la cosa migliore mai diretta da Bob Clark…

  9. Daniele Volpi · ·

    Ora, fermo restando il mio totale appoggio alla tua non-recensione (ce ne fossero tante di analisi e film così, oggi!), ma si può essere sempre costretti a scelte tanto sofferte?
    Mulligan è un classicone, Boorman non ne parliamo…
    Io per affetto voto il terzo incomodo, ma temo di sapere già come andrà a finire…

    Pace profonda nell’onda che corre.

  10. Raccapricciante, nel senso buono. Ovvero fa venire la pelle d’oca guardarlo con quella vecchia bambina che canta la canzoncina al papà. Ed è solo la punta dell’iceberg.

    Per la cronaca, ho votato il meraviglioso Chi è l’altro? visto che non lo conoscevo, mi hanno aperto gli occhi qualche anno fa e da allora l’ho amato!

  11. Uno di quei film che non invecchierà mai, anche se non lo definirei una commedia nera, forse più uno psicodramma con fantasmi… (non che abbia importanza). Probabilmente la Davis prese la candidatura perchè il suo ruolo era clownesco e sopra le righe e questo a Hollywood paga sempre, ma il modo in cui la Crawford cova la follia è unico. In originale si apprezza ancora meglio, ma bisogna ammettere che quelli erano anni in cui il doppiaggio italiano faceva faville.

  12. Quando il cinema era fatto da gente che sapeva fare Cinema… per non parlare delle due stelle protagoniste…
    Mi viene da piangere e ricordo perché al cinema, ormai, vado sempre meno…

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