Regia – Simon West (2015)
La colpa è tutta di Burt Reynolds. Prima di Arnold, prima di Sly, e un paio di millenni prima di Jason Statham, nel mio cuore c’era lui. È stata la prima cotta infantile di cui io conservi memoria, causata da un passaggio televisivo di Malone, filmaccio d’azione degli anni ’80, in cui Reynolds interpretava un assassino della CIA che voleva ritirarsi a vita privata. Ma figurati se permettono a Reynolds di ritirarsi sul serio. E così giù botte, risse e sparatorie per due ore. Come bonus, Malone guidava una magnifica Mustang. Ne fui deliziata. E iniziai ad appassionarmi a tutte quelle pellicole dove la gente si menava.
Reynolds ha preso parte, nel corso della sua carriera, a 178 titoli, tra film e serie televisive. Tra questi, datato 1986, c’è anche Heat, uscito qui da noi come Blackjack e tratto dall’omonimo romanzo di William Goldman, autore anche della sceneggiatura. Goldman è uno di quelli grossi. Se il suo nome non vi dice niente è perché non sono stati tradotti molti suoi romanzi in questo sciagurato paese, e quelli tradotti non vengono ristampati da tempo. Ma io vi sparo qualche titoletto a caso: Tutti gli Uomini del Presidente, Butch Cassidy and the Sundance Kid, Il Maratoneta, La Storia Fantastica. Li ha scritti lui. Romanzi e poi sceneggiature, o solo sceneggiature. Insomma, è uno dei più importanti scrittori per il cinema americani. E non solo per il cinema. Vi dico un’ultima cosa, e poi torniamo a parlare del film di oggi: il suo Adventures in the Screen Trade è un libro che chiunque abbia un briciolo di interesse nei meccanismi di scrittura per lo schermo dovrebbe imparare a memoria.
Il suo romanzo Heat è ambientato sotto natale a Las Vegas e ha come protagonista una guardia del corpo col vizio del gioco. La versione del 1986, nonostante la presenza di Reynolds è un po’ moscia, forse a causa del cambio di regista in corsa. Ha dei bei momenti, come un inseguimento verso la fine, ma purtroppo è un film irrimediabilmente datato. Passano circa trent’anni e Goldman torna a scrivere una sceneggiatura tratta da quel romanzo. Questa volta, la regia resta salda nelle mani del nostro eroe Simon West, mentre a interpretare il ruolo principale arriva Jason Statham. Il terzetto Goldman, West, Statham funziona a meraviglia e ancora non è finito febbraio e già abbiamo un serio candidato al miglior action del 2015.
Nick (il personaggio di Statham) si arrangia e tira a campare in una Las Vegas che non è la solita città tutta lucine sfavillanti e casinò per miliardari a cui siamo abituati: è un posto cupo e un po’ squallido e non sembra neanche più promettere una ricchezza illusoria, ma solo fallimenti. Nick se ne andrebbe molto volentieri: sogna una barca a vela in Corsica (Burt Reynolds nel 1987 sognava l’Italia, ma sono cambiati i tempi) e di mettere da parte mezzo milione di dollari che gli permetterebbe di starsene tranquillo per almeno cinque anni. Se non fosse per quella sua dipendenza dai tavoli del blackjack…
A Las Vegas lo conoscono tutti, perché Nick è uno che picchia duro e ti uccide come e quando vuole, col vezzo di non usare mai armi da fuoco. Una sua amica, una prostituta, viene stuprata e picchiata dal figlio di un boss mafioso e chiede l’aiuto di Nick per vendicarsi. E cominciano i prevedibili e inevitabili guai. La vendetta della giovane donna si consuma nel primo terzo del film. Da lì assistiamo prima al tentativo di Nick di raccogliere i soldi per lasciare finalmente la città al tavolo del blackjack, e poi allo scontro con il cattivo (Milo Ventimiglia).
Le scene d’azione di Wild Card sono tre in tutto. Il film appartiene a quella parte della carriera di Statham dedicata a scrollarsi di dosso l’etichetta di non attore buono solo a menar le mani e in cui rientra anche l’ottimo e sottovalutato Hummingbird. Wild Card, data la presenza di West dietro la macchina da presa, è meno riflessivo, ma permette comunque a Statham di recitare, oltre che di mostrare quanto è bravo a uccidere i cattivi usando delle carte di credito, dei vassoi e dei coltellini per le torte.
Lo stesso West, se si escludono le tre sequenze già citate dove si scatena con la sua solita finezza artistica, tenendo alta la bandiera della sua poetica delle ossa rotte e dello spruzzo di sangue dai nasi spappolati, è molto più controllato e attento ai dettagli. E gira una lunga scena a un tavolo da gioco davvero esemplare per come riesce a tenere alti ritmo e tensione. Di gran lunga la cosa migliore del film.
Inoltre, Wild Card è infarcito, in ruoli minori, di caratteristi con le palle: Hope Davies, Stanley Tucci che appare per pochi minuti e ruba la scena a tutti con due sguardi e tre battute, una rediviva Hanne Heche, persa per strada da secoli e riapparsa qui in forma smagliante e il bravissimo Michael Angarano nel ruolo di sfigato cosmico della situazione.
È però evidente che il film si regga tutto sull’interpretazione di Statham. E non affattto un male. Il ruolo che fu di Burt Reynolds gli calza a pennello. Eroe solitario, disilluso, anche un po’ disperato, capace di affrontare da solo un gruppo di sgherri mafiosi, ma incapace di resistere al richiamo del gioco. Sicuramente è un personaggio che abbiamo già visto altre volte in questo tipo di film, ma Statham riesce a renderlo vivo. E spiace leggere in giro critiche al film basate sul fatto che non sia il solito prodotto di Statham, perché i primi a volerti incatenare a uno stereotipo sono proprio quelli che si dichiarano tuoi fan e vogliono solo che tu tiri cazzotti dal primo all’ultimo minuto di ogni film. Invece Statham si sta dimostrando sempre di più un attore coraggioso, con la forza di rompere qualche aspettativa e di proseguire per la sua strada, alternando parti muscolari (sarà il villain del prossimo Fast and Furious) ad altre più complesse, come questa.
La scrittura di Goldman è sempre brillante, soprattutto nei dialoghi e nella costruzione di ogni personaggio, persino quelli più marginali. Difficilmente a un film d’azione si chiede dello spessore, ma se la sceneggiatura riesce a inserirlo, senza per questo snaturare il genere, è un guadagno non da poco. Wild Card è un prodotto ben bilanciato tra esigenze spettacolari e la volontà di tutti i nomi coinvolti di creare un qualcosa che si elevi al di sopra della media. West e Statham sono al terzo film insieme e il loro è ormai un meccanismo rodato al millimetro. Magari per qualcuno questo Wild Card potrebbe rappresentare solo un maldestro tentativo di miscelare l’action moderno con quello degli anni ’80, aggiungendo un pizzico di sostanza da film drammatico. Ma io credo che sia un’operazione molto ben condotta e spero di vedere presto un altro film del dynamic duo West/Statham.
Magari con una particina per il mio amore d’infanzia, Burt Reynolds…
Pazza di Burt pure io. Seguivo la serie di “Hawk l’indiano” e lui aveva messo in giro la voce di essere per 1/4 indiano, perche’ faceva figo. Ovviamente all’epoca ci credevo e sbavavo per quello che è stato piu’ volte eletto l’uomo piu’ bello d’America. Wild Card lo vedrò sicuramente perchè Jason va visto a prescindere.
Ah, la storia di Reynolds per un quarto indiano me la ricordo! Me lo disse mio padre e ci cascai anche io 😀
E a Jason si vuole bene, e basta
Non sapevo che Wild Card fosse basato su Heat di Goldman – e sceneggiato dal medesimo.
Questo rende la visione assolutamente necessaria.
Grazie per la segnalazione!
Riguardo a Burt Reynolds… io l’ho sempre preferito come cantante 😉
Il vecchio Burt ha quell’aspetto da cialtrone un po’ figlio di puttana che ci piace un sacco. 😀
E, tornando al film, la scrittura di Goldman si fa sentire. Alcuni dialoghi sono una meraviglia.
Interessante…
Proprio l’altra sera mi sono rivisto “The Mechanic” con grande piacere!
Questo Wild Card mi sembra proprio valga la pena di una attenta visione…
Pace profonda nell’onda che corre
Vale davvero la pena. Un po’ diverso dagli action a cui siamo abituati, ma molto interessante.
Anche se ci sono differenze dall’originale del ’72 (Professione: assassino), quello di Michael Winner con Charles Bronson nei panni del “Meccanico”…
Pace profonda nell’onda che corre
Buon era un modello per la formazione di un ragazzo in uomo, duro ma ironico. Il mio trio di riferimento erano lui, Kris Kristofferson e Clint, aggiungerei anche Lee Marvin ma era già troppo in là quindi lo vedevo come un nonno.
Jason hai ragione lo si vuole troppo relegato a dare pizze in faccia, mentre lui ha il carisma giusto per smarcarsi. E poi è pelato quindi lo devo sostenere per forza.
Lee Marvin lo adoravo, ma mi faceva paura con quella faccia da criminale incallito. Un attore che ti riempie l’inquadratura da solo, con la sua presenza. Neanche ha bisogno di recitare ed emana carisma.
ne ho parlato pure io un po’ di giorni fa, ma in toni molto meno entusiastici. che io non voglio vedere Jason Statham che recita… insomma, diciamo che mi sono annoiata parecchio, complice l’estenuante mano di black jack che ancora un po’ e dovevano prendermi a schiaffoni per risvegliarmi. 😉
Ah ma per me quella è la scena più bella e tesa del film. Anzi, pure troppo poco è durata. Avrei voluto che giocasse ancora 😀
In pratica, è come se Jason Statham potesse contare su uno stuolo di fan disposti a sostenerlo… a patto che non dimostri di saper recitare? E andare a FANculo direttamente e senza passare dal via, no? Magari poi tutta ‘sta brava gente, col passare degli anni, potrebbe pure aver la sfacciataggine ipocrita di iniziare a lamentarsi nel vedere Jason sempre ingabbiato in quello stereotipo (a cui lei stessa l’avrebbe costretto, piccolo dettaglio)…
Riguardo a Wild Card, mi sembra che tra regia adeguata, ottima scrittura e nomi giusti al posto giusto (tutti, personaggi principali e secondari) siamo in presenza di un bell’action di classe! Mancava solo un piccolo cameo di Burt Reynolds a impreziosire il tutto 😉
P.S. Quell’adorabile guascone e cialtrone un po’ figlio di puttana di Burt, in uno degli ultimi episodi di X-Files si era ritagliato nientemeno che la parte di Dio in persona (modestia a parte) 😀
Sì, ci sarebbe stato un cameo di quel simpatico cialtrone, almeno per omaggiare il film precedente.
Però anche così va benissimo, il divertimento è assicurato e anche la classe. È un action diverso dalle tamarrate classiche a cui siamo abituati. Non che io disprezzi le tamarrate, però ogni tanto fa piacere assistere a un qualcosa di più elaborato 😉
Lo vedrò senz’altro. Statham era ottimo nei due Crank, altrove un po’ più bolso. Comunque Goldman è un gigante, e La principessa sposa un romanzo inarrivabile.
Statham, come tutti gli attori, dipende da come lo dirigi. West lo ha sempre diretto molto bene e ormai i due sono un team consolidato. Non so se ti è capitato di vedere The Mechanic…
E Goldman sì, una figura davvero enorme.
La storia fantastica (The Princess Bride) è un film d-e-l-i-z-i-o-so! Debbo recuperare sia il DVD che il libro (assieme al suo Adventures in the Screen Trade di cui hai parlato qualche post fa)…
La frase «Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya, tu hai ucciso mi padre… preparate a morir!» mi ha perseguitato per giorni, ma il cast è veramente stellare, la sceneggiatura spumeggiante e lo si vederebbe di continuo, per scoprire sempre sfaccettature nuove della storia…
Pace profonda nell’onda che corre
Non ho visto The Mechanic, dici che dovrei?
A me piacque, ma non piacque a tutti. Secondo me è un gran bell’action e Statham è bravissimo. E in più c’è il bonus di Ben Foster che io adoro.
L’ho visto (Wild card). Un action da camera diciamo, ma Statham se la cava benissimo anche senza menare troppo. Dialoghi obliqui da fuoriclasse, e azzeccati pure i comprimari di seconda e terza fila. Insomma mi è piaciuto.
Scritto da dio, infatti. E a Jason hanno dato un ruolo che gli calza a pennello. Felice che ti sia piaciuto
Un film di West, remake di un film di Reynolds, con Statham protagonista.
Cazzo devo recuperarlo