My Little Moray Eel – 33

Copertina Moray

 

Ho preso una decisione: questa è l’ultima puntata che pubblicherò qui sopra. Le ragioni sono molteplici e non mi va di spiegarle tutte, ma la principale è che ho seriamente intenzione di farne un ebook non appena sarà finita (se tutto va bene, potrei riuscire a metterla su Amazon intorno ai primi di marzo). Il tutto riveduto, corretto e, soprattutto, editato da chi di dovere. Come tutti sapete, la copertina esiste già. Mancano un paio di dettagli e poi entrerò anche io nel meraviglioso circo degli scvittovi finti, contrapposti agli scvittovi vevi.
quindi ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia Murena fino a questo momento e spero che la leggeranno anche quando si ripresenterà sotto una forma un pochino diversa. A risentirci, quindi. 

NO QUARTER

Correva, cercando di mantenere ritmo e velocità costanti. I respiri le uscivano di bocca in tante piccole nuvole, le scarpe da ginnastica battevano sul legno del ponte principale quasi senza fare rumore. Il vento, che si era alzato durante la notte, e le onde, quella mattina così alte da scavalcare il braccio del porto, coprivano tutti gli altri suoni. Ogni tanto, il cappuccio della felpa le cadeva sugli occhi e lei lo tirava via.
Il rollio della nave la sbilanciava a tratti e l’umidità le scendeva addosso come una pellicola gelida.
Aveva fatto il giro del ponte di corsa per quattro volte. Ma continuava a correre. L’inattività forzata a cui la sottoponevano ormai da mesi rischiava di farla impazzire. Se si escludevano le uscite sott’acqua per catalogare le murene, tutto il suo universo si limitava a quella nave.

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Le giornate erano sempre più corte e, alle sei del mattino di quel 12 dicembre, sembrava che il sole non sarebbe sorto affatto, abbandonando il mondo a un destino grigio e uniforme come il colore del cielo.
Anche il mare era una massa grigia e agitata. Solo in lontananza, sulla linea dell’orizzonte, Sara riusciva a scorgere qualche pallido squarcio nella parete di nubi, altrimenti indistinguibile dall’acqua scura.
Voltò le spalle al mare e si diresse verso la poppa, dove qualcuno aveva pensato di addobbare la ringhiera con delle luminarie natalizie intermittenti, rosse, verdi e turchesi.
Sara fece una smorfia e, sempre correndo, colpì una delle lampadine col pugno chiuso.
Voglio tornare a casa.
Solo che anche la parola casa aveva perso parte del proprio significato, con suo padre a immergersi chissà dove, Porto Ercole irraggiungibile e sua madre sempre più spaventata. A volte, Sara sentiva nella sua voce al telefono una punta di isteria che la metteva a disagio. La immaginava da sola nel loro appartamento a Roma e un bizzarro intruglio emotivo, fatto di sensi di colpa e sindrome da abbandono, le si incatenava alla bocca dello stomaco. Allora le veniva da vomitare e aveva bisogno di muoversi.
E quindi correva. Correva la mattina all’alba perché non dormiva più bene. Correva perché aveva capito che nessuno sarebbe arrivato a tirarla fuori da lì, correva perché desiderava tornare alla sua vecchia vita. Una vita che non c’era più, che non ci sarebbe stata più a prescindere anche da quella nave, una vita che era tutta da inventare e cominciare. E che ora si era bloccata come un triste cetaceo arenato sulla spiaggia e rimasto lì a morire con la pelle ustionata dal sole e la carne straziata dai gabbiani.
Fece un quinto giro del ponte, poi un sesto e un settimo, mentre il giorno appena nato non portava altro che una insistente pioggia sottile, mentre i primi marinai uscivano dalle cabine e i militari si affacciavano alle balaustre fumando le prime sigarette del mattino. Le luci natalizie si spensero, al vento e alle onde si aggiunsero altri suoni, voci di gente, passi di scarponi, i motori fuoribordo dei motoscafi in partenza per i soliti giri di perlustrazione, il tintinnio di posate e stoviglie nella sala comune.
Sara correva a testa bassa, evitando gli altri e rispondendo a stento a chi la salutava.
Non vide Florenzi fino a quando non rischiò di andarci a sbattere contro.
Si fermò. Era strano che fosse sul ponte a quell’ora. Non erano neanche programmate uscite o immersioni. Lo scienziato le sbarrava la strada e la guardava. La pioggia rimbalzava sulla sua giacca impermeabile gialla fosforescente e qualche goccia scivolava sulle lenti dei suoi occhiali. Se li tolse e li pulì: “Ti stavo cercando” disse “Non eri in cabina.”
No, la mattina corro.”
Devo dirti una cosa. Me l’hanno riferito stanotte.”
Florenzi prese un grande respiro e si grattò una guancia. Poi affondò le mani nelle tasche e incassò la testa nelle spalle. A Sara sembrava una buffa testuggine.
Tre giorni fa, a largo dell’Isola d’Elba, una pattuglia di sub è stata attaccata da un gruppo di creature. C’è stato uno scontro, ma quegli esseri erano davvero tanti. Molti dei sommozzatori non sono neanche riusciti a risalire. Soltanto alcuni ce l’hanno fatta, solo che la profondità elevata e la risalita veloce hanno causato l’embolia e non è sopravvissuto nessuno” fece una pausa e posò una mano sulla spalla di Sara che se la scrollò via con un gesto.
Ho capito” disse Sara “C’era mio padre in quella pattuglia.”
Sì.”
Ok.”
Sara, mi dispiace, non so che dire.”
Non dica niente.”
Vuoi che ti accompagni dentro? Vuoi qualcosa di caldo? Stai tremando.”
No. Sto bene qui.”
Posso fare qualcosa?”
Sì. Mi faccia tornare a casa. Subito. Oggi.”
Temo non sia così semplice.”
Ah no?”
Sara, non dipende solo da me.”
Non mi interessa. Devo vedere mia madre e devo tornare a casa.”
Va bene. Vedo che posso fare.”
Grazie.”
C’è qualcos’altro che ti serve?”
No. Voglio solo stare un pochino da sola, per favore.”
Florenzi si allontanò.

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Sara si appoggiò alla balaustra di ferro rossa e incrostata di sale. La pioggia era aumentata, come anche l’intensità del vento. L’aria era elettrica e pesante da respirare, quasi fosse uno sciroppo viscido e amaro da ingoiare a forza. Sì, proprio come quelli che le dava suo padre da piccola, quando aveva la febbre. E che lei si rifiutava quasi sempre di prendere, saltando da una parte all’altra del letto, nascondendosi negli armadi, scappando in corridoio. Suo papà la inseguiva ridendo e le prometteva che, se avesse smesso di fare la peste e si fosse comportata bene, poi sarebbe sceso in videoteca a noleggiare un film di mostri da guardare insieme.
Le erano sempre piaciuti i film con i mostri. Suo padre invece si annoiava a morte. Sara si ritrovò a chiedersi che fine avesse fatto il pupazzo di Godzilla che lui le aveva regalato per il suo settimo compleanno e che lei aveva amato così tanto da ridurre quasi in pezzi.
Doveva essere ancora da qualche parte in camera sua, ne era sicura. All’improvviso le sembrava importantissimo ritrovarlo. Le sembrava quasi che fosse suo dovere tornare a casa solo per quello. Per poterlo prendere ancora una volta in braccio e magari dormirci insieme, col suo testone da lucertola preistorica appoggiato sul cuscino.
Si stava mordendo un po’ troppo forte il labbro. Sentiva il sapore del sangue in bocca. Allentò la pressione dei denti, si staccò dalla balaustra e si diresse verso le scale che portavano sottocoperta, per andare a preparare la valigia.

13 commenti

  1. Qui aspettiamo l’ebookko! 😀

    1. sono una bavbona anche io, adesso! 😀

      1. Giuseppe · ·

        Ma dai, tutt’al più stai per entrare nel meraviglioso circo(lo) degli scvittovi incompvesi…beninteso, incompresi perché 1) sanno scrivere 2) sanno accompagnarti con i personaggi nei mondi immaginari e misteriosi -sia horror che scifi- da loro creati e, dulcis in fundo, perché 3) il mix costituito dai punti 1) e 2) risulta assolutamente micidiale per quella masnada di torpidi, turpi e per nulla fantasiosi individui che idolatrano esclusivamente gli scvittovi vevi! 😀
        P.S. Toccante e malinconico quest’ultimo capitolo sul blog…eh, sì, in attesa dell’opera definitiva questo appuntamento domenicale mi mancherà. Mettermi la muta -arrivati a questo punto- era diventata un’abitudine anche per me 😉

        1. A marzo, lo prometto, saprai come andrà a finire 😉
          E grazie di avermi seguito con perseveranza sin qui

  2. LordDunsany · ·

    Io il tuo eBook lo prendo di sicuro! 😀 Voglio sapere come andrà a finire! 😉
    Lucia, una sola preghiera: la correzione delle bozze fatta come Dio comanda… E massima elasticità in caso di segnalazione di errori 😉

    1. Ah, allora il tuo rompere i coglioni è proprio a livello vocazionale 😀

    2. Sia io che gli autori autoprodotti che conosco, stimo e di cui parlo a volte sul blog, stiamo attentissimi a certe cose.
      Poi un refuso o due possono capitare perché l’errore si annida ovunque. Ma se capitano certi strafalcioni pazzeschi in libri pubblicati da grandi case editrici, se addirittura in film costati milioni di dollari ci sono errori di continuity e ogni tanto ci scappa addirittura un microfono in campo, sono davvero peccatucci di poco conto.

      1. giudappeso · ·

        Sì, ragazzi, elasticità, come Davide e Golia. Chi di pigna ferisce di pigna perisce, you know.

      2. LordDunsany · ·

        Lucia non posso non quotarti, talvolta dei difetti si trovano pure nei romanzi delle case editrici principali.
        Ultimamente, però, mi sono imbattuto in eBook autoprodotti zeppi di errori che manco in prima media! Ovviamente non mi riferisco a te.

  3. giudappeso · ·

    Ma quanto mi piace come scrivi, e l’e-book sarà uno spettacolo. Lo so.

  4. è stato un piacere seguire la blog novel fino a qui, e sarà un piacere continuare sull’eBook. 😀

    Ciao,
    Gianluca

  5. Sarà un instabuy. Avendo scoperto il blog da poco non ho mai letto alcuno spezzone per cui rimando direttamente a quando uscirà l’e-book. A presto ^^

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