Nuovi Incubi Halloween Challenge Day 14: Hannibal

Regia – Ridley Scott (2001)

Il quattordicesimo giorno della challenge è dedicato ai cannibali e il mio intento originario era di parlare de Il Silenzio degli Innocenti, solo che poi, colta dalla sindrome nota come: “Ma cosa cazzo avrò mai da dire io di interessante su un film di cui ha parlato l’intero universo conosciuto”, ho aggiustato il tiro e mi sono spostata su un film di cui, credo per imbarazzo, non parla mai nessuno.
L’imbarazzo, quando ci si riferisce ad Hannibal, è in parte giustificato: Scott si allontana, e di parecchio, dalla gelida perfezione del film di Demme e gira un B movie violento e terribilmente pacchiano. Ma non fa altro che seguire l’andamento del romanzo da cui è tratto.
Se Il Silenzio degli Innocenti (romanzo), pur con parecchi elementi sensazionalistici, era un thriller non privo di una certa eleganza, il suo seguito è un libraccio con un’elevata opinione di sé. Ho letto Hannibal tre volte, divertendomi sempre come la sciagurata che sono, quindi il fatto che sia un libraccio non è propriamente un difetto, è solo un dato di fatto.
Da un romanzo del genere puoi anche riuscire a trarre un film raffinato, se ti chiami Jonathan Demme e sei una persona perbene e dotata di buon gusto. Se invece sei un ragazzaccio come Ridley Scott, il Ridley Scott dei primi anni 2000, quello che usciva da Il Gladiatore, ci vai giù con la mano pesantissima e fai la cafonata.

Appurato che mettersi a fare paragoni tra Hannibal e Il Silenzio degli Innocenti è un reato punibile con un paio d’anni di detenzione, com’è davvero Hannibal?
È come il romanzo: un filmaccio che intrattiene dall’inizio alla fine, senza tuttavia avere (e per fortuna) un’alta considerazione di sé.
Da appassionata di horror, non posso lamentarmi se, nell’arco di un paio d’ore, assisto al rifacimento della Congiura dei Pazzi con Giannini impiccato con le budella di fuori, a gente divorata viva dai maiali e a Ray Liotta che mangia il suo stesso cervello col cranio scoperchiato e la bava alla bocca. Per tacere di Gary Oldman con la faccia ridotta a brandelli. Non si può sputare sopra a un ben di Dio del genere, è una questione di dignità, di etica professionale, soprattutto se questa serie di oscene efferatezze avviene non dentro a un qualche fetido torture porn racimolato negli angoli più oscuri di una videoteca, ma in una produzione di lusso, con cast internazionale, milioni di dollari spesi sopra e incassi da capogiro. Che poi, nel 2001 neanche esisteva, il torure porn.
Eppure ieri sera, mentre rivedevo sgomenta alcune sequenze di Hannibal, mi sono chiesta se non se lo sia inventato Ridley Scott.

In realtà, e facezie a parte, tutta questa violenza data in pasto (scusate) a un pubblico generalista è coerente con l’andamento del thriller a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo. In un momento in cui l’horror era diventato meno esplicito, dopo le abbuffate (aridaje) di gore degli anni ’80, per motivi qui già discussi tante volte, è proprio a partire da Il Silenzio degli Innocenti che il thriller conquista lo scettro della brutalità. Con la scusa del realismo e la protezione offerta dalla serietà del “procedural”, i film sui serial killer diventavano sempre più morbosi, sempre più ricchi di orrori che i poveri teen slasher nati sulla scia di Scream non potevano neanche pensare di mettere in scena. 
In un certo senso, Hannibal chiude un ciclo iniziato dieci anni prima dal suo predecessore e azzera anche la distanza, del tutto virtuale e tassonomica, tra thriller e horror. 
Hannibal, la serie di Bryan Fuller andata in onda a partire dal 2012, è molto più vicina, per atmosfera, stile e nefandezze varie, al film di Scott che a quello di Demme. Anzi, direi che ne è filiazione diretta, con la differenza che, questa sì, ha un’elevatissima opinione di sé. 

In questo film, il Dottor Lecter assurge definitivamente al rango di super villain dotato di capacità quasi soprannaturali: è in grado di fare qualunque cosa, di individuare con largo anticipo i suoi nemici, prevederne le mosse con precisione millimetrica, sfuggire alla polizia di mezzo mondo che si è messa sulle sue tracce, sgominare da solo una banda di sicari assoldati da un miliardario e, ovviamente, portare Clarice Starling dove lui vuole che sia. Un semi-onnipotente burattinaio che si diverte a disporre in campo le pedine a suo piacimento, sconfiggendo l’arbitrio del caso e dominando la volatilità degli eventi.
Essendo Hopkins un grandissimo attore, ma anche un mercenario di un certo livello, non ha avuto alcun problema a calarsi di nuovo nei panni di Lecter, pur in questa nuova veste quasi caricaturale. Anzi, lui ci calca ancora di più la mano e pare divertirsi un mondo.
Per Jodie Foster, la questione è un po’ diversa. All’inizio accetta di riprendere il ruolo di Clarice, poi rifiuta nel dicembre del 1999, con le riprese previste per il maggio dell’anno successivo. Nessuno aveva dubbi che sarebbe successo, perché la Clarice di Hannibal è tutt’altro personaggio rispetto a quella de Il Silenzio degli Innocenti.
Julianne Moore, che per fare Hannibal molla Shyamalan e il suo Unbreakable, è comunque una degna sostituta, suggerita direttamente da Sir Anthony alla produzione di De Laurentiis. Pare, ma sono voci, che il buon Dino sia stato addirittura contento di non avere Jodie Foster tra i piedi. 

La Clarice Starling del film di Demme è un personaggio troppo importante per riassumerne la portata in poche righe. Mi limiterò a dire che la sua sola presenza sullo schermo è responsabile dell’abbattimento di tantissimi muri, e che dopo di lei la storia del cinema non è più stata la stessa. Ho detto storia del cinema, perché l’agente Starling del romanzo non è quella del film. 
In Hannibal siamo su un altro pianeta, per questo è anche superfluo mettersi a parlare di eredità pesante sulle spalle della povera Moore, che da grandissima professionista, interpreta una Clarice spogliata dei tratti di profonda umanità de Il Silenzio degli Innocenti, definita dalla relazione morbosa con Lecter e caratterizzata da un immarcescibile senso del dovere. Insomma, Clarice qui è la classica protagonista femminile del thriller di fine anni ’90, né più né meno. Possiamo dire che tutte le protagoniste dei thriller di fine anni ’90 sono figlie dell’agente Starling, ma sono anche tutte depotenziate. 
È anche vero che Clarice, come da titolo di romanzo e film, non è affatto la protagonista, è la spalla di Hannibal. Sono tutti spalle di Hannibal. 

Il film, sceneggiato, tra gli altri, da David Mamet, è abbastanza fedele al romanzo di Harris e, a parte qualche piccolezza, lo tradisce seriamente soltanto in due punti: scompare il personaggio di Margot Verger (sorella di Mason, interpretato da Gary Oldman, se riuscite a riconoscerlo), e di conseguenza cambia il destino di suo fratello, e soprattutto, viene stravolto il finale.
In entrambi i casi, ci sono delle ottime ragioni per le modifiche. Va bene che Hannibal è un thriller tutto sparato a mille, pieno di effettacci e di momenti scabrosi, ma la linea narrativa dei Verger era troppo anche per un’operazione produttiva di questo calibro: sarebbe costata un divieto ai minori di diciotto anni e non la si poteva neanche ammorbidire più di tanto. Se volete vedere i fratellini Verger all’opera, li trovate in Hannibal (la serie), interpretati da Michael Pitt e Katharine Isabelle.
Per quanto riguarda invece il finale, io credo sia più interessante quello del film rispetto a quel libro. Il rapporto tra Starling e Lecter rimane sul filo dell’ambiguità, non si deraglia nel territorio delle fan fiction o in qualche versione erotica de La Bella e la Bestia, ma si lascia un minimo sindacale di afflato romantico e la bussola morale non finisce proprio giù per lo scarico del cesso.
Tutto sommato, e a una seconda visione dopo quella in sala di ventiquattro anni fa, è molto meno brutto di quanto me lo ricordassi, questo strambo, ingombrante e sì, imbarazzante circo cinematografico. 
Ora scappo che ho un amico per cena. 

16 commenti

  1. Avatar di Luc@

    Ho amato tanto il Silenzio degli innocenti, che in origine erano agnelli se non ricordo male e quando vidi il seguito (senza aver letto il libro però) non la presi benissimo. Anni dopo invece lo recuperai trovandolo a suo modo molto bello e divertente. È vero , all’ opposto del predecessore: e forse funziona anche per quello.

    1. Avatar di Lucia

      Ma infatti non era proprio replicabile una cosa come quella che ha fatto Mann. Nel corso degli anni ci sono stati svariati tentativi di imitazione. Scott, per quanto possa spesso toppare i film, non è mai stato il tipo da imitare gli altri e ha fatto qualcosa di completamente diverso.

  2. Avatar di Marco INAUDI
    Marco INAUDI · · Rispondi

    Ciao Lucia. Ottima analisi la tua come sempre d’altronde. Anch’io visto in sala nel 2000 e poi ancora una volta in DVD anni fa e piaciuto comunque. Ottimo filmaccio splatter con tanti soldi, apprezzato molto. Mentre invece non ho apprezzato la serie TV, nonostante la liason omoerotica (o solo io ciò trovato questa cosa?) tra Hannibal e Will Graham, l’ ho trovata statica e con poca storia da raccontare. Buona continuazione di challenge. Ciao.

    1. Avatar di Lucia

      La serie io non ho mai finito di vederla perché ha, appunto, un’elevatissima opinione di sé. E poi perché Lecter in versione super villain mi piace se si prende anche un po’ in giro.

  3. Avatar di Fabio

    Giorno Lucia,io non ho mai visto la serie di Hannibal,perchè tendo ad essere un pò allergico alle prolissità narrative delle serie tv odierne,in compenso,il film di Scott l’ho visto più di un paio di volte,ed è divertente,ogni volta che lo rivedo,e poi il makeup applicato a Gary Oldman,era davvero agghiaccinate…brrrrr.

  4. Avatar di Fabio

    Mentre per quanto riguarda il film della challenge di oggi di mia scelta,ho reso omaggio alla compianta Antonia Bird con l’ottimo “Ravenous”.

    1. Avatar di Lucia

      Stupendo Ravenous.

  5. Avatar di Frank La Strega

    Dei fratelli Scott non si butta via niente (ops…) 😁

    Bel post. Io l’ho visto una volta sola e me lo ricordo divertente. Bisogna sempre capire a che tipo di piatto si è di fronte!

    Per oggi, io ho tentato “Trouble Every Day” ma non ero davvero nel mood (per cui per ora è rimasto… ehm… sul menù).

    Quindi metto in tavola (lol) anche “Cannibal! The Musical”

    Vado a farmi cuocere e mangiare la mano con cui ho scritto questo commento…😘

    1. Avatar di Lucia

      Trouble Every Day necessita di una estrema capacità di rimanere svegli, cosa che neanche io in questo periodo possiedo, quindi capisco l’abbandono!

  6. Avatar di loscalzo1979

    ottima analisi che condivido

  7. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · · Rispondi

    A questo punto, credo di doverlo rivedere a mia volta, non essendo esattamente i miei ricordi a riguardo quelli di un bel film (al di là delle ovvie differenze fra Scott e Demme)… Per la challenge di oggi scelgo The Green Inferno di Eli Roth.

    1. Avatar di Lucia

      Green Inferno è un’ottima scelta!

  8. Avatar di Blissard
    Blissard · · Rispondi

    Visto al cinema e poi mai più, ho odiato la “divinizzazione” di Lecter, superuomo che passa indenne in mezzo a un branco di maiali selvatici. E dire che l’inizio del film mi aveva pure intrippato. Forse se fossi stato preparato a questa deriva camp la delusione sarebbe stata meno cocente, ma avendo letto il libro (e avendolo trovato mediocre) pensavo che Scott avrebbe potuto rattopparne le magagne, non mi aspettavo che le avesse fatte assurgere a muse ispiratrici :-p

    1. Avatar di Lucia

      Il romanzo è proprio triviale, una roba di serie B che va presa con lo spirito giusto, che poi è lo stesso del film, anche se credo che Scott abbia un maggiore distacco ironico, mentre Harris ci crede sul serio.

      1. Avatar di Blissard
        Blissard · · Rispondi

        Verissimo, mi ricordo dichiarazioni roboanti di Harris che si vantava di avere minuziosamente studiato gli atti del processo a Pacciani per partorire il puzzolente capraro antagonista di Hannibal. Scott è un mattacchione, almeno

  9. Avatar di cinefilopigro

    Io devo ammettere che ho sempre ritenuto questo seguito l’unico possibile al film di Demme. Scott evita il confronto e alla fine va in direzione opposta per climax generale e messa in scena. Cattivo ed efferato, con l’onnipresente cromia rarefatta del fido Mathieson, il film è un thriller riuscito con una confezione sopra la media, che ha un parente scomodo quale “Il silenzio degli innocenti”, ma se ne cura molto meno del pubblico del confronto con esso.

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