
Regia – Dan Curtis (1975)
Curtis, Matheson, Black. Non so voi, ma io vedrei qualunque cosa che implicasse la presenza di uno solo di questi nomi. Figuriamoci un film che ce li offre tutti e tre su un piatto d’argento. Trilogia del Terrore andava in onda sulla ABC il 4 marzo del 1975, e da allora l’horror televisivo non sarebbe più stato lo stesso.
Se esiste un film per il quale la definizione di trauma generazione non è iperbolica, quello è Trilogia del Terrore. Chi era piccolo nel ’75 (o nel ’78, anno in cui il film è andato in onda per la prima volta qui da noi sulla Rete 2 della Rai) ha davvero avuto l’infanzia rovinata da Karen Black e dalla sua statuetta Zuni. Forse oggi può anche apparire risibile, ma per l’epoca, quella manciata di minuti finali di lotta all’ultimo sangue tra Amelia e la bambola erano un puro distillato di ogni incubo a misura di bambino.
E qui tocca parlare qualche istante di Dan Curtis, perché se Matheson lo conosciamo bene e Karen Black è stata una diva, a Curtis viene sempre dato troppo poco credito e non si sottolinea mai abbastanza il peso enorme che ha avuto nella storia del nostro genere preferito.
A parte Dark Shadow, che rimane la sua opera più famosa (e si trova, tutta intera, su Tubi, io ve l’ho detto), Curtis ha portato il cinema gotico sui piccoli schermi del pubblico americano adattando per la televisione Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde nel 1968, Frankenstein e Il Ritratto di Dorian Grey nel 1973, Dracula e Il Giro di Vite nel 1974; si è inventato uno dei personaggi più imitati di sempre quando, nel 1972, ha realizzato il film per la TV The Night Stalker, dando vita a Kolchak; ha diretto, nel 1976, quel capolavoro di Burnt Offerings. E ho elencato un terzo delle cose che ha fatto o alle quali ha contribuito come sceneggiatore o produttore. Curtis è un colosso della nostra storia e a lui dobbiamo tutti tantissimo.
Trilogia del Terrore, all’interno di questo colossale corpus, è anche un’operazione marginale, un piccolo film antologico a basso costo, confezionato in un lasso di tempo incredibilmente breve: fine delle riprese a gennaio ’75, messa in onda i primi di marzo.
Eppure, la classe di Curtis dietro la macchina da presa, quella di Matheson (e di William F. Nolan, che ha scritto la sceneggiatura dei primi due episodi) e quella di Black hanno fatto si’ che Trilogia del Terrore entrasse di diritto nel novero dei classici.
Il film si apre con Julie, basato sul racconto breve di Matheson “The Likeness of Julie”, pubblicato per la prima volta nel 1962. In italiano esiste sia col titolo “L’Aspetto di Julie” sia semplicemente “Julie” ed è presente in svariate antologie, se vi interessa.
Karen Black qui interpreta una austera e timida professoressa di letteratura che viene prima circuita e poi ricattata da uno dei suoi studenti, l’insopportabile e tronfio Chad. Lui la invita una sera fuori al cinema (vanno a vedere The Night Stalker), le mette un sonnifero nella bibita e poi le scatta una serie di fotografie compromettenti, così da averla in suo potere. Il povero scemo però non sa che Julie non è poi così facile da tenere sotto controllo come potrebbe sembrare a una prima occhiata.
Julie è una piccola storia crudele che non sfigurerebbe, per tematiche trattate, nel panorama horror del XXI secolo. In altre parole, è di un’attualità sconcertante: dal giovane maschio abituato a sguazzare nel proprio privilegio e convinto che il corpo di Julie gli spetti di diritto, alla rivelazione finale sulla vera natura di Julie, simile a decine e decine di film sulla rabbia femminile successivi a Trilogia del Terrore. Rivisto mezzo secolo dopo la sua messa in onda, è davvero una sorpresa.
Il segmento centrale della trilogia è occupato da Millicent and Therese, tratto da “L’Ago nel Cuore”, racconto del 1969 pubblicato per la prima volta su Ellery Queen e arrivato in Italia nello stesso anno nella collana Giallo Mondadori.
Protagoniste dell’episodio sono due sorelle gemelle, entrambe interpretate da Karen Black, che si fanno la guerra tra loro a colpi di magia nera e voodoo: Millicent, pudica e timorata di Dio, e Therese (ovviamente bionda) e spregiudicata. L’odio tra le due cresce a tal punto da portare Millicent ad assassinare Therese con la classica bambola puntaspilli.
Anche qui c’è un colpo di scena finale, facilmente intuibile sin dai primi istanti, e forse Millicent and Therese è la porzione più debole di tutto il film. Ma poco importa, perché Black supplisce alla prevedibilità dello script con un pezzo di bravura dietro l’altro. Se gli altri due segmenti sono più compatti e interessanti da un punto di vista narrativo e di messa in scena, questo è veicolo dell’espressività della sua protagonista. E noi possiamo solo ringraziare.
Veniamo infine al motivo per cui ci troviamo qui, a farcela addosso 50 anni dopo: Amelia, ultimo episodio della trilogia, è l’adattamento di “Prey”, un racconto uscito nel 1969 su Playboy, ripubblicato decine di volte e giunto qui da noi nel 1979. L’ultima edizione italiana di “Preda” risale al 2008 e si trova nella raccolta Incubo a Seimila Metri.
Per Amelia, entra in scena Matheson in persona a scrivere la sceneggiatura televisiva, ma bisogna aggiungere il contributo della stessa Karen Black che ha scritto tutto il dialogo al telefono con la madre dell’inizio e ha suggerito la dentatura che il suo personaggio sfoggia nell’ultima inquadratura.
Amelia porta a casa un feticcio Zuni da regalare al fidanzato antropologo per il suo compleanno. Litiga con la madre al telefono perché è venerdì sera e, di solito, le due donne lo passano insieme. Poi va a farsi un bagno e, quando torna in soggiorno, non trova più la bambola.
Che si è animata ed è seriamente intenzionata a farla fuori.
Per tutta la durata dell’episodio, abbiamo Karen Black da sola dentro a un paio di stanze. La bambola appare anche poco, per evidenti motivi di budget molto basso, e tutto si regge sulle spalle di questa fenomenale attrice che riesce a rendere credibile uno scontro fisico con un pupazzetto minuscolo, e a far diventare una manciata di allucinanti minuti il punto di riferimento per ogni bambolotto assassino del futuro.
Non solo, ma all’interno di confini ristrettissimi di spazio e tempo, siamo perfettamente in grado di capire il personaggio Amelia, che ne esce fuori pieno di sfaccettature e implicazioni psicologiche ed emotive. Anche qui, il merito è soprattutto di Black, che si inventa quella conversazione con sua madre, della quale non sentiamo neppure le battute. È una specie di monumento all’arte della recitazione in un contesto di serie B. Televisiva, per di più. E pensare che lei questo film neanche lo voleva fare.
Dal canto suo, Curtis è bravissimo a giocare con i pochi mezzi a disposizione per dare un margine di verosimiglianza a una situazione che verosimile non è per niente. E non importa se per abbattere il feticcio Zuni basterebbe un calcetto ben piazzato. Quando il mostriciattolo aggredisce, noi ci crediamo. Come avremmo creduto a Chucky tredici anni dopo.
Trilogia del Terrore è un adorabile, anche se un po’ scalcinato (o forse proprio perché è scalcinato è adorabile) reperto archeologico, da tenere sempre sul comodino, guardare con affetto e rispolverare quando si ha bisogno di tornare alle radici artigianali del cinema dell’orrore.












L’ho visto per la prima volta qualche mese fa, il primo episodio è stato spiazzante, molto attuale anche se pensandoci bene già coerente con una certa sensibilità che cominciava a imporsi nel periodo; il secondo un po’ fiacco, citofonato ma che si più comunque apprezzare per il doppio ruolo della brava e davvero affascinante Blake. L’ultimo bene o male lo conosciamo tutti, indirettamente o direttamente, perché è un cult; non sapevo la genesi della telefonata di Amelia alla madre che è un momento che suscita compassione (in senso etimologico) per la povera figlia e la metto a livello di struggimento solo dietro alla telefonata di addio di David alla sorellina nel Lupo americano di Landis.
Pur avendolo visto soltanto pochi anni fa, sono davvero molto legato a questo film: da ragazzino, mia madre non mi raccontava le fiabe ma gli horror che non potevo vedere, e l’episodio della statuetta era una delle mie storie preferite. Questa recensione mi ha riportato indietro di diversi anni, quasi quasi colgo l’occasione per rivederlo.
Dan Curtis purtroppo non viene mai ricordato abbastanza (e, sempre parlando di trilogie, anche la successiva Dead of Night del ’77 non era affatto male)… Stupenda Karen Black, in ciascuno dei tre episodi. E la sua lotta con quel bastardello di feticcio Zuni io l’ ho vista per la prima volta proprio nel 1978: incubi garantiti, “sorriso” finale di Karen compreso 😉
P.S. Oltre che su Mubi, se non ricordo male, Dark Shadows dovrebbe essere disponibile integralmente pure su Archive.org…
Buongiorno Lucia,e buona “Festa della Donna”!.🤗