Aspettando Romulus: Alien

Regia – Ridley Scott (1979)

Con l’arrivo di Alien: Romulus nelle sale a metà agosto, mi è sembrata cosa buona e giusta infliggervi qui tutti i capitoli della saga, anche quelli di cui abbiamo già parlato, per rivederli insieme e tirare un po’ di somme. Quindi sì, riparleremo di Aliens (la vecchia recensione del film è di 11 anni fa, magari oggi ho una prospettiva diversa e più matura), di Prometheus e anche di Covenant, senza dimenticare gli Alien vs Predator.
Coincidenza vuole che questa settimana cada anche il quarantacinquesimo anniversario di Alien, il primo, ovviamente, quello che ha dato inizio a tutto. 
C’è una vecchia diatriba tra gli appassionati che concerne la vera natura del film di Ridley Scott, ovvero se appartenga all’horror o alla fantascienza. Il più delle volte, si tratta di questioni di lana caprina, prive di qualsivoglia interesse: il film è bellissimo, ha cambiato la storia del cinema per sempre: che importanza ha la tassonomia? 
E però spesso si tende a escludere Alien dal discorso horror quasi lo si dovesse nobilitare: è un film troppo rilevante per essere “soltanto” un horror. 
Mi dispiace tanto deludervi: Alien è uno slasher nello spazio. 

Tutto comincia con John Carpenter, da parecchi punti di vista, se parliamo di slasher, ma nel caso specifico, il punto di partenza è Dark Star. Quando era studente di cinema, Dan O’Bannon aveva scritto, montato e interpretato il film d’esordio di Carpenter. Era stato anche il principale responsabile del design dell’alieno che tormenta l’equipaggio di una nave spaziale addetta alla distruzione di pianeti instabili. Dark Star era sostanzialmente una commedia, un progetto studentesco a bassissimo costo con una creatura aliena realizzata usando un pallone da spiaggia con delle zampe di gomma attaccate; a O’Bannon viene l’idea di sfruttare un concept molto simile, ma con un mostro spaventoso al posto dell’esserino buffo e saltellante di Dark Star.
“I knew I wanted to do a scary movie on a spaceship with a small number of astronauts. Dark Star as a horror movie instead of a comedy.”
Come vedete, Alien è un horror sin dal suo concepimento. 
La sceneggiatura del film passa attraverso la solita trafila di infinite riscritture: interviene Walter Hill, che ha una casa di produzione sotto contratto con la Fox, ma lo studio non ha molta voglia di addentrarsi nello spazio, almeno fino a quando non esce Star Wars, fa una quantità di soldi spropositata e all’improvviso lo spazio diventa una miniera d’oro. Con un budget di poco più di 4 milioni di dollari, la Fox decide di produrre Alien. Dopo un lungo valzer di registi, il lavoro lo prende Ridley Scott, la cui idea è: “The Texas Chain Saw Massacre of science fiction”. 

La struttura narrativa di Alien è quella di un classico slasher, non tanto alla Venerdì 13, perché da Crystal Lake in poi molti film appartenenti al filone si basavano sull’azzeramento della suspense in favore dell’esecuzione degli omicidi. Siamo più dalle parti di Halloween o di Black Christmas, solo che, al posto del dormitorio e del quartiere residenziale medio-borghese, abbiamo una nave spaziale commerciale. I membri dell’equipaggio, sette in tutto (otto, se contiamo Jonesy, the final cat), vengono fatti fuori uno dopo l’altro da una minaccia che arriva dall’esterno, xenomorfo, appunto. Nessun personaggio è particolarmente approfondito, di loro sappiamo poco o nulla, se non la posizione gerarchica che occupano all’interno della nave; l’unica a spiccare sul serio è Ripley, come spicca ogni final girl sugli altri protagonisti di qualunque slasher. Nel caso di Alien, spicca all’inizio perché tiene testa a Brett e Parker, poi perché è l’unica che vorrebbe attenersi al protocollo e mettere in quarantena Kane, invece di farlo serenamente salire sulla Nostromo con un facehugger appiccicato al casco, e infine, perché riesce  a battere lo xenomorfo in intelligenza e istinto di sopravvivenza. 
Come recita un famoso meme: “Alien è quel film dove nessuno dà retta alla donna intelligente col gatto e tutti muoiono, tranne la donna intelligente e il suo gatto”. 

Tutte le caratteristiche che siamo soliti attribuire a Ripley sarebbero arrivate dopo, anzi, possiamo dire che il personaggio di Ripley si definisce con il film di Cameron.
La Ripley che vediamo in Alien è competente, sveglia e torna indietro a salvare Jonesy quando se ne potrebbe andare e lasciarlo sulla Nostromo in via di autodistruzione. Lo sottolineo perché, per esempio, questa è una cosa che non è piaciuta a King: in Danse Macabre scrive che la preoccupazione di Ripley nei confronti di un animale rassicurerebbe gli spettatori maschili sul fatto che non sia altro se non la solita femmina dal cuore tenero. Ora, io amo tanto King, ma spesso dice un mucchio di cazzate. È proprio il tornare indietro a recuperare il gattone roscio a fare di Ripley un’icona e una delle migliori final girl della storia. È anche indicativo il fatto che, secondo lo Stephen King dei primi anni ’80 (la prima edizione di Danse Macabre è del 1981) soccorrere un altro essere vivente non sia roba da uomini. Ve la butto lì come riflessione a latere, ma anche come esempio molto importante di come il personaggio di Ripley, nel 1979, sia stato dirompente e rivoluzionario. 

Quello che tuttavia mi preme, tanto per non ripetere sempre le stesse cose su Alien, è che possiede un’essenzialità, nella messa in scena, nel modo di raccontare, nelle scarne e limitatissime informazioni che ci vengono fornite sui 7 della Nostromo, che non è affatto imparentata con la fantascienza degli anni ’70 e, al contrario, è propria dell’horror a cavallo tra la fine degli anni ’70 e ’80. Per tornare al nostro amico e compare John Carpenter: mai spiegare troppo, mai sforzarsi di essere chiari. 
In Alien, Ridley Scott non ti spiega proprio niente. Questo non significa che non ci sia un gran lavoro di world building, da parte sua e da parte degli sceneggiatori e degli scenografi che seminano il film di dettagli importanti per comprendere il tipo di società in cui vivono i personaggi, la relazione tra loro e la compagnia che li ha assunti, e perché sia evidente, alla fine, il motivo per il quale siano sacrificabili. 
Il resto del film è tutto tensione, atmosfera e orrore puro, anche esplicito, come nella celeberrima sequenza del chestbuster. 

Un momento di vero e proprio body horror possibile soltanto se si prende in considerazione l’eredità del new horror, il progresso degli effetti speciali, la visione del corpo umano, maturata da metà anni ’70 in poi, come materia plasmabile e da distruggere in varie e fantasiose modalità, altamente spettacolari.
Prima di Alien, di film di fantascienza decisamente sbilanciati sul versante orrore non ce ne sono tanti. A parte il caso di Mario Bava, cui si ispira O’Bannon proprio per scrivere Alien, possiamo menzionare La Cosa da un Altro Mondo (che però è sbilanciato al contrario, e Carpenter ne ha poi fatto un horror), una a caso delle due versioni de L’Invasione degli Ultracorpi, ma la seconda arriva appena un anno prima di Alien ed è anch’essa pesantemente influenzata dal body horror, L’Esperimento del Dottor K, forse, ma non ne sono convinta, Il Mostro della Laguna Nera e davvero poco altro. A operare la fusione perfetta tra ambientazione fantascientifica e contenuto horror è stato Alien, e da lì in poi la faccenda è diventata sempre più frequente, tanto che a volte i due generi diventano addirittura sovrapponibili. 

Lo so che non ho parlato di tante cose, ma vedete, è Alien, sapete tutto di Alien: conoscete il contributo artistico di Giger, il lavoro di Rambaldi, la scena sul pianeta da cui arriva la presunta richiesta di soccorso modellata su Bacon, il tema musicale di Goldsmith. Che altro dovrei dirvi io? È sempre complicato, quando si affrontano certi colossi, non cadere nella mera ripetizione. In questo caso, ho solo cercato di ricostruire il rapporto tra Alien e il genere che più amo al mondo, ed è una connessione profonda e fondamentale per capire il film. 
Del resto, avremo modo di parlarne in seguito, perché il nostro viaggio nel mondo degli xenomorfi è appena cominciato. Parto dal presupposto che, per la sottoscritta, non esiste un film di Alien brutto. Chissà se, nelle prossime settimane, cambierò opinione. 

15 commenti

  1. Marco INAUDI · · Rispondi

    Ciao Lucia. Ti rispondo con una email, perché su WordPress molti commenti non me li manda, è successo giusto qualche giorno fa che volevo commentare “Furiosa”. Spero che tu riceva questo mio commento in qualche modo. “Alien” è un film magnifico. Oltre ad essere d’ accordo con la tua visione del film e su Ripley, sarebbe interessante anche discutere sulla sessualità polimorfa del film e sulla paura del maschio di essere violato sessualmente. Insomma di carne al fuoco c’è ne sarebbe tanta. Aspetto con ansia le prossime recensioni. Un’ abbraccio forte! Ciao!

    1. Oddio, che strano! Mi dispiace di questo inconveniente sui commenti. Non so davvero cosa gli prenda a WordPress

  2. Valerio · · Rispondi

    Che idea bellissima questa serie. Alien è talmente iconico e ha un valore storico talmente alto che, per parlarne a dovere, servirebbe un libro. Dan O’Bannon raccolse le suggestioni degli anni Cinquanta che citi, si spese in prima persona per coinvolgere Giger e coinvolse anche Moebius, a cui si deve il design iniziale delle tute spaziali. Era entrato in contatto con il lavoro di entrambi grazie a “Metal Hurlant”, che gli aveva fatto conoscere Jodorowsky. A operare la sintesi fra tutto questo, Ridley Scott, che come sappiamo arriverà poi a considerare “suo” il franchise. La visione di Scott lo colloca a mezza via fra gli anni Settanta e Ottanta (anzi, forse più verso questi ultimi), ma nel suo complesso è pienamente radicato nel suo decennio di appartenenza e nell’horror di quel decennio, come hai scritto e come si vedrà benissimo nel confronto con Aliens, che ha invece definito gli Ottanta. Certo che non esistono film di Alien brutti, Prometheus e Alien Vs. Predator inclusi (molto inclusi).

    1. Infatti Aliens, al contrario di Alien, non è neanche un horror. Anzi, è il meno horror dell’intera saga.
      Quando arriveremo ad AvP ci divertiremo un sacco.

      1. Giuseppe · · Rispondi

        E, del secondo AvP in particolare, non si era appunto già detto quanto fosse in pratica uno slasher coi mostri? 😉

        1. Sì sì, Requiem è proprio un teen slasher

  3. Silberto Peroni · · Rispondi

    Ottimo pezzo, ottimo approccio, lettura altamente godibile. Seguirò con attenzione la tua carrellata su tutta la saga e spin-off, magari affiancando relativa visione. Grazie di darmi una scusa per rivivere tutti questi film.

    1. Grazie, e ogni scusa è buona per rivedersi la saga!

  4. “Mi dispiace tanto deludervi: Alien è uno slasher nello spazio”

    Ecco questa cosa dovrebbe essere INCISA NELLA ROCCIA in ogni recensione o editoriale su Alien e la sua saga in apertura. 

    1. La facciamo mettere sulla cover dei Blu Ray

      1. Giuseppe · · Rispondi

        Assieme alla precisazione che Stephen King, a proposito di Ripley, ha veramente scritto una cazzata di proporzioni colossali… Tornando alla tua iniziativa sarà interessante passare in rassegna tutti i titoli della saga, verificando nel fratttempo se e quanto (nel caso) possano essere maturate le nostre posizioni a riguardo 😉👍

      2. Madonna sì ❤

  5. Andrea Bini · · Rispondi

    45 anni del mio film preferito! Una cosa è interessante notare su Ripley: il fatto che voglia quarantenare Kane non la rende tanto il personaggio più intelligente (col senno di poi so’ boni tutti), anzi, piuttosto quello più pignolamente ligio alle regole e con la minore sensibilità verso gli altri membri dell’equipaggio. Ripley è una giovane ufficiale che sta sempre col regolamento in mano (significativa la discussione con l’esperto Capitano Dallas su quando ripartire), convinta della “bontà del sistema” insomma. Tutta la sua fiducia riposta in regole e contratti crollerà quando verrà a sapere che la compagnia per cui lavora considera lei e tutto l’equipaggio “sacrificabile”. Una volta aperti gli occhi distruggere la maligna astronave ma salvando il gatto sono cruciali per il suo character evolution.

    1. Sì, il fatto che sia ligia alle regole e abbia fiducia nel sistema è vero, però mettere in quarantena qualcuno che si porta appresso un organismo alieno di cui non si sa niente è un puro fatto di intelligenza. Anzi, neanche intelligenza, mero buon senso. Il punto è che seguire il protocollo non è sempre segno di acquiescenza al potere o al sistema. Anzi, quello programmato per seguire le regole imposte dalla compagnia è Ash, che apre il portello e fa entrare Kane.

      1. Andrea Bini · · Rispondi

        Appunto: intelligente no, semplicemente ligia alle regole fino al cavillo. Il fatto che in questo caso sarebbe stato giusto lasciarli fuori in quarantena cambia poco (loro non sanno quello che sappiamo noi: che sono personaggi di un fantahorror, e se Kane stesse morendo soffocato da un organismo tutto sommato innocuo?).

        Fino all’epilogo, di tutto l’equipaggio insieme ad Ash Ripley è il membro più freddo e privo di emozioni (in una scena tagliata da uno schiaffone a Lambert che la aggredisce perché li voleva lasciare fuori), perfettamente integrato ad un sistema inumano.

        Una cosa che mi ha sempre impressionato è la mancanza di cuccette, segno di un’altronave NON a misura d’uomo: nonostante le dimensioni gigantesche non esiste un luogo in cui i membri dell’equipaggio possano appartarsi, perfino il capitano deve rifugiarsi nella navetta di soccorso per starsene un po’ in pace a sentire musica.

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