Tanti Auguri: 10 anni di Exists

Regia – Eduardo Sánchez (2014)

Io direi che è arrivato il momento di rivitalizzare i complehorror del mese, che ne dite? Un’ottima occasione per andare a ripescare l’ultimo lungometraggio diretto dal povero Sánchez. Sì, il regista che nel 1999 ha cambiato per sempre il paesaggio del cinema horror, è relegato in televisione da dieci anni esatti. Ha firmato un segmento per l’horror antologico Satanic Ispanic, ma Exists è potrebbe essere, a meno di svolte improvvise (A24, ci pensi tu?) l’estremo tentativo di una carriera che, dopo il botto di TBWP, non ne ha più voluto sapere di rimettersi in carreggiata. E sapete di chi è la colpa? Nostra, ovviamente.
Sánchez le ha provate davvero tutte: ha fatto un bellissimo film un rapimento alieno al contrario, è andato sul thriller psicologico ottenendo risultati eccellenti e, in entrambi i casi, nessuno se lo è filato neanche per sbaglio. Anzi, ci si sono pure accaniti contro. 
Exists, a uno sguardo superficiale, sembra un rassegnato ritorno sul luogo del delitto originale: proviamo a riportare un gruppetto di ragazzi nei boschi, armiamoli di telecamere, e vediamo che succede. 

Solo che questa volta gli sventurati (ma anche un po’ scemotti) protagonisti del film non si addentrano nelle terre selvagge per girare un documentario su una strega. Sono soltanto dei ragazzi nel classico fine settimana fuori porta nella cabin in the woods di proprietà dello zio di due di loro. Obiettivo: divertirsi e riprendere le proprie evoluzioni in bici con delle GoPro attaccate ai caschetti. Exists ha un’impostazione molto più conservatrice, se vogliamo, un punto di partenza che, nel 2014, si poteva trovare in una larghissima percentuale di horror da cestone in offerta, fossero essi found footage o no. Il rischio Sánchez se lo accolla nel momento in cui sceglie il soggetto della storia: il bigfoot, che alla fine è soltanto uno scimmione con un potenziale di elargire spavento sotto zero. Non se vi ricordate che, lo stesso anno di Exists, è uscito un altro found footage sul bigfoot; trattasi di Willow Creek. Stessa tematica, ma approccio diametralmente opposto. Dove Willow Creek puntava tutto sull’eleganza, sul non far vedere mai la bestiaccia e su una lunghissima sequenza con la camera fissa sui volti dei due protagonisti chiusi nella loro tenda,  Sánchez decide di giocarsi l’intera posta sul mostrare tutto, e pure nei dettagli. 

Può sembrare un paradosso, ma Willow Creek è molto più debitore a TBWP di quanto non lo sia Exists. Da qui la mia opinione che Sánchez si fosse ampiamente stufato di essere “quello della strega di Blair” già intorno al 2001 o giù di lì.
Penso ancora che Willow Creek sia più efficace nel farti venire il terrore di Dio utilizzando una leggenda popolare così poco sinistra come il bigfoot, ma ammiro l’ambizione e il coraggio di Sánchez, che si studia un design del mostro poco convenzionale, lo fa agire con una ferocia inusitata nei confronti di questi cinque sprovveduti che non hanno una sola speranza di cavarsela di fronte alla vendetta della natura, e addirittura chiude con un lungo primo piano del criptide in bella mostra, come se volesse farci sapere che lui, dopo aver illustrato al mondo il manuale del non detto, se ne infischia dei manuali e delle regole e ha come unico interesse quello di infrangerle. Perché l’horror è libertà, innanzitutto, è uscire dalle gabbie e mettersi a fare casino, è superare i limiti e lanciarsi a rotta di collo nelle imprese più disperate, anche con la consapevolezza di poter fallire. 

Quindi no, Exists non è soltanto TBWP con le GoPro, anche se, perdonatemi l’ovvietà, essendo passati 15 anni dal tuo esordio, è normale che ti venga voglia di sperimentare con quelle che all’epoca erano tecnologie abbastanza nuove e in grado di dare al tuo film un dinamismo impossibile nel 1999. Exists è un found footage molto movimentato, pieno di azione, con sequenze complesse ed elaborate nella messa in scena, realizzate con largo uso di effetti speciali, giunture di montaggio invisibili, più personaggi in campo e una maggiore varietà di situazioni e location. C’è la scena in bicicletta con arrivo del mostro e incidente, c’è l’assedio notturno alla baita con i nostri che finiscono per ripiegare in cantina, c’è tutta la parte finale con il camper che si rovescia. Sánchez qui ripudia qualsiasi forma di staticità e quindi fa il tarantolato per 80 minuti. Va quasi subito al sodo, spreca pochissimo tempo a introdurre i personaggi, perché tanto non sono importanti e servono soltanto a gridare in preda al panico e farsi massacrare uno dietro l’altro dalla vera star del film. 

Che è il bigfoot in cerca di vendetta. 
Exists è, di fatto, un eco-vengeance in cui i protagonisti umani arrivano in un territorio ostile e sconosciuto, ignorando gli avvertimenti di gente più saggia di loro che quei luoghi li ha da tempo abbandonati a ragion veduta, compiono un’azione riprovevole e imperdonabile, ma non è che lo facciano apposta, poveracci, e la pagano con gli interessi. Non può essere definito un survival, dato che la lotta per la sopravvivenza è persa dal fotogramma numero uno, ma neppure si prova chissà quale soddisfazione a vedere questi giovani sciocchi crepare. Gli eventi del film sono frutto del puro caso di cui tutti siamo in perenne balia, nonostante fingiamo di avere qualche forma di controllo sulla nostra esistenza, altrimenti ci lasceremmo semplicemente morire rannicchiati in posizione fetale. 
Il bigfoot è soltanto una forza della natura e come tale si comporta; a lui non interessa dare ordine o senso alla propria vita, lui vuole sbarazzarsi di questi intrusi molesti e, già che ci si trova, impartire loro un po’ di educazione, anche se sarà l’ultima lezione del loro miserabile passaggio sul pianeta. 

Appurato che i veri protagonisti di Exists sono il caso che tutto divora e il bigfoot che tutto prende a pizze in faccia, è riuscito Sánchez nell’impresa di cui parlavamo prima o ha fallito? Da un certo punto di vista, Exists è un fallimento: ha chiuso, forse per sempre (Blumhouse, dormiamo o cosa?), la carriera cinematografica del regista. Dieci anni dopo la sua uscita lampo nelle sale, bisogna dire che è uno dei found footage più originali e coraggiosi mai realizzati e riesce addirittura a rendere questa creatura, la cui tradizione comprende dei panini a forma di piede, un discreto spauracchio. In parte è merito degli ottimi effetti della Weta Workshop, ma sono soprattutto le scelte di Sánchez a a rendere il bigfoot efficace, la gradualità con cui lo porta sempre di più al centro della scena, fino a fargli riempire tutto lo schermo nell’indimenticabile inquadratura finale. 
Non voglio fare a tutti i costi l’apologeta di Sánchez. Figuriamoci se ha bisogno di me, quando ci sono i suoi film a parlare. Però credo che avrebbe meritato un trattamento migliore. È uno spreco vederlo firmare episodi di CSI: Vegas. Qualcuno gli dia un’occasione prima che sia davvero troppo tardi. 

3 commenti

  1. Giuseppe · · Rispondi

    Comincio a temere che la Blumhouse si stia un po’ troppo comodamente adagiando sugli allori, ché altrimenti a qualcuno come Sanchez l’avrebbero lanciato un salvagente per evitare che “annegasse” in mezzo ai flutti delle serie tv: magari è solo una questione di pessimismo personale, ma mi sembra proprio che nessuno stia facendo la fila per dargli la possibilità di tornare in auge… 😟

  2. Blissard · · Rispondi

    Interessante recupero per un film di cui si è ingiustamente parlato pochissimo. Onestamente lo ricordo deludente; ho riletto la rece che feci all’epoca constatando che, pur trovandolo realizzato discretamente, mi irritarono un paio di cose: SPOILER ALERT “Ormai penso di avere fatto il callo alle incongruenze logiche legate ai found footages (del tipo: troviamo le immagini di varie telecamere MONTATE!!!! really?), ho però la vaga impressione di essere defraudato quando in queste incongruenze incade Eduardo Sánchez, ovvero uno dei due autori del seminale (e per certi versi insuperato) The Blair witch project, che da questo punto di vista rappresenta invece un monumento alla coerenza narrativa. Come se non bastasse, c’è uno altro crasso esempio, divertentissimo peraltro, di illogicità in uno dei momenti cruciali della storia (nella baita non c’è campo per i cellulari, e infatti Matt è costretto a farsi chilometri in bicicletta per trovare abbastanza segnale col telefonino; verso la fine del film, quando Dora, Brian e Todd sono nascosti ai piedi di un ponte nelle vicinanze della statale, squilla il cellulare di Brian, è lo zio che li chiama….. DALLA BAITA! Il suo cellulare doveva avere una superantenna!).
    Tali defaillances minano un filmetto che, di suo, sarebbe anche girato con discreta competenza da Sanchez, e che regala persino qualche momento di autentica tensione.”

  3. Ciao Lucia, volevo commentare i tuoi articoli su “Hell House”, ma sono disattivati i commenti nei post più vecchi? Che peccato, perché ne avevo di cose da dirti. Saga meravigliosa. Cognetti geniale. Ma non è questo il post giusto. Un abbraccio.

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