
Regia – Dick Maas (2001)
Quest’anno si procede davvero a casaccio e l’unica caratteristica comune ai film con cui Zia Tibia vi delizierà sarà la leggerezza. È giugno, a breve comincerà l’estate, è ora di riesumare la mia ossuta omologa dalla cripta e lasciarle lo spazio che merita, ma persino lei è un po’ sotto stress e in stato confusionale, quindi le ho lasciato scegliere i film a sentimento e lei ha deciso di cominciare con il remake americano, diretto dallo stesso Maas, de L’Ascensore, il festeggiato del complehorror di maggio, se vi ricordate. Né Zia Tibia né io l’avevamo mai visto, i vostri commenti me lo hanno calorosamente consigliato, quindi eccoci qui, di nuovo a parlare di ascensori assassini, ma stavolta in un grattacielo a New York. Down è un film che ha delle implicazioni che vanno al di là dei suoi meriti e del suo valore effettivi, legate soprattutto alla data in cui è arrivato nelle sale, all’ambientazione e a una battuta sul terrorismo che ha convinto i distributori a farlo uscire (ribattezzato per gli USA The Shaft) in un circuito limitato di sale per poi relegarlo all’home video senza versarci sopra neanche mezza lacrima.
Si tratta della prima, e ultima, esperienza americana di Maas, che non credo si sia divertito più di tanto a girarlo, se poi è fuggito in Olanda per non voltarsi più indietro. Non ho informazioni sul budget del film, però è visibilmente più alto della miseria del suo omologo del 1983 e ci sono almeno un paio di sequenze ad alto impatto visivo che il regista non si era potuto permettere ai tempi del suo esordio. È un film ricco, con un cast importante, non tanto per la presenza di una Naomi Watts il cui nome, nei titoli di testa, non appare neppure per primo: Watts non era ancora la star che sarebbe diventata da The Ring in poi, passando per Mulholland Drive, ma già a partire da qui, si configura come la reginetta dei remake americani di film stranieri. Nel 2001, ad apparire per primo nei titoli, c’era James Marshall, non so se mi spiego. Quando parlo di cast importante non mi riferisco certo a lui, ma parlo di gente come Ron Perlman, Dan Hedaya e Michael Ironside, tutti pronti a dare lustro a questo B movie che, per essere realizzato, ci ha messo la bellezza di 15 anni.
La trama del film, a parte qualche comprensibile variazione dovuta allo spostamento geografico e temporale, rimane quasi identica a quella dell’originale: in un grattacielo newyorkese, il Millennium Building, un ascensore comincia a presentare qualche malfunzionamento: prima un gruppo di persone rimane bloccato senza aria condizionata (qui si alza la posta perché si tratta di donne incinte appena uscite da un corso pre-parto), poi un cieco cade nella tromba (e questa volta, purtroppo, si porta dietro il suo cane), infine una delle guardie dell’edificio finisce decapitata dalle porte. La ditta che si è occupata di installare l’impianto non rileva alcun guasto, ma un tecnico e una giornalista cominciano a indagare per conto loro e scoprono una verità sconcertante, che è la stessa del film del 1983, questa senza variazioni di sorta. Insomma, la faccia tosta di Maas nel proporre come soluzione del mistero i biochip senzienti, è rimasta la stessa. Il problema è: L’Ascensore sosteneva questa faccia tosta con un carico di umorismo e autoironia considerevole. Come si comporta il suo rifacimento?
Abbastanza bene, direi. Per alcune cose, addirittura meglio: il bodycount è più alto, vengono tagliate via tutte le scaramucce sentimentali e familiari del protagonista, c’è più gore e Maas non si fa alcuno scrupolo ad ammazzare persino dei bambini; l’umorismo è presente in dosi massicce, purtroppo smorzato dalla recitazione troppo seriosa di Marshall che, poverino, proprio non ce la fa.
Altro cambiamento di un certo rilievo è il rapporto tra la giornalista Jennifer e il tecnico ascensorista Mark. Se nel 1983 ricalcava certe dinamiche quasi da buddy movie, qui diventa una screwball comedy destinata a concludersi in una inevitabile storia d’amore, che tuttavia Maas è abbastanza intelligente da non far sbocciare fino agli ultimi istanti del film. C’è da dire che, soprattutto grazie all’energia e ai tempi comici di Naomi Watts, alcuni scambi tra i due funzionano molto bene.
In generale, The Shaft ha un ritmo più indiavolato rispetto a L’Ascensore, e pare sia molto più breve, anche se dura la bellezza di 110 minuti.
In parte è merito del cast, perché una scena in cui Ron Perlman e Michael Ironside litigano in macchina può andare avanti anche per sei ore e io non mi annoio un solo istante, in parte è bravo proprio Maas, che potendo giocare con qualche spicciolo in più, allestisce delle scene spettacolari, non grande impiego di comparse e stunt. Vi invito a guardare con attenzione quella che coinvolge due ragazzi sui pattini, perché non sfigurerebbe in un qualsiasi episodio della saga di Final Destination ed è talmente folle che vivrà per sempre nella vostra mente senza abbandonarvi mai. Meritevole di menzione anche un eccidio di massa a metà film, con corpi che precipitano dal centesimo piano e l’ascensore, beffardo e sardonico, che se le inventa tutte per accoppare il maggior numero di gente possibile.
Non so se sia lecito parlare di film che ha inaugurato una tendenza, perché quella di rifare i film stranieri e renderli appetibili al pubblico locale è una vecchia tradizione hollywoodiana, però è certo che i primi anni 2000 (e ne abbiamo parlato allo sfinimento) sono stati segnati dalla pratica del remake, sia che la fonte fosse autoctona sia che parlasse un’altra lingua. Infatti, The Ring e Dark Water arrivano l’anno successivo e sono soltanto i primi di una lunga serie. Non era nemmeno la prima volta che il discutibile onore di venire adeguato ai gusti degli spettatori americani toccava a un film olandese: nel 1993 era uscito The Vanishing, rifacimento di questo capolavoro qui.
È interessante che, nel caso specifico, sia lo stesso regista dell’originale a mettersi dietro la macchina da presa per il remake di un suo film. Una cosa alla Haneke, insomma, fatte le debite proporzioni (e con Naomi Watts sempre facente parte dell’equazione).
Certo, L’Ascensore non era un capolavoro e neppure era un’opera controversa e provocatoria come Funny Games, pertanto Down non è niente di più di un simpatico filmetto da gustare durante una serata estiva all’insegna della spensieratezza. Ideale per inaugurare il Ciclo Zia Tibia 2023.












Ho visto solo il film originale dell’83,non mi e’ mai capitato di visionare questo remake,al limite ho adorato(ma forse solamente io) il suo ultimo film di produzione olandese,l’incredibilmente cattivo e stra divertente “Prooi” del 2016,da noi distribuito sotto l’inflazionatissimo titolo “Prey”! Vera perla del genere “beast-movie”,ha proposito……tu Lucia lo hai visto? Ne parlerai un giorno?👋😸
Lo vedi che ti abbiamo consigliato bene? 😉
E la scena dei due pattinatori è davvero da antologia, sì! Riguardo a Maas, credo che il trattamento riservato a questo suo remake abbia contribuito (e non poco) a fargli fare definitivamente le valige per tornarsene a casa…