Quando nel 2005 McLean diresse il suo film d’esordio non aveva compreso appieno la portata di ciò che aveva creato. Non a caso, eccolo rifiutare di mettere mano a un seguito e preferire dedicarsi alla realizzazione di Rogue. Il regista ha poi dichiarato di essersi pentito di questa scelta. Perché proprio non aveva capito che Mick Taylor, il tremendo serial killer dell’outback australiano, aveva tutte le potenzialità per diventare un’icona del cinema dell’orrore. Di McLean, dopo il 2008, non si hanno più notizie. Non so se ci avete fatto caso, ma uno dei registi australiani più promettenti della sua generazione sparisce dalle scene. Lo ritroviamo, un paio di anni fa, al lavoro sul seguito di Wolf Creek. Il che scatena immediatamente le speranze e le paure dei tanti che sono stati stregati da quel film così crudele. Per mia fortuna, di Wolf Creek ho già parlato qui e non sono obbligata a rivangare di nuovo un’ esperienza cinematografica dolorosa e violenta. Wolf Creek apparteneva al gruppo ristretto di pellicole in grado di causare un vero disagio, ai limiti dell’insopportabile, nello spettatore. Quasi dieci anni dopo la sua pietra miliare (non saprei definire Wolf Creek in maniera diversa) Greg McLean torna a parlarci di ingenui turisti che fanno pessimi incontri. E la domanda che tutti vi starete ponendo di fronte a queste righe sarà sicuramente: “ma è un seguito alla sinistra altezza del suo predecessore?”
La risposta, scontata, è no. Wolf Creek 2 non restituisce neanche un grammo dell’atmosfera malsana del primo film. E neanche riesce a riportarci in quello stato quasi catatonico in cui ci riduceva la pellicola del 2005. Non c’è lo stesso senso di tragedia ineluttabile e incombente, e neanche lo strazio di veder massacrati dei personaggi che McLean si era preso quasi mezzo film per costruire. Non sto dicendo che Wolf Creek sia un film poco riuscito. Parliamo di un signor survival, per tutta una serie di motivi che andremo a elencare. Ma è un film che prende tutta un’altra direzione, forse perché a McLean le minestre riscaldate non piacciono, o forse perché era davvero impossibile ricreare artificialmente e volutamente tutto quell’insieme di elementi concorsi a costruire una delle opere più disturbanti di sempre. Wolf Creek 2 è più una commedia nera che un horror vero e proprio. Un road movie basato quasi esclusivamente su una caccia all’uomo condotta da Taylor ai danni di un malcapitato colpevole di avergli sottratto una preda. Sin dall’incipit, sardonico ed esageratamente splatter, McLean ci avverte che i toni sono cambiati. E, come spesso accade quando un prodotto diventa seriale, ci rendiamo subito conto di chi sia il vero protagonista di questo secondo film: John Jarrat, lasciato a briglia sciolta e libero di gigioneggiare e fare il buffone quanto più gli aggrada, cannibalizza ogni fotogramma di Wolf Creek 2. È normale, lo sapete. Prendi un villain che funziona e, se nel primo film sarà un’ombra messa lì per incutere un terrore quasi sacro, già nel secondo lo vedrai di più e ti spaventerà di meno, ti starà più simpatico, ruberà la scena agli altri protagonisti (e soprattutto, alle vittime), fino a diventare la star incontrastata del franchise.
Le buone notizie però non mancano. McLean si guarda bene dal trasformare Mick Taylor in una macchietta ammiccante. Sì, gli ammiccamenti non mancano e ci sono almeno un paio di scene in cui si ride. Non mi metto a spoilerare nulla su un film che avremmo visto in quattro, ma vi assicuro che un certo inseguimento tra una jeep e un camion con intervento improvviso di un gruppo di canguri vi strapperà più di una risata sguaiata da bifolchi impenitenti. E tuttavia, McLean riesce lo stesso a non buttare il tutto in farsa e a regalarci parecchi momenti di genuino orrore e di tensione sfibrante. Il tono è complessivamente molto più leggero rispetto al film del 2005. Non vi aspettate il malessere e la disperazione lurida che vi restavano appiccicati addosso dopo la visione. Sembra quasi un’operazione simile a quella fatta da Tobe Hooper col sequel di Non Aprite quella Porta. E non è una mossa campata in aria. Ripetersi non era possibile e comunque McLean non è il tipo di regista che si fotocopia. E allora, dopo i primissimi minuti che già, da soli, delineano il quadro di ciò che il film sarà, ecco che McLean ci illude di star tornando sulla falsariga di Wolf Creek e ci presenta due ragazzi tedeschi in viaggio in autostop verso il famigerato cratere. Falsa pista. Non è lì che Wolf Creek 2 vuole andare a parare. E infatti i due personaggi sono appena abbozzati, quasi privi di caratteristiche o personalità. Ci servono per condurci al nucleo centrale del film: la dimora di Taylor e la sua camera di torture.
In una splendida sequenza tutta giocata sulla recitazione, a metà tra uno sberleffo al torture porn e un incubo a occhi aperti, viene fuori la vera anima del film, quella di un giullare impazzito che prima ti rincoglionisce di chiacchiere e poi ti aggredisce a martellate. Un dialogo tra Taylor e la sua vittima di una lunghezza estenuante, una scena magistrale, per come è girata, scritta e poi montata, con un uso dei tempi comici e del senso di attesa tipico dei migliori thriller che si fondono alla perfezione l’uno nell’altro, fino a rendere indistinguibili risate e terrore. Questo è Wolf Creek 2, prendere o lasciare. In comune col primo ha, come del resto tutta la scarna filmografia di McLean, la capacità di frustrare le aspettative dello spettatore e di lasciarlo privo di punti di riferimento. Che sia per la crudeltà eccessiva, o per un cambio di registro repentino e spiazzante, Wolf Creek 2 non è un film prevedibile nei suoi sviluppi. Persino nelle scelte relative all’uso della violenza e del gore, McLean riesce a sorprendere, con una prima parte in cui i dettagli truculenti abbondano e una seconda dove sembrano scomparire del tutto. E se in Wolf Creek l’intento satirico nel mettere in scena un serial killer corrispondente alla descrizione del maschio tutto d’un pezzo era appena abbozzata, un sottotesto per gli spettatori in vena di sottigliezze, qui diventa plateale ed evidente, in particolar modo quando McLean prende e si mette a citare addirittura Calvaire, capovolgendone però del tutto il senso e sconfinando, per pochi istanti, nel territorio del puro weird. Improvvise accelerazioni nel ritmo, alternate a momenti sospesi e rarefatti, il solito, straordinario, rapporto del regista australiano con la sua terra e i paesaggi che la contraddistinguono, uno stile più consapevole e maturo, più vicino a Rogue che al primo Wolf Creek e un dinamismo maggiore, dovuto soprattutto a un budget decente, completano il quadro di un film che avrà i suoi detrattori per come si allontana dal solco del suo predecessore, ma che resta comunque un seguito importante e meritevole di più di una visione.
Adesso son curioso!!!! Il primo non mi e’ dispiaciuto, credo ti daro’ retta e mi guardero’ anche questo 🙂
è uno spasso. Diversissimo da Wolf Creek, ma comunque valido. Anche se il mio cuore appartiene al primo.
Bene, bene… aspettavo una recensione. E questa dicesi recensione coi fiocchi!
Grazie e sarà di sicuro uno delle mie prossime visioni 😉
Però occhio che se ti aspetti un nuovo Wolf Creek ci resti anche male. Io avviso tutti quanti che McLean ha fatto tutt’altra cosa, mischiando le carte e andandosene per fatti suoi.
Può non piacere. Io ho preferito questa svolta a una riproposizione fiacca del primo film. Poi voglio sapere che ne pensi 😉
Ma guarda, da quello che ho capito dovrebbe rientrare nella mia categoria “cazzoni”… quindi, ben venga 🙂
Minchia Lucia… è una figata della madonna. Lean è un genio. L’ho rivisto 2 volte. Mi ha cotto e mangiato in un sol boccone. LOSER!!! XDXDXD
Vero, concordo su tutto. Il primo era inarrivabile, inutile ripetersi tentando di farne un seguito con gli stessi presupposti – meglio qualcosa di diverso, non sempre riuscito ma comunque godibilissimo. 🙂
Sorry skippy XD
Devo vederlo assolutamente ma… maledetti sottotitoli 😦
Forse sono recuperabili quelli in inglese, anche perché io mi sono dovuta fermare più volte durante la visione e rivedere intere scene per capire l’accento di Jarrat
Dalla tua recensione traspare un seguito di sicuro differente da quello che mi sarei aspettato…ma, tenendo conto che a voler rimanere sugli stessi identici binari del primo film il grande rischio di non riuscire a replicare quel magistrale e greve senso disagio in effetti c’era, il cambiar registro in questo modo non è stata una cattiva idea (e i presupposti per riuscire a divertirmi con questo secondo capitolo mi sembra comunque ci siano tutti).
In estrema sintesi si può dire che se Wolf Creek non dava a nessuno e in nessun modo la benché minima speranza, allora -per completare l’opera- Wolf Creek 2 la speranza decide pure di prenderla direttamente e pesantemente per il culo 😉
Non credo fosse pensabile, a meno di non voler fare una specie di remake, replicare il primo Wolf Creek. Questo è un film meno bello, ma comunque riuscitissimo.
E Jarrat è un fenomeno 😉
Grazie della rece, Lucia. Non ho amato molto il primo “Wolf Creek”, tuttavia questa tua recensione muove in me curiosità. Vedremo 🙂
Io non ho visto nemmeno il primo…recupero come sempre. 🙂
Mi ricordo che il primo mi era veramente piaciuto, complice magari l’atmosfera o il modus operandi del killer. Vedrò di vedermi anche questo
Questo non l’ho ancora visto ma d’accordissimo su “lo strazio di veder massacrati dei personaggi che McLean si era preso quasi mezzo film per costruire” per quanto riguarda il primo. Tanti horror, e non solo gli slasher, vengono a noia proprio perché danno per scontato che i personaggi debbano essere antipatici e bidimensionali. Perché gli horror che ti fanno veramente male sono quelli nei quali ti identifichi con la vittima, non quelli dove parteggi per il carnefice.
ma se fosse stato troppo simile al primo poi ci sarebbero stati quelli che avevano da dire che era troppo uguale. Insomma, non ci va mai bene niente a noi spettatori 🙂
Questo 2 mi è piaciuto tanto quanto il primo.Fantasticii il lavoro sul suono (il rumore ganci sul furgone… ansia) e la fotografia. Bellissimo l’inseguimento alla Duel, e qui piccolii “twist” che quando pensi si avere capito cosa sta per accadere, ti disorientano. E riuscire a non essere prevedibili in un horror non è mica cosa da poco
A me un pelino meno rispetto al primo, ma comunque un grandissimo lavoro.
Bello esteticamente, e sì, con un sonoro da favola, sia per l’uso delle musiche che per gli effetti.
Ne è valsa la pena di aspettare così tanto.
Ma la canzone?! Tie me cangaroo down, sport!!