Tanti Auguri: 20 anni di King Kong

Regia – Peter Jackson (2005)

L’ultimo compleanno del 2025 è dedicato a uno dei film di Peter Jackson che amo di più. Non il mio preferito (di quello ne parliamo circa a metà 2026), ma buon secondo in una carriera che, sempre a parere di questa stronza che scrive, si è spenta proprio in seguito a King Kong, come se Jackson avesse dato tutto e fosse precipitato in un vuoto creativo che dura tutt’ora. È vero che nel 2018 ha firmato uno dei documentari migliori del secolo, ma per quanto riguarda il cinema di finzione, il regista neozelandese è fermo qui.
Jackson è ossessionato da King Kong da quando lo vede per la prima volta a nove anni in tv; a dodici anni, cerca di rifarlo in super 8 a casa sua, usando della gomma e il cappotto di pelliccia della madre, ma è costretto a rinunciare; nel 1992 gira Braindead e la terra d’origine dell’epidemia è Skull Island; quando i capoccia della Universal restano impressionati dai giornalieri di The Frighteners, propongono a Jackson prima Il Mostro della Laguna Nera (ricordate la storia della Universal che, periodicamente, ripropone i suoi mostri classici?) e, quando lui rifiuta, passano a King Kong, che non era di loro proprietà, ma era diventato di pubblico dominio e aspettava soltanto che qualcuno ci mettesse le mani sopra. 
Siamo nel 1997 quando un King Kong molto diverso da quello che poi avremmo visto in sala nel 2005, entra in pre-produzione e poi si arena, perché alla Universal pensano ci siano troppi film in fase di sviluppo con scimmie e mostri giganti. 
Jackson passa allora a un piccolo progetto indipendente chiamato Il Signore degli Anelli. 

Dopo il successo planetario (ma secondo me lo hanno sentito pure nello spazio) della trilogia, Jackson può fare quello che vuole, è la gallina dalle uova d’oro di Hollywood e, per usare un linguaggio scurrile, ma che piacerebbe molto al Carl Denham di Jack Black, tiene ogni singolo produttore per le palle. La Universal torna alla carica, dà carta bianca al regista per fare questo maledetto King Kong, che diventa in breve il film più costoso di tutti i tempi, partendo con un budget partito da 150 milioni e lievitato a oltre 200 a fine lavorazione. Jackson si accolla il rischio di dover pagare una grossa penale, nel caso in cui il film incassi meno di 175 milioni, ma per il resto, gode di assoluta libertà creativa, e si vede, nel bene e nel male.
King Kong non è soltanto il remake di un film che ha definito il monster movie così come noi lo conosciamo, ma è anche un omaggio a tutto il cinema americano degli anni ’30 e ’40, tanto che, a rivederlo oggi, appare come uno degli ultimi, se non proprio l’ultimo, grande kolossal hollywoodiano. Non un blockbuster, sia chiaro, un film che ha il sapore e le intenzioni della vecchia Hollywood, quella che illuminava i volti delle attrici in maniera tale che ci fossero sempre le stelle dentro ai loro occhi, quella dei tramonti impossibili, quella delle avventure giganti, dei personaggi così grandi che uscivano fuori dallo schermo, del rifiuto programmatico di ogni forma di realismo.

In King Kong è tutto enorme, non soltanto il primate protagonista, è un film così grosso che a stento lo sguardo riesce a contenerlo tutto; ogni sequenza è un dispiego di mezzi, risorse, capacità, visione che basterebbero per un film intero, ogni situazione ha una durata fuori misura, e se in parte ne risente una struttura appesantita da un minutaggio che, nella versione estesa, sfiora le quattro ore, si ha tutto il tempo di godersi un Peter Jackson scatenato, senza freni, tutto preso a raccontare questa storia dalla scala e dalle proporzioni titaniche. 
Senza dover rubare le attrezzature come fa Denham nel film, e con il consenso entusiastico della Universal, Jackson ha agito da pazzo megalomane e ci ha regalato un esemplare unico, la vera ottava meraviglia del mondo. Non sempre questo porta alla realizzazione di un bel film, e ho la certezza che ci sia una grande fetta di pubblico che non apprezza King Kong proprio in virtù della sua ambizione che galoppa libera, senza che ci sia qualcuno a porgli dei limiti. 
Ma io credo che il risultato finale, per quanto abbia i suoi difetti di ritmo e di struttura un po’ troppo carica e dispersiva, sia un qualcosa di unico, un monumento al potere creativo del cinema. 

L’atteggiamento nei confronti del film del 1933 è rispettoso, ma non reverenziale. Ne ripercorre più o meno ogni tappa, aggiungendo elementi che la tecnologia dell’epoca impediva di mettere in pratica, e modificando le caratteristiche di parecchi personaggi: Denham qui è un regista sull’orlo del fallimento e un imbroglione senza un soldo che si gioca tutto in un’impresa disperata; Ann (Naomi Watts), ha con Kong (Andy Serkis, qui in un doppio ruolo) un rapporto molto diverso dalla sua controparte anni ’30. Ovvio che strilli a pieni polmoni per gran parte del film, perché è la natura della storia e il genere cui appartiene a richiederlo, ma nel 2005 eravamo già in una fase in cui i film dalla parte del mostro stavano iniziando a diventare la norma, ed è del tutto coerente con il cinema del XXI secolo che la vera storia d’amore del film non sia quella, poco interessante ed estremamente banale, tra Ann e Driscoll (Adrien Brody), ma tra Ann e Kong. Sorprende che Jackson se la sia portata a casa con questa efficacia e con questo carico emotivo, e qui lo so che mi attirerò le ire di qualcuno, ma la scena a New York sul ghiaccio è la mia preferita di tutto il film. 
Come spesso fanno i remake ben congegnati, King Kong rende espliciti molti dei sotto-testi presenti nel film del 1933, e si può anche permettere di non caricare sulle spalle di Kong tutto il carico di terrore, perché Kong, pur essendo una bestia che ti spezza in due se poco poco gli gira storto, non è qui per suscitare orrore e repulsione. 

Jackson, che nasce regista horror, e lo rimane anche quando horror non fa, si diverte a riempire l’isola di mostri, alcuni presi di peso dal film originale e portati in vita con degli effetti speciali che, visti oggi, sono superiori al 90% della CGI di casa Marvel e affini. L’unica sequenza che soffre un po’ i vent’anni passati è quella dello scontro di Kong con i V-Rex, che resta lo stesso altamente spettacolare, ma dopo gli ultimi Jurassic World e il monster-verse, mostra lievemente la corda. Poco importa, perché è il pathos con cui Jackson la mette in scena che conta, l’urgenza, l’idea di farci assistere a gran parte della lotta dal punto di vista terrorizzato di Ann. 
C’è poi la sequenza degli insetti e dei vermoni che è horror puro, e anche lì, mi domando quanto l’avrebbero addomesticata in sede di montaggio se Jackson non avesse avuto tutto quel potere; King Kong è un film di bestiacce immonde, di crani fracassati, ossa rotte, gente divorata viva da creature acquatiche con zanne lunghe quanto un palo della luce, di insetti usciti da qualche incubo atomico degli anni ’50 e di corpi che volano da una parte all’atra, spappolati contro gli scogli aguzzi di Skull Island. Non ci devono affatto stupire le frequenti virate di Jackson nei territori del cinema dell’orrore, e non solo perché le sue origini risiedono lì: King Kong fa parte di un pugno di film che hanno fondato il cinema dell’orrore, ed è giusto, sacrosanto che questa fondazione non venga dimenticata.

Doveva essere Fay Wray a pronunciare le ultime battute del film: l’attrice, dopo un iniziale rifiuto, si era lasciata convincere da Peter Jackson ad apparire in un piccolo cammeo proprio nell’ultima inquadratura. Purtroppo, è morta nel 2004, poco prima che iniziassero le riprese, e a dire: “It wasn’t the airplanes. It was beauty killed the beast” è stato Jack Black: più fedele all’originale, ma di impatto minore.
Il senso ultimo di entrambi i film, quello del 1933 e quello del 2005, tuttavia non cambia: Jackson compie un’operazione filologica e, allo stesso tempo, dona al suo Kong uno strato di umanità in più, vuoi perché con l’animazione del XXI secolo ha potuto dare vita a un gorilla molto espressivo, vuoi perché quel bambino che piangeva davanti alla tv a nove anni ha potuto fare in modo che Kong fosse in parte ricambiato da Ann, e che lei soffrisse veramente per la sua morte in cima all’Empire State Building.
Visto a vent’anni di distanza (e a circa dieci dalla mia ultima volta), King Kong, come il gorilla protagonista, sembra una reliquia di un mondo perduto o il ricordo del crepuscolo di un’era. 
Non è una questione di bugdet: dopo King Kong i costi dei film sono addirittura aumentati; non è una questione di mezzi o di effetti speciali. È una questione di scala, di grandezza, di voracità. 
L’unico che ancora ci prova, a fare questo tipo di cinema, è James Cameron, e facciamo in modo che venga preservato a ogni costo. Gli altri si sono tutti rimpiccioliti. 

13 commenti

  1. Avatar di Frank La Strega

    Solo per dire… filmone “mostruoso”.

    Sono di fretta e non ho letto il post, poi ci ritorno, ma qui c’è il cuore!💓

    Besos!😘

    1. Avatar di Lucia

      Giuro che ti ho pensato!

  2. Avatar di Marco INAUDI
    Marco INAUDI · · Rispondi

    Ciao Lucia. Visto in sala all’ epoca, piaciuto molto ma non conquistato. Forse dovrei rivederlo. Io purtroppo sono stato conquistato dalla versione di John Guillermin del 76, visto quando avevo 10-11 anni, con una magnetica Jessica Lange e ricordo le lacrime brucianti che mi sono scese e la mia frase alla fine del film è stata: “Ma non aveva fatto nulla di male”. Quindi per questo sono più affezionato a un film che, con il tempo, ho scoperto non essere molto apprezzato dalla critica, ma io quelle poche volte che l’ho rivedo, torno ad essere quel bimbo che non si capacita della cattiveria umana. Un’ abbraccio. Ciao.

    1. Avatar di Lucia

      Io non sono una delle detrattrici del King Kong di De Laurentiis: ha i suoi difetti, e secondo me, funziona più nella seconda parte che in quella ambientata a Skull Island, però ci sono lo stesso affezionata, perché lo vedevo anche io da bambina in televisione

  3. Avatar di Giuseppe

    Chissà, se a qualcuno venisse in mente di ingaggiare Jackson nell’attuale monster-verse forse lo potremmo rivedere all’opera con lo smalto di un tempo. Ad ogni modo, buon compleanno al suo “giovane” King Kong, appena vent’anni 😉 Pur se anch’io rimango più legato a quello del ’76 (e lo scimmione di Rambaldi a grandezza naturale che, quando ero appena decenne, mi ero trovato davanti dentro il tendone del tour promozionale, è a tutt’oggi un qualcosa di indimenticabile)…

    1. Avatar di Lucia

      Rambaldi aveva fatto un lavoro incredibile, e c’erano anche delle discrete dosi di gore in quel film.

  4. Avatar di Andrea Bini
    Andrea Bini · · Rispondi

    A quanto pare sono l’unico detrattore del Kong di Jackson: interminabile e noioso con troppa roba inutile (tutta la parte “Jurassic park”). Anche il cast in parte sbagliatissimo: vuoi fare un omaggio al vecchio cinema e prendi Jack Black che recita e fa “yessss” saltando manco fosse al Saturday Night Show. Adrien Brody con quell’aria da cane bastonato boh. Naomy Watts la porta a casa ma insomma… aridatece Jessica Lange e Jeff Bridges!

    1. Avatar di Lucia

      Ma non che sei l’unico. Proprio ieri parlavo con un mio amico e mi diceva esattamente quello che mi scrivi tu adesso. Non esistono film con un’unanimità di consensi, men che meno questo King Kong.

  5. Avatar di cinefilopigro

    Per quanto mi riguarda questo rimane uno dei migliori film d’intrattenimento che il cinema americano ha sfornato. E’ spettacolare, audace, non tratta il puibblico come una manica di scemi, si poggia su di una sceneggiatura ben oliata e una caratterizzazione dei personaggi più che riuscita. Tecnicamente ineccepibile, sia sul fronte fotografico che musiche, come pure montaggio. Le interpretazioni ci sono tutte e funzionano. La durata è extra large, ma nonostante questo la storia è avvincente e non molla mai. Io quando non le vedo da un pezzo mi sale la voglia di un giro a skull island e questa è la prova di quanto efficace sia il film. Applausi e ancora appluasi.

  6. Avatar di Sergio

    Anche io non sono un fan del Kong di Jackson, lo trovo un pò bulimico e eccessivo. Gli effetti speciali non sono poi un granchè, già allora mi erano sembrati stranamente di basso livello, in particolare l’arrivo di notte presso le coste di Skull Island. Elefantiaca (!) la fuga con i brontosauri… le scene in città invece il top. Come Coppola ultimamente, il buon Peter ha voluto strafare e ha sbolaccato

  7. Avatar di Frank La Strega

    Ho visto King Kong molto tempo dopo la sua uscita. Con Il Signore Degli Anelli avevo perso Jackson, con cui ero cresciuto fin da Bad Brain e che mi aveva fatto divertire ed emozionare, poi, con Creature del Cielo (wow!), The Frighteners (wow!). Ricordo anche un finto documentario meraviglioso che avevo registrato negli anni 90 da Fuori Orario…

    Jackson riusciva a mettere insieme (in film diversi) dei linguaggi, dei toni, dei personaggi… che sentivo miei. Con i film fantasy mi ero completamente perso (non è minimamente una critica, solo una questione mia di immedesimazione. Tra l’altro adoro alcuni film fantasy, ma non quelli di Jackson: magari dovrei rivederli ma non fa per me nemmeno il libro) quindi ho snobbato pure King Kong.

    Madornale errore (cit.). Non saprei cosa aggiungere senza diventare fluviale. In questo film non manca nulla per divertirsi, spaventarsi, emozionarsi e riflettere con tante sfumature diverse. Potrei dire che pur essendo pieno, magniloquente, abbagliante, “mostruoso”, gigante, strabordante, esondante… l’ho vissuto paradossalmente (o forse no) come una storia sui confini e sui limiti, su come tracciarli e/o superarli nel modo giusto o nel modo sbagliato. Nel modo che riconosce davvero l’altro (qualunque cosa sia) o che lo usa e sfrutta. Dal piccolo al grande. Non che anche il “giusto” sia mai facile o prevedibile fino in fondo…

    Meraviglioso.🤗

    Besos😘

  8. Avatar di Austin Dove

    che ansia la parte delle sanguisughe giganti

    cmq, sono sempre un po’ contrario a spendere tali budget per un film e che essi siano fondamentali per la sua produzione: molti registi hanno dimostrato che si può fare grande cinema anche senza

Scrivi una risposta a Austin Dove Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.