Shelby Oaks

Regia – Chris Stuckmann (2025)

C’è sempre un atteggiamento vagamente altezzoso intorno a progetti cinematografici sviluppati da youtuber, soprattutto quando questi film partono dal basso e poi arrivano a ottenere una distribuzione ampia. È il caso di Shelby Oaks, nato da una campagna di crowdfunding di enorme successo nel 2021, con una lunga produzione fatta di tante pause dovute a diversi fattori (mancanza di fondi, scioperi, irreperibilità degli attori per la post), e poi rimaneggiato dopo che Flanagan ne è diventato produttore esecutivo con la sua Intrepid Pictures. Il passaggio alla Intrepid ha fatto entrare in scena la Neon come distributore, ed ecco che Shelby Oaks è diventato quasi un’opera mainstream.
Il percorso del film, per quanto accidentato, è piuttosto comune nel cinema indipendente americano: la A24 non ha, per esempio, prodotto Talk to Me, si è limitata ad acquisirlo a cose fatte e a piazzarci il suo marchio scintillante sopra.
Nonostante il nome di Flanagan e la presenza della Neon, Shelby Oaks è al 90% un film autofinanziato a basso budget, realizzato a tappe nel corso degli anni, voluto a tutti i costi, con enormi sforzi da parte di tutti quelli che ci hanno lavorato.
È pure un ottimo film dell’orrore, ma lo state trattando malissimo, e io sinceramente non vi capisco più.

Una troupe sta realizzando un documentario sul mistero legato a un gruppo di youtuber, i Paranormal Paranoids: mentre stavano facendo dei video nella cittadina fantasma di Shelby Oaks, i quattro investigatori del paranormale erano scomparsi. La polizia aveva rinvenuto i corpi di tre di loro, mentre di Riley, il volto di punta del canale, si sono perse le tracce per diciassette anni.
A essere intervistata per il documentario è Mia, sorella maggiore di Riley, convinta da sempre che la ragazza non sia morta. Mia ha dedicato tutto il suo tempo e le sue energie cercando risposte su sua sorella, e questa ricerca ha cannibalizzato tutto lo spazio della sua vita. Come succede spesso a chi si assume il compito ingrato di fratello maggiore, Mia ha smesso di esistere per se stessa e si è concentrata su Riley, o meglio, sulla sua assenza, su quel vuoto e quel silenzio lunghi diciassette anni.
Durante le riprese, si presenta un uomo alla porta di Mia e, dopo averle detto una frase all’apparenza incomprensibile, si spara in testa. 
A quel punto, inizia la sequenza titoli e Shelby Oaks cambia linguaggio, non più mockumentary, ma cinema tradizionale, perché l’indagine su Riley smette di essere una faccenda pubblica e diventa il viaggio, intimo e privato, di Mia. 

Stuckmann ricorre spesso, nel corso del film, alla tecnica del found footage, nel senso che Mia dovrà analizzare più volte dei filmati per proseguire nella ricerca di sua sorella, ma si tratta sempre di immagini diegetiche, e lo stesso falso documentario che stavamo credendo di guardare nei primi minuti, acquista a sua volta una valenza diegetica, fa parte del tessuto narrativo del film, non è il film. 
La scelta di avvalersi di diversi formati, di diversi media e di diverse modalità di racconto è esplicativa della natura di pastiche horror che Stuckmann ha voluto dare al suo esordio dietro la macchina da presa: da bravo critico cinematografico (uno dei migliori su YouTube), il regista conosce come il palmo della sua mano i diversi generi che vanno a comporre lo splendido mosaico del cinema dell’orrore, e decide di prendere un pezzetto quasi da ognuno di loro. 
È un’operazione in parte sofisticata, in parte leggermente artefatta, che è stata la causa di gran parte delle critiche negative ricevute da Shelby Oaks. Derivativo, lo hanno chiamato, o anche pieno di cliché. 
È tutto vero, per carità, e può anche non piacere, ma è anche tutto studiato e voluto con precisione millimetrica da chi il film lo ha realizzato, non per mancanza di idee: l’idea stessa del film è questa, tanto che lo si potrebbe quasi considerare uno studio sul genere nel XXI secolo, della relazione tra il mezzo cinematografico e i media considerati “minori”.

Quelli che noi definiamo “cliché” rappresentano l’ossatura dell’horror, che lo vogliamo o no. Il genere, in quanto tale, vive di codici prestabiliti, si poggia su di essi per camminare. Gli horror migliori sono quelli che sanno utilizzare questi codici con più consapevolezza e maestria, e poi ci sono i capolavori che riescono addirittura a scardinarli o a darti l’illusione che non servano. Ma in realtà, anche nei film considerati rivoluzionari, la struttura a codice è sempre presente. In Shelby Oaks è soltanto presentata in modo aperto, sfacciato, nella forma, appunto, del pastiche.
Forse Stuckmann non possiede ancora la maturità e l’abilità di portarsi a casa un lavoro così teorico riuscendo pure a farlo essere elegante e invisibile, ma ciò che ha fatto con Shelby Oaks non è poi così distante da quello che ha fatto Flanagan nel 2011 con Absentia, e non è un caso se proprio Flanagan ha visto del potenziale in questo piccolo progetto e ha voluto farlo crescere un po’.
Non è soltanto un fatto di temi, sui quali ora torniamo, è proprio un discorso legato allo stile, alla riflessione sui meccanismi della paura, ai diversi tratti che contraddistinguono questo o quello scaffale dell’horror soprannaturale: Shelby Oaks è in parte horror demoniaco, in parte folk horror, in parte ghost story e in parte classica indagine sul paranormale, e Stuckmann fa convivere in armonia tutte queste componenti, in una storia dalla forte coerenza narrativa, e pure con un profondo e molto sentito gancio emotivo. 

Se fosse soltanto un freddo e cerebrale discorso sul genere, non credo che mi troverei qui a difender Shelby Oaks dalla crudeltà con cui è stato accolto. A parte la mia opinione, che conta poco e niente, non credo che Flanagan se lo sarebbe proprio filato. 
Stuckmann non ha alcun timore di apparire sentimentale e ci racconta questa storia straziante di amore tra sorelle che, devo ammetterlo, mi ha toccato e mi ha scosso. 
Lo spazio emotivo in cui Mia esiste è del tutto occupato dal ricordo di Riley, la sua intera esistenza è messa in un angolo per il bene di Riley. Se c’è un termine con cui descrivere Mia, quello è sacrificio: sacrificio di sé, del suo rapporto con il marito, del suo desiderio represso di maternità, di tutto ciò che non sia riportare a casa Riley. 
Ancora peggio: Mia, anche se il volto di Riley è diventato, nel corso degli anni, una presenza virale, è rimasta l’unica testimone della sua vita, quella vera, non filtrata attraverso i contenuti che Riley ha pubblicato o attraverso l’analisi ossessiva fotogramma per fotogramma delle sue ultime immagini. È questo ulteriore carico di testimonianza che rende Mia un personaggio davvero tragico, e la partecipazione con cui Stuckmann, e quell’attrice immensa di Sullivan, la mettono in scena, è il vero motivo per cui dovreste guardare Shelby Oaks.

Shelby Oaks è un film così denso e così pieno che credo di averne appena grattato la superficie. Ha delle cose che non funzionano: si vede che è un’opera prima, che Stuckmann dà il suo meglio nella sezione mockumentary, mentre ogni tanto smarrisce il ritmo in quella tradizionale; forse gli pesano addosso dei minuti di troppo, nonostante duri appena un’ora e mezza, e la sua natura di pastiche può infastidire e indisporre quelli che vogliono l’originalità a tutti i costi (ma poi incensano Together, e vabbè), ed è vero che in alcune scene si adagia un po’ troppo sullo spaventacchio facile. Ma alla fine pure ‘sti cazzi, e scusate il francese.
La prima mezz’ora e l’ultimo quarto d’ora sono la dimostrazione pratica di quanto Stuckmann conosca a fondo ogni sistema e ogni espediente per fare paura. Ho avuto difficoltà a dormire, perché ho una finestra alle spalle, e se avete visto il film, sapete ciò di cui sto parlando.
Dategli una possibilità, ve ne prego. Non lo snobbate.

4 commenti

  1. Avatar di Marco INAUDI
    Marco INAUDI · · Rispondi

    Ciao Lucia visto e piaciuto molto. Ottimo pastiche: ci ho trovato “Paranormal Activity”, ovviamente “Blair Witch Project”, una spruzzata di “Rosemary’s Baby”, un pochino di “Hereditary”, ma tutto frullato benissimo e con personalità. Ottima atmosfera, brave attrici, forse avrei fatto vedere meno il demone perché quello che si vede meno terrorizza di più, ma parere mio. Assolutamente consigliato anche da me, che conto ancora meno di te. Ciao.

    1. Avatar di Lucia

      Sì, su questo sono d’accordo anche io: c’è un leggero abuso di quello e qualche jump scare di troppo, ma alla fine va benissimo anche così. Vediamo cosa fa in futuro

  2. Avatar di Giuseppe

    Signora mia, può stare tranquilla, che Stuckmann io avevo già deciso di non snobbarlo 😉

  3. Avatar di Blissard

    L’ho un po’ maltrattato, faccio mea culpa. Penso che il regista sia talentuoso e alcune cose mi sono piaciute, ma non ho apprezzato il modo in cui ha accumulato elementi disparati un po’ alla rinfusa, così come l’ho trovato ancora modesto nella gestione del ritmo. Il finale prova a mettere una pezza su alcuni momenti francamente rivedibili (la visita notturna alle carceri abbandonate…), ma facendolo anestetizza la carica emotiva derivante dalla volontà della sorella di non arrendersi e continuare la ricerca (non dico altro per non dovere ricorrere a spoiler)

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.