10 anni di Zia Tibia: Spontaneous Combustion

Regia – Tobe Hooper (1990)

In chiusura dell’annuale viaggio nel variegato universo dei filmacci, torniamo a Tobe Hooper; non è estate senza di lui e senza un pezzo di una delle carriere più bizzarre della storia del cinema dell’orrore, che è già parecchio stramba di suo.
Che Hooper sia stato un regista discontinuo e abbia fatto delle scelte discutibili, credo sia universalmente riconosciuto; un po’ meno che, all’interno di queste scelte discutibili, ci sia sempre qualcosa su cui vale la pena soffermarsi, anche nei film più sgangherati.
Spontaneous Combustion (in italiano, I Figli del Fuoco, sempre perché noi valiamo) è il film immediatamente successivo al sequel di Non Aprite quella Porta, che aveva segnato la fine del contratto stipulato dal regista con la Cannon. In mezzo ci sono la bellezza di quattro anni di stop e un ulteriore abbassamento delle aspettative per l’uomo che, nel 1974, aveva cambiato per sempre la faccia del genere. Arrivati al 1989, il nome di Hooper non è più sinonimo di cinema radicale e rivoluzionario, ma di B movie fatti con pochi soldi e neanche troppa buona volontà. Lo stesso Non Aprite quella Porta 2 (che io, imperterrita, continuo a guardare più volentieri del primo) ha suscitato una certa perplessità in giro, anche se al botteghino ha avuto dei risultati di tutto rispetto. Ma i bei tempi di Poltergeist sono lontani e, da questo momento in poi, il regista fatica a trovare progetti interessanti, lavora sempre meno e finisce per languire in un limbo dal quale non uscirà mai davvero.

 Spontaneous Combustion, com’è ovvio, risente di questo declino, è un film crepuscolare, ancora non completamente sguaiato come i successivi The Mangler e Crocodile, ma già abbastanza rassegnato al suo destino. Ricordiamo di sfuggita che Lifeforce era un film ambizioso che avrebbe dovuto, sulla carta, proiettare la Cannon nel dorato mondo della serie A.
Ecco, qui l’ambizione si è polverizzata; manca completamente l’intento di fare il grande film di fantascienza e ci si accoda a un filone molto in voga qualche anno prima, ma già in dirittura d’arrivo, quello dei poteri mentali con conseguenze apocalittiche.
Sam (Brad Dourif) è un insegnante di provincia che non sa quasi nulla del suo passato: orfano di entrambi i genitori, è cresciuto grazie alla generosità di un miliardario che lo ha preso sotto la propria ala quando era molto piccolo. Ora vorrebbe condurre una vita tranquilla insieme alla sua fidanzata Lisa, ma ci sono altri piani in serbo per lui. Sam, il cui vero nome è David, è infatti figlio di due volontari di un esperimento nucleare condotto nel 1955, ed è, a sua insaputa, un’arma di distruzione di massa. Lui se ne accorge perché comincia a prendere fuoco quando è stressato o arrabbiato, ma ci sono altre persone a conoscenza di tutto, persone che lo controllano sin dal giorno della sua nascita e che vogliono usarlo o ucciderlo, se dovesse diventare ingestibile.

Tobe Hooper fa parte di una generazione di registi cresciuta negli anni ’50 e che su quel periodo storico hanno costruito la loro mitologia cinematografica; dico spesso che l’afflato nostalgico con cui i vari Spielberg e Carpenter guardavano agli anni ’50 è lo stesso con cui oggi si guarda agli anni ’80. Hooper tuttavia, non ha alcuno sguardo nostalgico su quel periodo storico: gli anni ’50 da lui raccontati in Spontaneous Combustion sono un incubo distopico, il perfetto prologo degli anni ’80 che lui ha sempre descritto con abbondanti dosi di disprezzo.
Hooper tira un filo che collega direttamente l’era atomica della nascita del suo protagonista con gli ultimi rantoli di quella reganiana in cui il film si svolge.
In qualunque contesto storico ci si trovi, la società americana è quella che delega la sopravvivenza dei propri cittadini a delle avide e sempre corrotte corporazioni, ma se i genitori di David/Sam sapevano, bene o male, a cosa si stavano sottoponendo, lui è del tutto inconsapevole di essere soltanto uno strumento, uno scherzo della natura fabbricato con l’intento di uccidere in maniera pulita e insospettabile.
Presentati al pubblico come “la prima famiglia nucleare d’America”, i genitori di David/Sam vengono sacrificati senza neppure voltarsi un secondo indietro. La loro morte, atroce, dolorosissima, diventa il trampolino di lancio di un programma atto ad avere al proprio servizio delle perfette macchine omicide. Non ci sono legami sacri o affetti, nell’ingranaggio capitalista, soltanto utensili.

È un messaggio gridato e sottolineato con l’evidenziatore giallo fosforescente? Certo che sì, siamo in un film di serie B di fine anni ’80, diretto da un regista con la carriera compromessa e realizzato da una produzione che voleva ripetere i successi di Scanners, L’Incendiaria e varie ed eventuali.
Hooper tiene in pieni una baracca pericolante e sbilenca, una sceneggiatura, da lui co-firmata, rimaneggiata decine di volte, anche in corso d’opera, un film che non ha mai avuto una direzione precisa, che non ha mai saputo bene cosa doveva essere.
Dopo un incipit che non mi vergogno di definire grandioso, Spontaneous Combustion va in confusione e diventa difficile stargli dietro: ci sono dei passaggi di trama che risultano incomprensibili, e con ogni probabilità sono dovuti a modifiche e rabberciamenti durante la lavorazione; ci sono dei bruschi cambi di tono, per cui a un certo punto non si sa bene come reagire, se si deve ridere, ci si deve spaventare, si deve piangere.
Dourif è gigantesco, come al solito, ma spesso tutte le sue rabbia e disperazione cadono nel vuoto cosmico di un film che non è in grado di dar loro un senso.
Hooper non ha molte colpe, sia chiaro: Dourif ha dichiarato più volte che, nelle intenzioni, il film doveva essere molto diverso dal risultato finale. Ma ognuno lavora con ciò che ha, e qui, a parte la lucidissima visione politica del regista, e la bravura del suo attore, non c’era moltissimo.

Spontaneous Combustion funziona a tratti, ma diverte sempre, se non ci si fanno troppe domande sull’intreccio cospirativo e ci si lascia trasportare dalla tipica ironia macabra e beffarda di Hooper; se si colgono tutti i piccoli tocchi weird che lui ha sempre inserito nei suoi film, come i complementi d’arredo in casa di Lisa, o la buffa malvagità dei cattivi.
Proprio come l’incipit, ha un finale eccessivo, magniloquente, melodrammatico, tenuto in piedi dalla regia di Hooper e appesantito da effetti speciali non proprio all’altezza della situazione. Però questo ci interessa il giusto: il sacrificio che porta all’annientamento in nome dell’amore è raccontato con un lirismo che soltanto quel matto di Hooper poteva inserire in un film del genere, e noi siamo felici, perché queste opere sbilanciate, tristi, incollate con sputi e nastri adesivi, sono il motivo per cui ci troviamo qui da 10 anni ogni estate, sono la linfa vitale della nostra passione.
Zia Tibia vi saluta, se ne torna nella cripta e vi dà appuntamento all’estate prossima. Andiamo incontro a un autunno horror scoppiettante, per tanti motivi. Restate con me.

5 commenti

  1. Avatar di Luc@

    “Quel motel vicino alla palude” scoperto per caso su una TV locale in una tarda serata estiva mi trasformò in un fan boy del cinema horror. Anche io preferisco il sequel di “Non aprite quella porta” , lo trovo irresistibile nel suo delirio.

    1. Avatar di Lucia

      L’anno scorso sono stata in sala a rivedere Non aprite quella porta per i suoi 50 anni. È ancora di una potenza che ti rade al suolo. Esci dal cinema polverizzato.
      Ciò detto, il seguito è divertentissimo, completamente pazzo e io lo amo

      1. Avatar di Luc@

        T. H. agli esordi era il più sfrenato ed estremo , del gruppetto !

  2. Avatar di tommaso
    tommaso · ·

    La sua variante hard discount di Scanners, anti-militarista e anti-nucleare (girato l’anno dopo Chernobyl), con quella gran faccia da matto di Brad Dourif che sembra un Tom Hanks sotto acidi. Nella sua ricercata rozzezza e’ un piccolo film tosto e arrabbiato, che piu’ che come fantascienza-horror funziona come un noir tutto matto, col calvario di un protagonista che distrugge tutti autodistruggendosi. Notare che la peggior incarnazione del male per Hooper sembrano essere i vecchi in sedia a rotelle.

    Io del buon zio Hooper consiglio anche episodi misconosciuti come il twinpeaks/burtonfink-iano The Apartment Complex (un film-tv anni 90 che più 90s non si può) e soprattutto il quasi sempre ignorato esordio mega-hippie Eggshell, un trip su pellicola ambientato in una casa-comune di Austin (probabilmente del tutto casualmente, ma comunque del tutto sinistramente, simile a quella di Non aprite quella porta), un inclassificabile semi-documentario psichedelico in cui Hooper cerca (e per me riesce) ad afferrare qualcosa di quei Strange Days attraverso un approccio puramente poetico ed emotivo. Adoro “The Trip” di Corman, ma ammetto che, negli anni in cui potevo solo sognare di vederlo, il film che mi ero immaginato era piu’ simile al trip (appunto) su pellicola rappresentato da Eggshell che non alla sgangherata sequenza di situazioni camp che poi si rivelo’ essere il film di Corman.

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Nella tua rece hai nominato L’incendiaria, vedo. In effetti, al netto di tutti (e tanti) problemi che lo affliggono, Spontaneous Combustion l’ho sempre considerato come una sorta di versione Hooperiana proprio de L’incendiaria (in salsa anti-atomica) 😉