Tanti auguri: 80 anni di The Body Snatcher

Regia – Robert Wise (1945)

Complehorror anomalo questo mese: credo infatti sia la prima volta che celebriamo un ottantesimo, ma come fai a non festeggiare la migliore interpretazione di Karloff, diretto da Wise, in una produzione di Val Lewton, nonché ultima volta in cui lui e Lugosi hanno recitato insieme?
Era poi troppo tempo che qui non si parlava della RKO, responsabile della nascita di quelli che oggi chiamiamo horror d’atmosfera e horror psicologico. Mentre la Universal faceva quattrini a palate con i suoi mostri classici, Val Lewton procedeva per sottigliezze, andava a scavare nei recessi più nascosti dell’animo umano, ne esponeva i tabù. A livello estetico, il cinema di Lewton si sviluppa in contemporanea con il noir classico, usa il suo stesso linguaggio e lo applica all’horror con risultati sbalorditivi.
Lewton riesce a capire che il sistema Universal sta entrando in crisi: gli anni ’40 sono quelli degli infiniti seguiti con incontri e scontri tra mostri, e non è un caso se un attore della statura di Karloff rescinde il remunerativo contratto che lo legava alla Universal e se ne va a lavorare per la RKO. L’attore girerà tre film sotto l’egida di Lewton, prima che il produttore si ritrovi disoccupato nel 1947; The Body Snatcher è il primo. Seguiranno Isle of the Dead e Bedlam, entrambi diretti da Robson.

Robert Wise esordisce nel 1944, sostituendo il regista di The Curse of the Cat People, poi dirige Mademoiselle Fifi, sempre per la RKO, e infine gli viene affidato questo adattamento di un racconto di Stevenson (Il Trafugatore di Salme), rimaneggiato per espandere il ruolo di Karloff, che era la vera star del progetto. Si tratta in effetti del primo film di Lewton che può vantare la presenza di un cast di peso; Lugosi viene aggiunto in corsa, inventandosi un personaggio apposta per lui, perché mettere insieme i due volti più famosi del cinema del terrore era un’occasione che non si poteva sprecare in alcun modo. Ma, anche quando Lewton si muoveva per fini esclusivamente commerciali, lo faceva a modo suo: l’incontro tra Lugosi e Karloff dà vita a una delle sequenze migliori del film.
The Body Snatcher è un puro distillato del cinema di Lewton, che qui non solo produce, ma scrive anche la sceneggiatura sotto pseudonimo; tuttavia, è importante anche sottolineare che qui comincia sul serio la carriera di uno dei registi più importanti e versatili della Hollywood classica, che ha dato un apporto fondamentale a ogni genere cinematografico, dall’horror (The Haunting) alla fantascienza (The Day the Earth Stood Still), al musical (West Side Story).
Tutto questo per dire che stiamo parlando di un fondamentale, per i nomi coinvolti e per il contributo che The Body Snatcher ha dato alla formazione della grammatica dell’horror.

La trama del breve racconto di Stevenson rimane pressoché invariata, con i dovuti aggiustamenti: ambientato a Edimburgo nel 1831, il film racconta di un giovane studente di medicina squattrinato, Fettes, che viene assunto dal suo professore, il chirurgo MacFarlane (interpretato dal cattivo per antonomasia Henry Daniell), per fargli da assistente. Lo sprovveduto non sa che il lavoro da assistente implica avere a che fare con il terribile cocchiere Gray (il nostro Boris), colui che procura i cadaveri da sezionare al corso di anatomia tenuto dal dottore. La storia si svolge pochi anni dopo i fattacci di Burke e Hare, quindi l’attenzione sui tombaroli è molto alta, ma Gray è esperto e furbo e ha sviluppato un sistema di collaborazione e dipendenza reciproca con MacFarlane che pare funzionare alla perfezione. 
La differenza maggiore tra racconto e film è che Stevenson aveva scritto una storia gotica dal finale apertamente soprannaturale; Lewton la trasforma in un horror psicologico. 
Laddove Stevenson si interrogava sul paradosso del progresso scientifico che trova la proprie radici nella morte, e di conseguenza su quanto la conoscenza dipenda, intimamente, dall’abbandono della morale comune e, infine, dell’umanità in quanto tale, Lewton e Wise, modificando di pochissimo le dinamiche interne al racconto, spostano il focus del discorso su tutt’altra questione. Di classe e di potere. Così facendo, prendono una narrazione vittoriana e la trasferiscono nel XX secolo. 

Il cuore del film è infatti la relazione tra Gray e MacFarlane; il primo, un rozzo e povero vetturino che per arrotondare si mette a disseppellire corpi (e a procurarseli con metodi ancora meno ortodossi); il secondo, un raffinato e stimatissimo medico obbligato ad avere a che fare con una creatura così inferiore a lui per l’ossessione della conoscenza. Eppure, a tenere in pugno MacFarlane è proprio Gray, è lui che comanda, è lui che decide, è lui a stabilire i termini del rapporto.
Quando MacFarlane si offre di pagarlo per sparire dalla sua vita, Gray rifiuta perché per lui è più importante esercitare potere su un uomo dal così elevato status sociale rispetto ad arricchirsi. Le scene che vedono i due personaggi interagire sono caratterizzate da una tensione costante: Karloff sfrutta la sua fisicità minacciosa recitando in maniera affabile, giocando sul contrasto tra le azioni terribili di cui si macchia nel corso del film, tra la sua natura malvagia e inumana e la falsa giovialità dei suoi modi. Fa venire i brividi ogni volta che sorride o che chiama il chirurgo con il nomingnolo Toddy. Daniell gli si oppone facendo trapelare tutta la sua meschinità dietro la maschera da grande e irreprensibile uomo di scienza, consapevole che Gray è l’unico a conoscerlo davvero, l’unico a vedere cosa c’è dietro la persona sociale che si è costruito: niente.
Entrambi, anche se diversamente per nascita ed estrazione, sono i cattivi della storia, destinati ad annientarsi a vicenda. L’uno il doppio dell’altro, messi di fronte come davanti a uno specchio. 

Wise qui fa le prove generali di The Haunting: usa le architetture degli interni come riflessi del mondo interiore dei suoi personaggi; il palazzo di MacFarlane, con la grande scalinata che conduce nello scantinato dove alloggiano i cadaveri, e quindi i segreti inconfessabili del dottore; la tana di Gray, tutta ombre a malapena scacciate negli angoli dalle candele, e la silenziosa presenza felina (una costante in tutto il cinema di Lewton), testimone di ogni delitto, di ogni passo di Gray e degli altri personaggi verso l’abisso morale. 
Ma forse il momento esteticamente più significativo del film si svolge all’esterno (che poi era un teatro di posa, ma non stiamo a sottilizzare troppo), ed è il primo degli omicidi che vediamo Gray commettere, quello della mendicante, con la carrozza che segue la giovane donna nel buio e il canto della vittima che si interrompe di colpo. Tutto in un’unica ripresa, un campo lungo che toglie il fiato e fa venire i brividi. 
C’è poi il duetto tra Lugosi e Karloff, che si conclude con la morte del primo, e rappresenta l’ultima volta in cui questi due giganti sono stati in scena insieme: la sagoma di Karloff che si fa sempre più vicina a Lugosi, le fiamme del focolare che accentuano le espressioni sui volti scavati di entrambi. Puro noir d’alta scuola. 

E poi c’è il finale, che ci fa capire per quale motivo The Body Snatcher sia stato bersagliato dalla censura dell’epoca. Non esiste niente di più allucinante dell’ultimo viaggio in carrozza di MacFarlane, considerando anche che i film di serie B della RKO avevano budget molto bassi, evitavano di girare all’aperto come la peste e si permettevano di rado effetti speciali.
Qui succede tutto lungo una strada fangosa, sotto a un diluvio che pare vomitato direttamente dall’inferno, mentre il cadavere di Gray stringe in un abbraccio mortale il suo rivale MacFarlane e lo accompagna verso la sua fine.
È una roba che non ci credi sia stata girata nel 1945, e credo sia la sequenza più apertamente e sfacciatamente horror di tutto il periodo di Lewton alla RKO. Senza rivali. 
Lewton ha sempre fatto cinema di serie A con budget e reputazione da serie B; ha inventato un certo tipo di horror che persiste anche ora, anzi, è più sulla cresta dell’onda ora di quanto non lo fosse negli anni ’40. Tra i pionieri dell’horror delle origini, è il più vicino alla sensibilità contemporanea. Ottant’anni dopo, The Body Snatcher sembra scritto l’altro ieri. 

4 commenti

  1. Avatar di alessio

    È curioso come Karloff sia protagonista di questo passaggio dal vecchio cinema in declino dei mostri della Universal – e che lui aveva rappresentato superbamente con la Creatura – a un cinema più moderno, svecchiato, e che guarda allo psicologico, attento alle atmosfere e a nuovi temi iniziato e voluto dalla Rko e Lewton. Curioso perché poco più di vent’anni dopo con Targets, attraverso un’operazione fortemente metacinematografica, Karloff ci parla di sé e di riflesso di un nostalgico cinema dell’horror ormai in declino perché superato dalla violenza della contemporaneità. Era il 1968 e il New Horror si faceva largo con prepotenza e forza rivoluzionaria sull’horror classico con La Notte dei Morti Viventi e Rosemary’s Baby.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Confesso che non mi sarebbe spiaciuto nemmeno vedere una trasposizione più fedele al racconto di Stevenson, finale compreso (che comunque Val Lewton riesce a rendere davvero allucinante, pur discostandosi da quello originale), senza nulla togliere a un capolavoro che i suoi ottant’anni li porta più che egregiamente…

  3. Avatar di loscalzo1979

    Film stupendo, il rapporto fra Gray/McFarlane mi ha ricordato sempre quella fra Barrett/Tony ne Il Servo, non trovi?

  4. Avatar di Luc@

    Il primo vero horror visto da bambino una sera su RaiTre , qualche ciclo di Vieri Razzini se non ricordo male. Indimenticabile.