Death of a Unicorn

Regia – Alex Scharfman (2025)

In ritardo, ma arriviamo su tutto, in particolare su film maltrattati per motivi che, a mio parere, non sono propriamente corretti, perché è vero che Death of a Unicorn potrebbe sembrare una stanca variazione sul tema dell’horror come lotta di classe, o la versione un po’ ripulita e griffata A24 del risorgimento trash dell’horror fiabesco iniziato quando alcuni personaggi chiave dell’immaginario fanciullesco si sono liberati dai diritti e, di conseguenza, hanno potuto essere predati con agio.
Death of a Unicorn appartiene a entrambi questi filoni e si tratta anche di un tentativo della A24 di fare cassa dopo un paio di flop ambiziosi e costosi.
Però avessi sentito o letto una sola persona parlare di questo film per ciò che è nella sua essenza più profonda: un eco-horror.
Insomma, se ha sicuramente qualche debito nei confronti di Ready or Not e se fa un’operazione quasi da Asylum al contrario, ovvero entra in un settore da Z movie portando quel minimo di eleganza, Death of a Unicorn ha parecchi punti in comune con Jaws, Jurassic Park e, soprattutto, Orca. Sono bestiacce assassine, che in questo caso hanno perfettamente ragione su tutto. La loro natura fiabesca non vi dovrebbe ingannare più di tanto.

Alex Scharfman è un esordiente, dietro la macchina da presa, ma è un produttore di lunga esperienza, e almeno una volta in carriera ha lavorato con qualcuno presente nel nutrito cast del suo primo film da regista. Conosce l’horror, conosce i trucchi del mestiere, sa gestire un budget che non è bassissimo, per carità, ma neanche da scialare senza alcuna preoccupazione: 15 milioni di dollari che, se si considerano gli attori in scena, dobbiamo già dare per dimezzati a inizio riprese.
Jenna Ortega ormai è vittima di uno dei typecasting più perniciosi della storia del cinema recente, e spero se ne liberi il prima possibile, ma è sempre funzionale e ha le stigmate della final girl; Paul Rudd si diverte come lo scemo che è; a fare lo stronzo come Will Poulter sono capaci pochi, mentre Richard E. Grant e Téa Leoni neanche hai bisogno di dirigerli più di tanto. Ci sono poi un paio di bravissimi caratteristi di contorno a completare il quadro. Metti tutta questa gente chiusa in una villa faraonica per un centinaio di minuti e non è detto che ne uscirà fuori un film eccelso, ma hai almeno la garanzia di non annoiarti.
Ora, Death of a Unicorn è lontanissimo dall’essere un film eccelso, ma non è mai, e dico mai, noioso. Quando la storia si inceppa (e le capita un paio di volte), arriva il cast a sbrogliare la matassa. Se non arriva neanche il cast, c’è lo splatter che risolleva subito il ritmo. E credetemi, non mi aspettavo che un film così avesse un tale ammontare di scene gore.

La storia è quella di un padre e una figlia, Elliot e Ridley (Rudd e Ortega), invitati per un fine settimana nella magione isolata del datore di lavoro di lui. Il patriarca di una grande multinazionale farmaceutica è in fin di vita ed Elliot, suo legale, deve stare lì un paio di giorni per sbrogliare la matassa legale della successione, sperando di poterci guadagnare qualcosa. Si porta dietro la Ridley perché non sa bene dove lasciarla e per fare buona impressione da padre di famiglia sul capo, ma il rapporto tra i due è abbastanza problematico.
Lungo la strada, investono un animale. Scendono dall’auto pensando si tratti del classico cervo, e invece è un puledro con un corno in fronte. Ridley vorrebbe informare le autorità, ma Elliot non ci pensa proprio: dopo aver finito la creatura e colpi di crick in testa, la carica nel bagagliaio e ci penseranno dopo.
Peccato che l’unicorno (noi possiamo chiamarlo già così, i personaggi ci mettono qualche minuto in più a realizzare la cosa) non sia ancora morto, e non solo: il suo sangue e il suo corno sono in grado di curare qualunque tipo di malattia, dall’acne di Ridley fino ad arrivare al tumore del patriarca che guarisce in 30 secondi.
Il problema diventa subito come farci un sacco di soldi, ma i nostri avidi personaggi ignorano che in giro ci sono i genitori del puledro siano in giro, siano molto incazzati e, come gli amorevoli T-Rex di Jurassic Park 2, lo rivogliono indietro.

La mattanza che ne segue è abbastanza prevedibile e violenta; il terzetto di detestabili miliardari pronti a piegare una meraviglia del creato ai i loro biechi profitti faranno la miserabile fine che meritano; in mezzo ci sarà qualche danno collaterale, mentre padre e figlia giungeranno, sguazzando in un lago di sangue e interiora, a una sospirata riconciliazione.
Non è, non credo neppure voglia essere, originale, Death of a Unicorn; credo che le sue intenzioni siano quelle di portare l’eco-horror, nella sua diramazione animal attack, in un contesto che sia credibile in questo gretto primo quarto di secolo. Non c’è niente di più adatto di un’azienda specializzata in farmaci per dare un senso contemporaneo a un filone che è nato e prosperato negli anni ’70, e poi è stato messo da parte, per riemergere soltanto nell’ambito del cinema più indie e sconosciuto. Proprio quando poi, dell’eco-horror si avrebbe un disperato bisogno.
L’eco-horror ha sempre raccontato della ribellione della natura ai torti subiti da parte della nostra specie, ha sempre raccontato che il nostro dominio sull’ambiente che ci circonda è una tracotante illusione, e basta davvero poco perché arrivi qualcosa a rimetterci al nostro posto.

Un eco-horror ha dunque bisogno della tracotanza e dell’avidità, perché sono i motori scatenanti i ripetuti sfregi e aggressioni che compiamo nei confronti del pianeta (come se non ci vivessimo, verrebbe da dire), e ha bisogno di un fenomeno non del tutto comprensibile, ma comunque sfruttabile economicamente, per dimostrarci che no, non siamo poi così grandi come pensavamo di essere.
Ed ecco che arrivano gli unicorni, creature magiche sì, ma nel caso del film del tutto naturali e anche documentate nel corso della storia. Resta, com’è ovvio, una lieve percentuale di misticismo legata alle creature, ed è anche la parte che nel film funziona meno. Ma per il resto sono animali molto rari con proprietà curative, che non possono essere riprodotte in laboratorio.
Di conseguenza, la famosa cura per il cancro che i protagonisti scoprono potrà essere appannaggio soltanto di un limitato gruppo di persone. I ricchi, se c’era necessità di specificarlo.
Viene così meno qualunque forma di dilemma etico legato all’eventuale sterminio di massa degli unicorni per curare gli esseri umani. Le bestie non sono abbastanza, e a tratte beneficio dalla guarigione sarebbe una ristretta élite che può permetterselo. Gli altri continuino a crepare.

Non so, se si fosse scoperta un’intera popolazione di unicorni, magari da ficcare dentro a un allevamento intensivo, forse il film sarebbe stato molto più interessante, ma già così, l’indifferenza e la protervia riservate alla scoperta di una nuova specie di esseri viventi sono già abbastanza dolorose da sopportare, nonché terribilmente nostre.
Poi, si ride anche parecchio, più o meno ogni volta che un umano fa una pessima fine, soprattutto perché pessima neanche rende bene l’idea di cosa viene fatto ai corpi di queste persone da zoccoli, corni e zanne degli animali. Forse ci si poteva concentrare un po’ di più sulla satira, che è sempre efficace, e meno sul dramma familiare e sul rapporto padre/figlia, anche perché le dinamiche davvero interessanti, per quanto concerne le relazioni umane, sono quelle interne alla famiglia di ricconi; è come se Scharfman, anche sceneggiatore, avesse bisogno di un ancoraggio morale, un paio di personaggi positivi o comunque redimibili per dire che, dai, in fondo non siamo così male.
Solo che siamo esattamente così male e, se proprio c’era necessità di un qualcosa di positivo cui aggrapparsi, esiste l’enorme personaggio del maggiordomo e tuttofare Griff (Anthony Carrigan), che da solo vale quindici padri assenti e quindici figlie ribelli di buon cuore.
Ma alla fine sono minuzie e questo è intrattenimento, ce lo facciamo bastare.

4 commenti

  1. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Ogni tanto non è male dare una rinfrescata di questo tipo a icone fiabesche solitamente pacifiche e innocue, ed è interessante questa prospettiva eco-horror con la quale proponi di vederlo. E se vogliamo considerarne il lato satirico, da tempo ormai ci si sta dirigendo a rotta di collo in quella direzione… e cioè di un sistema sanitario accessibile quanto potrebbe esserlo la cura dell’Unicorno, costosissimo e quindi sempre più all’esclusiva portata dei soli (molto) ricchi 😟

  2. Avatar di Christian Princeps
    Christian Princeps · ·

    In “Legend”(1985), l’uccisione di un unicorno sprofondava il mondo nel gelo e nell’oscurità. Diciamo che il tema dell’unicorno come essere perturbante non è del tutto nuovo al cinema

  3. Avatar di Frank La Strega

    Mi è piaciuto! E non poco.😃

    Bel post e sì, è proprio (anche) un eco horror!

    1. Avatar di Lucia

      Sì, infatti, anche è la parola chiave. Ci sono tanti altri generi mischiati dentro al film, ma la componente eco è innegabile. Alla fine è un animal attack