The Monkey

Regia – Osgood Perkins (2025)

Il racconto di King su cui è basato il quinto lungometraggio di Perkins (pubblicato nel 1985 nella raccolta Scheletri) è tipico della produzione breve kinghiana, che rispecchia il lato più cinico e crudele dello scrittore: è una classica storia di oggetto infestato da non si sa bene cosa, o nato direttamente malvagio. In quanto racconto di poche pagine, si prende la libertà di essere molto avaro di spiegazioni: è spaventoso ed efficace, ma soprattutto è di una serietà sepolcrale, con una vena sardonica nascosta tra le pieghe delle parole, e dovuta in gran parte alla natura dell’oggetto in questione: una scimmia meccanica che sbatte i piatti quando la carichi. O quando decide lei e le va di ammazzare qualcuno.
Perkins, con la complicità di James Wan alla produzione, prende l’ossatura del racconto e ci piazza sopra tonnellate di umorismo macabro. Tanto che The Monkey potrebbe essere considerato la versione concettualmente elevata di Final Destination. 

Qui la scimmia (che non ha i piatti, ma un tamburello, e se volete sapere perché, telefonate alla Casa del Ratto) è responsabile della morte di un gran numero di persone mediante grotteschi e truculenti incidenti, che avvengono con dinamiche piuttosto simili a quelle della saga inaugurata 25 anni orsono da James Wong. Solo che i Final Destination sono film volutamente scemi, che usano il linguaggio dello slasher per suscitare nel pubblico tutta una serie di reazioni immediate: ribrezzo, ansia, paura, qualche risata liberatoria che arriva al culmine di sequenze ad alto tasso di stress emotivo; il terribile senso ultimo di questi film è tenuto celato, o meglio, si intravede appena e soltanto se si va a grattare sotto la superficie.
Al contrario, The Monkey è un film molto intelligente che usa il linguaggio della commedia (in alcuni casi proprio della farsaccia) per esplicitare e approfondire quello che nei vari Final Destination era, appunto, soltanto un campanello d’allarme soffocato dalla confezione scintillante, dai jump scares e da tutti i vezzi propri del cinema horror commerciale.
Non va neanche troppo per il sottile in questa operazione: “Tutti muoiono, e questa è la vita”, dice la mamma dei due fratelli protagonisti (Tatiana Maslany) ai figli dopo un funerale, uno dei tanti che vedremo nel corso del film.

Come vedete, siamo di nuovo qui a parlare di horror e fragilità esistenziale, tanto per fare una cosa nuova. Siamo di nuovo qui a ribadire che il mestiere dell’horror è sempre lo stesso, da quando è nato: portarci le cattive notizie; dirci che moriremo, tutti. Moriremo noi, moriranno le persone che amiamo, moriranno i nostri animali, e ognuna di queste morti sarà poi dimenticata o, se preferite, inglobata all’interno del flusso costante della vita. 
Giustiziando millenni di religione, filosofia, arte e letteratura, arriva l’horror e ti sussurra nell’orecchio che non c’è assolutamente nulla che abbia un briciolo di senso. E non solo: è una cosa che sappiamo e fa un rumore tale nella nostra testa da doverlo silenziare con millenni di religione, filosofia, arte e letteratura, tutti disperati tentativi di non guardare il faccia l’unica verità possibile: la scimmia che ride malvagia mentre suona il suo tamburino di latta e sceglie chi vive ancora per qualche anno o mese o giorno, e chi muore proprio in quell’istante.

Non a caso, l’etichetta sulla pelliccia sintetica della scimmia recita like life e non life like.
Però, anche qui, essendo un film intelligente, The Monkey si presta a un doppio livello di lettura. Se ci si ferma al primo, avremo di fronte una commedia nera che più nera non si può, uno dei film più cinici e dichiaratamente nichilisti a memoria d’uomo; ti fa contorcere sulla sedia dalle risate, sempre a seconda di quanto è deviato il vostro senso dell’umorismo, ma nel frattempo, lo senti che ti sta prendendo a coltellate e ti sta facendo precipitare nel vuoto esistenziale senza paracadute. Ti mette a disagio, The Monkey, perché tra un sghignazzata scomposta e l’altra, è tutto così sgradevole da farti mancare l’aria.
Dopo tanti anni passati a fare film serissimi, Perkins aveva già mollato un po’ gli ormeggi con Longlegs (che io insisto: è in parte una commedia); con The Monkey, il regista si rivela per il buffone pagliaccio che è, e passa un centinaio di minuti a prendere la morte a pernacchie, a mettere in scena una mostra di atrocità assortite con il tono e il ritmo di una serie di gag prese di peso da un capitolo di Scary Movie, giusto per farvi capire il registro usato. 
Non è semplicemente sopra le righe, The Monkey: Perkins le righe le sbudella e poi le usa come tappeti elastici. Capisco anche che sia un registro difficile da digerire, che se non si sta al gioco del regista, se ne può uscire frastornati e delusi. Se non vi fa ridere un tizio che diventa pappetta per cani dentro a un sacco a pelo, ecco, magari non andate a vederlo. 

Eppure, citando proprio Stephen King quando parla della natura da doppio licantropo della narrativa dell’orrore, siamo proprio certi che The Monkey sia un film nichilista?
Io credo che sia un film che con il nichilismo ci intavola una discussione e, alla fine, si prende gioco anche di esso. E più che di mero nichilismo si può parlare di presa d’atto di un destino comune a ogni cosa che vive su questa palla che gira nel vuoto. Posto che ignorare il suddetto destino e far finta che non ci sia è, com’è chiaramente mostrato nel film, controproducente, e ancora peggio è tentare di opporvisi optando per la paralisi e l’inazione, non resta che farsene carico, accettarlo, prendersene persino cura e, quando il terrore rischia di sopraffarti, andare a ballare. 
E ridere, soprattutto ridere. In faccia a questo destino così orrendo che ci aspetta dietro l’angolo, ridere delle sventure che, inevitabilmente, ci capiteranno, ridere della nostra stessa precarietà, ridere del fatto che la morte ci accompagna ogni secondo, ridere di quanto siamo piccoli, insignificanti, di quanto il nostro passaggio da queste parti non abbia alcun peso. 
In fondo, così leggeri balliamo meglio. 

Al di là di queste riflessioni, The Monkey è davvero un film divertentissimo, con un ritmo micidiale e delle soluzioni visive al confine del genio. Credo sia l’opera migliore di Perkins, e lo che fa strano dirlo per un film dallo stile così farsesco e poco serio, ma è anche la sua più matura e controllata, quella in cui il regista è riuscito a trovare la quadra tra le sue ormai tipiche idiosincrasie d’autore e le esigenze di un cinema di grande intrattenimento.
Per i kinghiani all’ultimo stadio, The Monkey è disseminato di citazioni e chicche riguardanti l’universo narrativo dello scrittore del Maine, da quelle più evidenti come il nome di una certa Annie Wilkes che viene pronunciato a un certo punto, a quelle più nascoste, come il riferimento a un bellissimo racconto del Re contenuto nella raccolta Tutto è Fatidico e ambientato su un campo da golf. 
Oltre ai rimandi e alle strizzatine d’occhio a un pubblico che conosce il materiale di riferimento, The Monkey è un film kinghiano come atmosfera e personaggi. Una visione di King virata al grottesco e filtrata attraverso la particolarissima sensibilità di Perkins, ma perfettamente riconoscibile. 
Non è soltanto una grande horror comedy, è anche un adattamento molto ben riuscito. 
Correte a vederlo. Ridete. Ballate. 

8 commenti

  1. Avatar di alessio

    A me il film non è piaciuto. Però fai una considerazione molto interessante che mi può aiutare a vedere The Monkey diversamente (e sotto questa luce sì, The Monkey è la diretta conseguenza portata a compimento di quel che si intravedeva già in Longlegs). Non so se il modo di fare cinema di Perkins ci spinga a fare considerazioni più profonde di quel che meritano ma c’è veramente tanto di Camus ne Il mito di Sisifo in quel che scrivi: “Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. (…) Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. (…) Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.” Mah, sino a questo punto Perkins? Al momento per me resta un film fuori dalle sue corde, lui che gioca(va) così bene con le atmosfere rarefatte e la sospensione (ci ho messo molto a farmi piacere February che da subito però mi aveva letteralmente ipnotizzato) ma adesso qui si fa invadente la presenza di un rumore di fondo straniante e disturbante che sembra essere la sua nuova cifra, quel piccolo particolare fuori posto che già nella composizione delle inquadrature in Longlegs metteva a disagio. Perkins ora che ci chiede di ballare, dopo che ci svela che anche nel rumore c’è melodia… Se è così, una cosa la possiamo dire: Perkins mai banale.

    1. Avatar di Lucia

      Io devo dire che il Perkins rarefatto lo apprezzavo a livello cerebrale, ma non lo amavo sul serio. Con The Monkey è proprio andato a toccare tutte le mie corde

  2. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Leggere considerazioni così articolate e non banali, sia nel post che nel primo commento, di lunedì mattina rinfranca lo spirito.

    Grande curiosità da parte mia, anche se il racconto neanche lo ricordo

    1. Avatar di Lucia

      D’altronde qui, oltre al cinema horror, ci sono le velleità culturali sin dagli albori!
      Ho riletto il racconto qualche giorno prima di andare in sala. Sono due testi, diciamo così, complementari. Scheletri rimane una delle raccolte migliori di King.

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Mi sono fidato di Perkins fin dai suoi esordi, quindi credo proprio che continuerò a farlo pure con questa sua bastardissima Scimmia kinghiana: Oz porta a ballare la scimmia, e noi lo accompagniamo (magari per provare a tirarle anche qualche calcio in culo fra un ballo e l’altro, a quella dannata pupazzetta, perché ad alleggerirmi posso riuscirci, ma solo fino a un certo punto)…

  4. Avatar di L

    Il registro atipico lo rende un film che non so se consiglierei allo spettatore casuale, ma si, The Monkey è intelligente, divertente e estremamente ben fatto. E se continuo a preferirgli Longlegs, è quasi solo per un discorso di affinità di genere…

  5. Avatar di Russell1981

    Il racconto è sempre stato uno dei migliori di King, per me. Guarderò il film, sperando davvero di divertirmi.

  6. Avatar di Sconosciuto
    Roberto Medda · ·

    Sceneggiatura traballante, con delle sottotrame fumose; regia e fotografia sempre ottime, come nei suoi precedenti lavori; splatter/omicidi che funzionano, nonostante la sempre ingombrante CGI. Il protagnosta è bravo ma eccessivamente bello per interpretare i due ruoli. La parte comedy-grottesca funziona a metà; chissà se il bullismo delle ragazzine, fatto ai danni di una ragazzina e agito da maschietti, avrebbe provocato le tesse reazioni… In definitiva, complessivamente, discreto.