Era davvero passato troppo tempo dall’ultima volta in cui vi avevo deliziati con i miei doppi spettacoli, quindi ho pensato che non ci fosse niente di meglio, per entrare nel giusto spirito natalizio, di una coppia di film su quanto faccia schifo la famiglia. Il cinema dell’orrore è letteralmente costellato da padri di merda di ogni risma, forma e maniera: nel migliore dei casi, si tratta di figure indifferenti, che minimizzano i problemi di moglie e prole, che non credono a quanto viene loro raccontato, che puniscono, non ascoltano, salvo poi svegliarsi all’ultimo secondo, quando l’impatto con la realtà li colpisce come un treno in corsa; nel peggiore, sono dei mostri violenti, sia nella variante realistica sia in quella soprannaturale. Ci sono anche delle belle eccezioni, per carità (Train to Busan, The Devil’s Candy), e forse un giorno ci faremo pure una top 5 sui papà più belli della storia dell’horror.
Ma non è questo il giorno.
Oggi ci occupiamo di due originali Shudder in cui la figura paterna è quantomeno controversa, soprattutto perché non ne vuole sapere di restare morta. Magari in vita i due papà al centro del nostro doppio spettacolo erano pure delle brave persone, ma una volta defunti, si sono entrambi trasformati in pericoli pubblici.
Cominciamo con l’australiano The Demon Disorder, diretto dall’artista del make up Steven Boyle, qui al suo esordio dietro la macchina da presa. È un film a basso budget, ma realizzato con enorme professionalità, soprattutto nel reparto effetti speciali, dove si vedono cose egregie. Può anche vantare la presenza di John Noble in un piccolo, ma significativo ruolo, quello del padre trapassato ma non troppo.
Protagonisti di The Demon Disorder sono tre fratelli; uno di loro ha lasciato il nido dopo la morte del padre, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite; gli altri due sono rimasti nella fattoria di famiglia, sperduta in mezzo all’immenso nulla australiano, a gestire una situazione complessa, fatta di vitelli che nascono con varie deformità e un leggero caso di possessione che ogni tanto affligge il figlio minore. Questo scombiccherato nucleo familiare dovrà tornare unito per mantenere una promessa suggellata anni prima tramite patto di sangue, e se non lo faranno prima di subito, i loro corpi saranno sottoposti a deformazioni grottesche e spettacolari, roba che farebbe piangere lacrime di gioia a un cenobita, se volesse sprecare così la sofferenza.
The Demon Disorder ha qualche problema narrativo: è confuso e non sa bene neanche lui dove voglia andare a parare o cosa voglia esattamente raccontare. È comunque un film molto teso e, a suo modo, divertente, se siete appassionati di body horror, schifezze assortite e, soprattutto, effetti gore artigianali.
Possiede anche un nucleo emotivo molto potente, ma lo sfrutta male e lo lascia emergere soltanto nei minuti finali. Val la pena di vederlo soprattutto per la fattura degli effetti speciali e per tutte le sequenze in cui appare John Noble. È un horroraccio indipendente a cui piacerebbe spiccare il volo per essere qualcosina in più, ma evidentemente Boyle ancora non possiede gli strumenti per fare un salto del genere.
Molto più sottile e metaforico è il britannico Daddy’s Head (titolo un po’ infelice a parte), di Benjamin Barefoot, che deve essere rimasto fulminato dalla visione di The Babadook. Lo capiamo e apprezziamo l’attaccamento alla divinità australiana denominata Jennifer Kent, pur nella consapevolezza che di Babadook ce n’è uno solo.
Daddy’s Head racconta della difficilissima elaborazione del lutto di Isaac, che ha appena perso il padre in un incidente stradale. Costretto dalle circostanze a vivere insieme alla matrigna Laura, con la quale non ha fatto in tempo a stabilire alcun legame, Isaac si convince che il padre morto sia tornato a visitarlo in forma di una strana creatura, che prima si aggira nei boschi vicino casa, e poi se ne va a risiedere in un condotto d’areazione nella stanza del bambino.
Il film ci mette parecchio tempo a carburare, in parte perché si prende il tempo necessario per dare spazio ai due personaggi principali, il fanciullo problematico e l’altrettanto problematica e molto giovane Laura, vestita all’improvviso di un ruolo per il quale non si sente affatto tagliata. C’è da dire che Isaac fa di tutto per renderle la vita un inferno in miniatura e lei, dal canto suo, con questo bambino non sa proprio cosa farci.
Però c’è anche qualche piccolo problema di ritmo, in Daddy’s Head, e se non siete ben disposti nei confronti dei film comunemente definiti “lenti”, potreste annoiarvi un po’. Se riuscite ad arrivare all’ultimo quarto d’ora ancora svegli, tuttavia, Barefoot ha in serbo per voi quella che non esito a definire come la sequenza più spaventosa dell’anno. Seriamente, se la batte con Oddity, e forse la spunta persino.
Ci potrebbe scappare anche qualche lacrimuccia, vi avviso.
Avvertenza per quelli come me: il cane non arriva vivo alla fine.












John Noble riesce ad essere convincente tanto in ruoli positivi quanto in quelli negativi: rimanendo attinenti al tema, interpretare il padre ideale gli riuscirebbe altrettanto bene che interpretare un padre pezzo di merda, quindi credo che troveró interessante la sua performance in quest’horror aussie… Per quanto riguarda Daddy’s Head hai fatto bene ad avvisarmi del povero cane, dato che mi intrigava l’idea di quella creatura “paterna” e avevo intenzione di vedermi il film in questi giorni (non ho mai problemi con la lentezza, quando alla base ci sta una buona storia).
P.S. Buon Natale, amica mia… 🐈💖
Ci sono due o tre trovate visive in Daddy’s Head davvero non male. Quest’anno c’è stato sicuramente di meglio, ma un’occhiata la merita di sicuro
Non ha lo spessore di Babadook ma l’ho trovato davvero un buon film e con un’ultima scena, nella sua semplicità davvero toccante.