Strange Darling

Regia – JT Moliner (2023)

Sempre perché anche quest’anno l’horror muore l’anno prossimo, nel giro di un mese o poco più sono usciti una serie di film uno più bello e importante dell’altro, tanto che si fa quasi fatica a star loro dietro. Strange Darling è il più bizzarro del mucchio, perché ha una natura camaleontica e una struttura che si diverte a scambiare tra loro i tasselli narrativi del puzzle. È anche terribilmente ambiguo e, per questo, complicato da discutere: va visto senza troppe nozioni sulla trama, anche se basta essere un minimo attenti ai segnali (e soprattutto avere alle spalle un paio di thriller) per capire con un certo anticipo il twist intorno al quale ruota il film. Eppure, non credo che l’intento del regista e sceneggiatore Moliner fosse quello di creare un effetto sorpresa, quanto quello di mettere più volte in discussione le certezze del pubblico.
Sta di fatto che non è educato rivelarlo. 

Strange Darling comincia facendo il verso al true crime: finge di essere la ricostruzione delle gesta di un serial killer che ha operato in Oregon tra il 2018 e il 2020, messa insieme a partire dalle testimonianze delle vittime scampate alla sua furia e dai resoconti della polizia.
È diviso in 6 capitoli disposti in maniera non lineare e la premessa è quella di un incontro occasionale che prende una piega inaspettata e violenta: la nostra protagonista femminile (chiamata soltanto The Lady) incontra in un locale il nostro protagonista maschile (chiamato soltanto The Demon) e i due se ne vanno in un motel; lei è un’incantevole Willa Fitzgerald, lui un decisamente minaccioso e poco rassicurante Kyle Gallner. Provate a immaginare come andrà a finire.
Il film è una gigantesca sovversione degli stereotipi cui siamo assuefatti assemblata apposta (e uso il termine assemblare non per capriccio) per assecondare le nostre aspettative e poi capovolgerle tutte insieme. È un gioco consapevole e quasi sempre fatto allo scoperto; addirittura, sono gli stessi personaggi del film a parteciparvi. Ci manca solo che a un certo punto guardino in macchina e ci facciano l’occhiolino. 

Strange Darling si muove nelle stesse zone d’ombra di tanto thriller erotico e neo noir anni ’90, mentre prende in prestito la propria estetica dal cinema selvatico degli anni ’70. Ci sono dentro Verhoeven e Schrader; il secondo più per un fatto di suggestioni visive, il primo per il divertimento che si percepisce nel ribaltare le convenzioni di solito associate al filone dei serial killer e, in particolare, a quello chiamato “women in peril”, ma anche per il gusto di mettere in scena una donna completamente fuori controllo e non andare alla ricerca di giustificazioni morali per il suo essere ciò che è. La nostra Lady va accettata così e ci tocca passare con lei un centinaio di minuti, senza che le sue azioni ci vengano spiegate. Ora, più che l’ennesimo rape & revenge o il quarantesimo film che, pur con tutte le buone intenzioni, continua imperturbato a dipingere i personaggi femminili come vittime, vedere una donna che non chiede la nostra compassione ma nemmeno un briciolo di comprensione, è parecchio rinfrescante. 

Il film è girato in uno splendente 35mm (il direttore della fotografia è Giovanni Ribisi al suo esordio), con quei colori caldi, accesi, pastosi che soltanto la pellicola è ancora in grado di dare. Forse il cartello in testa che annuncia a caratteri cubitali l’uso della pellicola è un po’ troppo, però rientra anche questo nella dimensione giocosa di tutta l’operazione. Può apparire come una mossa arrogante (io giro in pellicola e voi no, branco di bestie digitali), ma è soltanto uno strato di glassa in più aggiunto alla torta e, se il punto di riferimento per lo stile è il cinema problematico e ribelle del secolo scorso, il 35mm è il dispositivo più ovvio per condurre in porto l’impresa. 
Cartelli a parte, Strange Darling è una gioia per gli occhi. Non si tratta soltanto della pellicola, è che Moliner è proprio bravo, ha uno stile chiarissimo e preciso, ha gusto, ha la capacità di raccontare con una sola inquadratura un personaggio e una situazione, di offrirti l’identità di un ambiente con un’unica occhiata. Peccato non averlo visto in sala, peccato davvero. 

Noi che abbiamo visto La Caduta della Casa degli Usher l’anno scorso eravamo già a conoscenza delle capacità espressive e soprattutto dello spettro di emozioni presenti nelle corde di Willa Fitzgerald. La sua giovane Madeline, per quanto molto più sotto controllo della Lady di Strange Darling, sapeva passare da una perfetta simulazione di innocenza a esprimere malvagità pura nello spazio di un battito di ciglia. Eppure si trattava di un ruolo inserito nel contesto di una serie molto corale; qui Fitzgerald porta a spasso tutto il film al guinzaglio, e Gallner si adegua, con la consueta recitazione trattenutissima, a farle da spalla. Senza nulla togliere a Demi Moore, Sydney Sweeney, Neil Tiger Free e persino alla divina Mia Goth, credo che sia questa l’interpretazione femminile dell’anno, in un 2024 che è stato letteralmente costellato da grandi attrici al servizio dell’horror. Insomma, era difficile scegliere, ma la Lady di Strange Darling si porta a casa Ilgiornodeglizombi d’oro. 
E ora che stiamo girando intorno al film senza parlarne davvero, arriva il paragrafo che vi consiglio di saltare se ancora non lo avete visto. 

Credo che siamo così abituati a vedere film con personaggi maschili moralmente discutibili o proprio corrotti in ogni anfratto della loro anima, e a fare il tifo per loro, da restare sconvolti quando, al contrario, è una donna ad assumere questo tipo di ruolo. Non parlo di anti eroi o anti eroine, perché la stessa Maxxxine è un’anti eroina, e non parlo neppure di una donne come Pearl che, per quanto assassina e scatenata, ha dalla sua un film intero che ci spiega le origini della sua psicosi, ed è allo stesso modo carnefice e vittima. 
La Lady di Strange Darling non è mai vittima; al contrario, si prende gioco del fatto che, per il suo aspetto e per la sua apparente fragilità fisica, chi le sta intorno la percepisca sempre come tale. Si approfitta della disposizione benevola degli sconosciuti nei suoi confronti ed è la prima a essere consapevole dello stereotipo di genere che vede le donne sempre e soltanto come vittime. 
Di rado accade che un personaggio femminile possa essere cattivo e basta, e senza nessuno che le faccia da contrappeso etico. La Lady non è un’antagonista, è una protagonista, ed è anche la villain della storia che stiamo guardando. Solo che con Patrick Bateman ci fanno i meme, mentre a Strange Darling toccano le accuse di misoginia. 
Io mi sono goduta il viaggio sull’otto volante messo in scena da Moliner e ho partecipato con gioia al divertimento generale. Ma soprattutto ho applaudito il fatto che, per una volta tanto, non stessi assistendo a una vendetta, a una reazione, a un moto sacrosanto di rabbia nei confronti di un torto subito: la Lady di Strange Darling è una pazza scatenata con le allucinazioni che ammazza la gente, è la figlia diretta di tutte le “psychotic women” degli anni ’70, ed è bellissimo vederla agire su uno schermo senza che le venga fornito alcun alibi. 

12 commenti

  1. Avatar di Elfo Scuro
    Elfo Scuro · ·

    ho trovato anche molto suggestiva la colonna sonora fatta da quella Z Berg (mi apre si scriva così il nome), va proprio a braccetto con tutto il progetto, nella theme principale addirittura vi è spazio pure per il caro vecchio Keith Carradine (che pare sia parente della stessa compositrice).

    1. Avatar di Lucia

      Sì, è Z Berg, e hai ragione sulla colonna sonora, è spettacolare.

  2. Avatar di alessio

    Io voto Naomi Scott e Carolyn Bracken.

    1. Avatar di Lucia

      Guarda, quest’anno c’è soltanto l’imbarazzo della scelta. Devo dire però che Willa Fitzgerald mi ha proprio fatto impressione.

  3. Avatar di Luca

    Concordo in tutto. Sarei curioso di sapere che significato dai alle parole che vengono pronunciate dopo i titoli di coda. Sinceramente io nessuna idea mi sono fatto

    1. Avatar di Lucia

      Me lo sto domandando da tre giorni 😀

  4. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Indubbiamente piacevole allo sguardo ma troppo “furbetto” per me, la scomposizione temporale mi è sembrata un espediente (neanche particolarmente originale) per camuffare una trama altrimenti troppo lineare. Poi non so, sarò perchè a me di raro capita di “parteggiare” per un killer in contesto slasher o pulp, io un po’ di misoginia l’ho avvertita.

    1. Avatar di Lucia

      Ma secondo me non è un espediente per camuffare la trama, quanto per fregarti sulla percezione che hai dei ruoli di genere.
      Io non ho mai parteggiato per Patrick Bateman o per Hannibal Lecter (quello della serie), però accetto il loro essere protagonisti e il loro essere, allo stesso tempo, cattivi senza redenzione e senza vittimizzazione. Però è un lusso che concediamo ai personaggi maschili, quelli femminili hanno sempre bisogno di un perché.
      A me della Lady è piaciuto proprio il suo non avere motivazioni, il suo essere serenamente deprecabile. Poi magari si intuisce qualcosa quando SPOILER
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      dice di vedere le persone come demoni alla fine. Magari le è successo qualcosa in passato che non sappiamo, oppure è una classica giustificazione come “mi ha detto Dio di farlo”, quindi assolutamente ininfluente sulla sua malvagità. Per questo ho trovato il film veramente sovversivo.

  5. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Riguardo al personaggio della protagonista, hai perfettamente ragione; sono gli altri personaggi femminili che mi lasciano perfetti.

    Interessantissime le considerazioni finali che proponi

  6. Avatar di Frank La Strega

    Sto pensando ai miei vissuti…

    (attenzione SPOILER, più o meno)

    Niente da dire sul post: c’è tutto e il film me lo sono guardato stra volentieri. E’ figo! E direi anche divertente.

    Da spettatore è successo anche a me di essere “infastidito” dal gioco sulle aspettative coi capitoli mischiati. Non di testa, mi ha proprio “seccato” (istintivamente) credo perché di solito non ho aspettative (di genere o altro) quindi col tempo le sovversioni fatte in questo modo hanno smesso di prendermi: mi piace molto la linearità e mi bastano i dettagli che magari sono forti e caratterizzanti anche senza twist. Ma chissene, è solo per condividere una reazione non razionale.
    Poi, quando metto la testa sull’esperienza a visione conclusa, magari mi vengono in mente un sacco di cose.
    Ad esempio che… fare LA serial killer è un lavoro davvero duro, stressante… se qualcosa va storto passi dal divertirti a fuggire piena di sangue, devi sbarazzarti di qualcuno che ti bracca e che magari è il doppio di te, finisci legata ai frigoriferi, ti sparano, devi fare duecento sceneggiate strappalacrime prima di andare a dormire, sei brava a sfruttare le aspettative su di te ma magari “non ti aspetti” che una “come te” abbia una pistola “come te”…
    Lei fa pure tenerezza ad un certo punto…

    Comunque molto figo. Per qualche motivo mi ha fatto ritornare in mente un film che ho rivisto per la challenge: Surveillance.

  7. Avatar di Tommaso Sega
    Tommaso Sega · ·

    Gran film, ottimo consiglio.

    Mi era sfuggito fosse di JT Mollner, che otto anni fa aveva esordito con un altro gran pezzo di cinema della crudeltà come “Outlaws and Angels”, una specie di gemello perverso di “The Hateful Eight”.

    Molto interessanti le considerazioni finali. Mi lascia giusto un po’ perplesso il discorso che (una volta rivelatasi la sua natura) si possa empatizzare con la protagonista, se non un po’ nella scena finale. Da maschio ammetto di subire il fascino perverso di vedere belle donne in pericolo, ma comunque sempre stando dalla loro parte (anche delle figure volutamente più insopportabili degli slasher), non mi pare di aver mai empatizzando coi carnefici.

    1. Avatar di Lucia

      Ma io non ho scritto da nessuna parte che empatizzo con la protagonista. Infatti non empatizzo, tranne appunto, forse nei due minuti finali. Ho detto che siamo tutti abituati a vedere personaggi maschili in questo tipo di ruolo e che spesso abbiamo fatto il tifo per loro, perché spesso ci piace, sullo schermo, fare il tifo per i cattivi.
      Non che non esistano villain donne, per carità, ma l’identità tra villain e protagonista, quando si tratta di personaggi femminili, è molto più rara. Mi viene in mente giusto Gone Girl, così a memoria, e andando negli anni ’70, Alice, Sweet Alice.