Tanti Auguri: 20 Anni di Open Water

Regia – Chris Kentis (2003)

Non fate caso all’anno di produzione di Open Water: il film fa il suo giro dei festival, provocando anche un certo scalpore, nel 2003, ma arriva nelle sale americane il 6 agosto del 2004 e in quelle italiane circa un mese dopo, perché appunto, per riuscire a raggiungere questa località remota, gli horror devono far parlare molto di sé.
Open Water di sé aveva fatto parlare parecchio, nel bene e nel male. I giudizi categorici e assoluti non sono un’invenzione recente o figlia del social media; ai tempi, sui forum e sui vari siti specializzati in cinema dell’orrore, Open Water veniva definito o come il film più spaventoso dai tempi (a dire la verità piuttosto recenti) di The Blair Witch Project, o come una porcheria da non toccare neanche con un bastone, e pure girata di merda.
Al solito, entrambe le prese di posizione non valevano lo spazio virtuale sul quale erano scritte. Open Water, anche a vent’anni di distanza, resta un esperimento molto interessante di cinema fatto in casa con pochissimi soldi e con una tecnologia rudimentale. A livello concettuale, si tratta di mumblecore applicato al survival horror. Con gli squali, per di più. E ispirato a una storia vera perché, sempre per colpa di TBWP, se non ti basavi sui fatti realmente accaduti era meglio che neanche lo facevi uscire, il film.

Tecnologia rudimentale, dicevamo: Kentis gira in mini DV e spende circa 120.000 dollari tutto compreso, va alle Bahamas con una troupe ridottissima, due soli protagonisti che tiene a mollo per gran parte delle riprese, con squali veri a gironzolargli intorno (ennesima dimostrazione che gli squali difficilmente ci cagano), luce naturale e realismo sovietico. Credo non abbia registrato a parte nemmeno il suono, se non altro nella prima parte, prima che i nostri vengano abbandonati in mezzo all’oceano. È una impostazione da found footage, senza che Open Water sia un found footage: Kentis non ci presenta il filmino delle vacanze finite malissimo dei coniugi Watkins; il punto di vista del narratore è esterno, non interno ai personaggi. 
Nel 2004 non era uscito Paranormal Activity e TBWP era un caso isolato; il fenomeno found footage non era esploso e si stava ancora discutendo se il filone avrebbe avuto un futuro. Vedrete che non durerà, dicevano i detrattori. 
Di conseguenza, quel tipo di realismo così minimale non era appannaggio delle telecamere traballanti tenute in mano da gente terrorizzata, ma di piccoli film indipendenti in cui la gente parlava tantissimo, con recitazione naturalistica e spesso improvvisando i dialoghi. Mumblecore, appunto, che grazie a gente come Fessenden in principio e Ti West e Adam Wingard (tra gli altri) in seguito, avrebbe fatto nascere il suo troncone horror con il mumblegore. 

In effetti, la prima parte di Open Water è un filmino delle vacanze, più intimo del solito perché, oltre ad andarsene in giro a fare i turisti, Susan e Daniel parlano di cose insignificanti e quotidiane, come qualsiasi coppia in ferie. Si capisce che i due non stanno attraversando la migliore delle fasi da alcune parole e da qualche scambio di sguardi e che questo viaggio potrebbe essere il classico tentativo di rimettere insieme i cocci della relazione, ma è tutto lasciato a intendere. Ci sentiamo più degli spioni che degli spettatori, e questo è un altro dei sintomi classici del found footage: siamo così vicini ai due protagonisti che ci sembra di stare nella stessa stanza con loro. Sarà anche la bassa definizione, il suono disturbato e sporco, la qualità sgranata delle riprese: tutto contribuisce ad avere la sensazione di assistere a un pezzo di vita privata al quale non siamo stati invitati, ma del quale abbiamo, allo stesso tempo, una cognizione molto precisa, perché quei poveracci potremmo essere noi, e quello che fanno loro lo abbiamo fatto tutti, ognuno con le sue modalità. Almeno fino a quando la tragedia del caso non si abbatte su di loro. 

La storia vera a cui Open Water si ispira risale alla fine degli anni ’90 e si è svolta in Australia, non alle Bahamas. Nessuno sa cosa sia successo veramente a Tom e Aileen Lonergan. La barca con la quale stavano facendo immersioni se ne è andata, li ha lasciati in mezzo al mare e i corpi non sono mai stati ritrovati. Di conseguenza, tutto ciò che vediamo in Open Water, a partire anche dalla dinamica che porta i due a restare dispersi nell’oceano, è invenzione narrativa, squali compresi.
Il film dura meno di 80 minuti, perché protrarre una situazione così statica oltre sarebbe stata una mossa suicida, ma è lo stesso complicato tenere desta l’attenzione per due persone che sguazzano in una massa d’acqua vuota. Non avendo a disposizione effetti speciali, se non un minimo di make up per quelle due ferite che si vedono, Kentis fa tutto coi dialoghi e con larghe inquadrature che mettono in evidenza quanto siano piccoli i nostri nell’immensità dell’oceano, sotto quel cielo spietato e dispersi nell’orizzonte infinito.
Sarà minimale, sarà povero, sarà privo di una reale tensione, ma come ti fa sprofondare nella disperazione e nell’angoscia Open Water, pochi altri film.

Come ogni horror che si rispetti, mostra quanto sia facile morire e quanto l’umanità sia soltanto una marionetta nelle mani del caso. Sarebbe bastato salire due minuti prima o, procedendo a ritroso, sarebbe bastato che uno dei passeggeri non avesse dimenticato a casa la maschera; minuscoli, quasi impercettibili smottamenti che alterano il corso degli eventi e ti portano a diventare cibo per i pesci. 
Forse ciò che accade è legato a un tipo di attività molto specifico e di nicchia per terrorizzare una grande massa di spettatori. Non tutti fanno diving, ma vi posso assicurare che non c’è volta in cui io vada a fare immersioni e non pensi a questo film. Mi ha lasciato addosso, da quel lontano settembre 2004 in cui andai a vederlo in sala (rischiando di rompere una relazione iniziata da poco, ma questa è un’altra storia), un’impronta indelebile, proprio perché appare, volutamente, come un film fatto in maniera dilettantesca, ma è in realtà accurato e studiatissimo in ogni dettaglio. 

Anche le reazioni e i comportamenti dei due protagonisti rispondono a questa esigenza di realismo, senza il quale il film crollerebbe sotto il suo stesso peso: gli attori sono entrambi eccellenti, sia nella prima parte, quando recitano la parte di coppia in crisi in vacanza, sia nella seconda, quando passano da una vaga preoccupazione iniziale all’assoluto terrore della loro ultima notte.
Non ha importanza se non hanno chissà quale caratterizzazione, anzi, più comuni e normali appaiono, più il film funziona. Sono due sub con qualche immersione alle spalle, ma non particolarmente esperti e del tutto impreparati ad affrontare una situazione simile, come del resto chiunque non sia un survivalista stagionato. Sono soltanto due tipi di città in vacanza al mare e gli capita la cosa peggiore che potrebbe capitare. È quasi commovente vederli mentre cercano di farsi forza l’un l’altro, ed è terribile vederli soccombere all’inevitabile nel finale. 
Sono vent’anni che Open Water viene maltrattato ingiustamente; io credo, adesso come nel 2004, che si tratti di un ottimo survival minimalista e che nella sua sobrietà e mancanza di qualsiasi orpello estetico si trovi la ragione del suo successo.

9 commenti

  1. Avatar di John Locke
    Severino Boezio · ·

    A me è piaciuto un casino e mi ha pure messo ansia. Ammetto che di base ho il terrore degli squali e compagnia bella abissale, e se quando sono al mare nuoto sopra uno scoglio, la sua ombra oscura sotto di me basta per farmi tremare le gambe, e accelero. Ma i film sugli squali li vedo tutti, TUTTI, appunto perché mi fanno crepare di paura e ne godo (ovvio, altrimenti non sarei qui…).

    Ricordo che quando uscì il film gli istruttori sub si lamentavano di lavorare meno. Coincidenza, proprio quell’estate ho fatto il battesimo dell’acqua. Niente squali però :(.

    1. Avatar di Lucia

      Purtroppo niente squali neanche nelle mie immersioni. Sono 40 anni che ne aspetto uno.

  2. Avatar di Frank La Strega

    Io ho paura dell’acqua aperta e profonda ed empatizzo molto: vederlo al cinema è stato un trauma… 😅

    1. Avatar di Lucia

      Al cinema quel finale mi ha pietrificata. E la mia fidanzata di allora mi voleva lasciare

      1. Avatar di Frank La Strega

        La capisco: io volevo lasciare me stesso per essermi accompagnato al cinema… 😉 Però, si potrebbe aprire un capitolo “sentimentale” su come l’amore per l’horror entra nelle relazioni… Non è sempre facile condividerlo… 🤔

        1. Avatar di John Locke
          Severino Boezio · ·

          Per la rubrica “L’amore per l’horror nelle relazioni”:

          Alla mia compagna l’horror piace e guardiamo spesso film insieme, anche se spesso sotto mia proposta. Purtroppo però lei non si fa prendere quanto me e si spaventa poco. Per quanto riguarda l’horror trash però sono praticamente un single. 😦

          Mio figlio ha 10 anni e non sono ancora riuscito a trascinarlo nel lato oscuro. Gran peccato, perchè è sempre stato il mio sogno sbellicarmi con lui mentre gli zombi fanno a pezzi la gente. Pazienza.

          Conclusione: la maggior parte dei film li guardo da solo la sera, quando a casa tutto tace, nella speranza che riescano a togliermi il sonno. L’ultimo film che c’è riuscito è stato Streghe: eredità malefica. Gran bella serata quella.

          A presto,

          un appassionato della rubrica.

          1. Avatar di Frank La Strega

            Ti capisco: quanti film fighissimi visti in solitudine…

            Pur provenendo da un piccolo paesino ultrabigotto, ho avuto la fortuna (almeno, credo 🙂 di avere degli amici “strani” con cui ho condiviso tante passioni (fumetti, cinema di genere, libri… fantasy/horror e non solo… musica metal e non solo… ancora oggi usiamo le gif dei film che guardavamo insieme da ragazzi per comunicare in rete tra di noi quando siamo lontani), compreso mio padre, ma è sempre stato molto difficile condividere al di fuori. Anche con loro, alcuni titoli erano solo miei. Eppure io ho sempre cercato molto la condivisione perché amo capire cosa piace ed emoziona gli altri anche se apparentemente è lontano da me.
            Mi ricordo dei bellissimi successi comunque, anche con partner, e dei tonfi esplosivi.
            Però c’è un aspetto che mi va di raccontare. Il cinema (o altro) “mio” non è mai stato solo intrattenimento, ma un modo per “vivermi” da fuori. Anche se non riuscivo a condividere quella passione con atri, c’era “qualcosa” che rielaboravo e poi portavo fuori “nel mondo” lo stesso. Dylan Dog, letto dai tredici anni in su, mi ha reso un po’ più aperto e più umano anche se lo leggevamo in tre (da dove vengo io). Figo comunque! 🙂

      2. Avatar di Giuseppe
        Giuseppe · ·

        Io non lo vidi al cinema, ma per i nostri due sfortunatissimi protagonisti ho sofferto comunque fino alla fine (e sì, quel finale non lo si dimentica assolutamente)…

  3. Avatar di loscalzo1979

    All’epoca mi ha dato noia, perché è effettivamente una situazione che verosimilmente può succedere.

    Nel complesso, fa ancora la sua porca figura dopo venti anni