PIllole Ultra Leggere

Siamo di nuovo in quel periodo dell’anno in cui non si trova in giro un horror decente neanche a piratarlo. Dopo l’affollamento di ottime uscite tra aprile e maggio, ora si registra una certa penuria. Già le cose potrebbero migliorare a partire da questo fine settimana, con l’arrivo in sala dell’esordio di baby Shyamalan, seguito a ruota da A Quiet Place Day 1 e poi da tutti gli horror estivi che caleranno come una inarrestabile valanga su di noi per riempirci di gioia.
Non sono riuscita ancora ad andare a vedere The Exorcism con Russel Crowe, ma persone del cui giudizio mi fido ciecamente mi hanno detto che è molto bello, nonostante le apparenze. Nel frattempo, sono arrivati in streaming The First Omen (Disney +) e Godzilla Minus One (Netflix) e oggi pomeriggio, sempre su Netflix, credo che mi vedrò Lumberjack the Monster, ovvero una delle ultime fatiche di Takashi Miike. 
Ma, per il momento, vi beccate quattro film leggeri come un soffio di vento, alcuni anche dimenticabili cinque minuti dopo averli visti, eppure tutti molto divertenti. Dopotutto, per voi che leggete, è sempre un lunedì mattina. 

Cominciamo con un film che, se proprio non avete niente di meglio da fare, trovate ancora da qualche parte nei nostri cinema. Tarot, diretto da Spenser Cohen e Anna Halberg, entrambi esordienti alla regia di un lungometraggio, può essere annoverato tra le conseguenze del recente successo di Talk to Me. Ma alla fine è una roba così generica e redatta a partire da una formula, che magari si tratta soltanto di una mia impressione. È il classico film che la me stessa di 10 anni fa avrebbe fatto a brandelli con crudele e sadico accanimento. La me stessa di oggi si è divertita un mondo e non può negarlo. Come recita una recensione su quella miniera d’oro di umorismo gratis che risponde al nome di Letterboxd, “this was awful i had an amazing time”.
Dicevamo, generico: gruppo di generici amici che va a passare il fine settimana in una casa generica in un generico bosco. Lì trovano un mazzo di tarocchi disegnati a mano, dall’aspetto inquietante e decisamente antico. Una del gruppetto si autoproclama esperta di astrologia, legge le carte a tutti gli altri e le previsioni, col passare dei giorni, si avverano in senso letale. I ragazzi cominciano a morire in una serie di incidenti che ricordano, in maniera distorta, le rispettive letture. I superstiti indagano e scoprono il generico mistero dietro le carte. 
Quello che non è affatto generico, in questo film, sono proprio i tarocchi, splendidi e spettacolari, e di conseguenza, i mostri che escono fuori dalle carte. Ce ne sono alcuni realizzati in una CGI poverella e imbarazzante, tipo l’Appeso, ma il Giullare, il Mago e il Diavolo (anche se si vede troppo poco) sono magnifici e fanno paura. È anche interessante il modo in cui la coppia dietro la macchina da presa è riuscita a mantenere il film nei limiti del PG-13 pur raccontando una serie di dipartite, sulla carta, violentissime. Sono stati bravi. Tarot è costato 8 milioni di dollari e ne ha incassati, fino a ora, 37. 
Final Destination, se la morte fosse un’astrologa dilettante.

Dopo esserci sollazzati coi tarocchi, passiamo ai ragni giganti con Sting.  Abbiamo parlato qualche settimana fa di Vermines, e ora passiamo il testimone all’australiano Kiah Roache-Turner, noto per il dittico zombesco di Wyrmwood, che cerca di fare il salto in un cinema meno di nicchia e ci racconta la storia di una creatura aliena che precipita dal cielo su un condominio di New York durante una tempesta di neve. Il simpatico esserino ha la forma di un ragnetto. La tredicenne con problemi Charlotte lo trova e decide di adottarlo. Le cose non andranno affatto bene. Il ragno infatti cresce, scappa dal barattolo in cui lo teneva Charlotte, e comincia a pasteggiare con i condomini, e purtroppo, con i loro animali domestici. Ci sono un pappagallo e un gatto che fanno una fine orribile e questo mi ha impedito di godermi un film molto simpatico. A differenza di Vermines, che da bravo horror francese, è intimamente politico e corale, Sting punta tutto sul nucleo familiare in crisi che, dalla battaglia contro la minaccia esterna, ritrova l’unità perduta.
Non so, forse da un australiano pazzo mi aspettavo qualcosina di meno normalizzante, strage di animali a parte. Forse, lavorando per la prima volta in un contesto statunitense (il film è co-prodotto da Australia e Usa, ambientato a New York, ma girato a Sidney), si è scatenato sulle povere bestie perché non poteva toccare i genitori di Charlotte e il suo fratellino ancora in fasce. C’è qualche momento molto gustoso, come la morte di una vicina di casa e il ragnone è animato molto bene, però Sting manca un po’ di mordente.
L’elemento più interessante del film è l’intelligenza superiore del ragno, e in effetti me lo sarei adottato anche io, solo che Giadina se lo sarebbe subito mangiato. 
Adopt don’t shop.

Dopo tarocchi e ragni, le botte. Tante, tantissime botte. Boy KIlls World è l’esordio alla regia di Mortiz Mohr, tedesco trapiantato in Sud Africa, dove il film è stato in gran parte girato. Abbiamo il piccolo di casa Skarsgård che interpreta un orfano sordo muto in una spietata dittatura in una città non identificata. La mamma è stata uccisa dalla perfida Hilda Van der Koy (Famke Jannsen) in un rito annuale che consiste nel far fuori in diretta tv gli oppositori del regime; il nostro protagonista senza nome si è salvato ed è stato preso sotto l’ala protettrice dello Sciamano (Yayan Ruhian), che lo ha addestrato e lo ha trasformato in una macchina da guerra con l’unico scopo di togliere dal mondo Hilda e la sua famiglia di ricchi e sadici autocrati. Seguiranno, appunto, botte.
Come Sting, anche Boy Kills World arriva in concomitanza con un altro film dalle premesse molto simili, ovvero Monkey Man, di Dev Patel. Solo che, a differenza di Monkey Man che si prende sul serio dall’inizio alla fine, Boy KIlls World è una commedia al sangue con morti grottesche e splatter, quindi gli va la mia simpatia d’ufficio. 
Parte molto moscetto, ma va in crescendo; ha un colpo di scena un po’ telefonato ma che, se non altro, ribalta la prospettiva, e un combattimento finale lunghissimo, in cui finalmente si dà a Ruhian tutto lo spazio di cui ha bisogno. Come bonus finale, c’è Jessica Rothe in forma smagliante. Lo trovate su Prime. 
Da ascrivere ai danni che John Wick ha fatto alla storia del cinema. 

Chiudiamo con quello che, quando qualcuno si accorgerà della sua esistenza, sarà destinato a essere uno dei migliori film dell’anno. The Last Stop in Yuma County si trova nelle Pillole soltanto perché ha poco a che vedere con l’horror, nonostante il suo cast sia formato da una parata di attori che gravitano nella zona più indie del genere, e il regista sia Francis Galluppi, assoldato di recente da Raimi per dirigere un nuovo capitolo della saga di Evil Dead. Il film è un noir western in piena regola che si svolge tutto all’interno della tavola calda di una stazione di servizio. Il camion che rifornisce le pompe di benzina è in ritardo e i personaggi sono bloccati tutti lì, in attesa che arrivi e permetta loro di fare il pieno, dato che la prossima area di rifornimento si trova a qualche centinaio di chilometri di distanza. Siamo da qualche parte in Arizona, in mezzo al deserto, in un minuscolo avamposto di umanità circondata dal nulla.
Alla tavola calda arrivano anche due rapinatori diretti in Messico, con il bottino ancora nel bagagliaio dell’auto. Quanto tempo ci vorrà perché la polveriera esploda?
Jocelin Donahue, Jim Cummings, Barbara Crampton, Richard Brake, Alex Essoe, Sierra McCormick. In questo film ci sono praticamente tutti i volti noti dell’horror indipendente americano, e vi assicuro che ho fatto un elenco neanche troppo esaustivo. Sembra una riunione di amici che si sono dati appuntamento per fare un po’ gli scemi. L’effetto gita scolastica, tuttavia, passa appena finiti i titoli di testa e si entra nell’atmosfera afosa e sudaticcia della tavola calda. 
Su trama e suoi sviluppi non dico niente (e anche per questo, siamo nelle Pillole, devo essere breve), perché The Last Stop in Yuma County si basa sull’imprevedibilità, sia dei due rapinatori sia dei personaggi che passano per la stazione di servizio. Non è un film d’azione, anzi, è un film statico, bloccato in uno stallo a ogni minuto sempre più pericoloso. La tensione, in alcuni momenti, diventa addirittura insopportabile, anche se Galluppi ha un forte senso dell’ironia e del paradosso e riesce addirittura a farti ridere. Muore un sacco di gente, non sempre quella che ti aspetti e non sempre per mano di chi ti aspetti. Alla fine è uno spietato apologo sull’avidità e su come la sola presenza del denaro ci cambia e ci trasforma in peggio. 
Se Galluppi applicherà il suo stile a Evil Dead, credo che vedremo qualcosa di originale e inaspettato. 
Gita scolastica nichilista. 

Errata corrige: mi fanno giustamente notare che Bill non è il piccolo di casa, ma ha altri fratelli minori di lui. In pratica, una squadra di calcio. Grazie a Sara che mi ha avvisata. 

6 commenti

  1. Grazie Lucia, come sempre.

  2. Boys Kill World vorrei vederlo, il quarto titolo m’intriga

  3. “Sting” mi incuriosisce molto. Quando si tratta di mostrini che diventano grandi, il discorso si fa sempre interessante 🙂

    1. Sting è molto carino, solo che io non ne posso più di vedere gatti morti

  4. Giuseppe · · Rispondi

    Una quaterna leggera ma interessante, fra tarocchi maledetti, ragni alieni e tutto il resto (potrei iniziare proprio dai tarocchi)…

  5. Di The Last Stop in Yuma County avevo letto ottime recensioni e non posso che dire tutto il bene possibile di questa storia che guarda ai Coen. Vale davvero!

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