Ciclo Zia Tibia 2023: Splinter

Regia – Toby Wilkins (2008)

Uno dei “classici” più sottovalutati di quella stramba epoca che erano i primi anni 2000, è l’esordio alla regia di un montatore e tecnico degli effetti visivi che poi purtroppo non ha poi combinato moltissimo dietro la macchina da presa. Un vero peccato, considerando quanto Splinter funzioni a ogni possibile livello.
Quando questo film è arrivato sul mercato home video (negli USA ha fatto una breve apparizione in distribuzione limitata nelle sale, ma poca roba), chi bazzicava abbastanza il cinema dell’orrore è rimasto esterrefatto dalla sua diversità rispetto a quanto offriva a quei tempi la scena. Realizzare un monster movie nel 2008 era un’impresa suicida, sia che si trattasse di una produzione ad alto budget (ricordate Rovine?) sia che si trattasse di un piccolo film indipendente. Non fatevi ingannare dal successo di un capolavoro come The Descent; la cosa importante è che il film di Marshalla abbia fatto pochi o quasi zero proseliti.
In generale, per i cosiddetti creature feature, il primo decennio del nuovo secolo è un momento difficile. Ciò che va forte, per motivi qui analizzati troppe volte per ribadirli di nuovo, è l’horror dall’impianto pseudo realistico, e quindi slasher e survival ultra violenti. In due parole: torture porn.

Splinter è di sicuro un film che non lesina in gore, ma oltre a presentare una vicenda con al centro un organismo parassitario, è soprattutto un body horror: la creatura dalla quale si devono difendere i tre protagonisti del film, infatti, attacca l’ospite e si impossessa del suo corpo, scatenando tutta una serie di mutazioni e trasformazioni da incubo. In parte, il riferimento è La Cosa di Carpenter, ma c’è di mezzo anche Evil Dead, nonostante venga a mancare la componente demoniaca, e (dato che ci troviamo nei primi 2000) Cabin Fever.

C’è di più, perché Splinter è anche un film d’assedio, sempre seguendo la lezione di Carpenter e del suo Distretto 13, a cui deve parecchi spunti narrativi.
Racconta infatti di una giovane coppia di fidanzati in viaggio lungo una delle tipiche statali disperse nel nulla degli Stati Uniti. Commettono l’errore di caricare due autostoppisti che sono in realtà due criminali in fuga verso il Messico. Finiscono in una stazione di servizio, unico avamposto umano nel raggio di un numero imprecisato di chilometri, e sfiga vuole che una strana bestia abbia eletto il luogo a suo territorio di caccia; prima cibandosi di piccoli animali e poi passando agli esseri umani.

La creatura, di cui non vediamo mai la forma originaria, è dotata di aculei con cui infetta le sue vittime. Una volta che l’infezione ti ha preso, non c’è più scampo, ti intacca il sistema nervoso, ti uccide in poche ore e a quel punto, il tuo cadavere è un veicolo utilizzato dal parassita per spostarsi e attaccare altri organismi, con risultati catastrofici e spettacolari. Ciò che accade ai corpi dei contagiati (se contagio è il termine corretto) è l’elemento di maggiore originalità del film, quello più evidente, immediato, destinato a imprimersi nel ricordo di chi ha visto il film una quindicina di anni fa: Wilkins ha dichiarato che il modo in cui ha fatto muovere i resti delle vittime implica una mancanza di conoscenza da parte del parassita di come funzioni il corpo umano, il che ci spinge dritti dritti nella valle del perturbante. La creatura al centro del film indossa la nostra pelle e i nostri muscoli, ma non sa bene come facciamo a spostarci, a camminare, a usare gli arti, e così diventa tutto grottesco, tutto terribilmente alieno. È un’idea semplice, ma a suo modo geniale, perché tutti ci ricordiamo degli scatti, dei tremori, delle posizioni tutte sbagliate, delle mostruose contorsioni. Grazie al lavoro di stuntman, ginnasti, ballerini e mimi, uniti a degli effetti speciali, dal vero e non, prodigiosi considerando il basso budget, Wilkins ha creato un immaginario da incubo che non ha molti corrispettivi nell’horror del periodo. 

Eppure, Splinter non è soltanto questo, o meglio, questo ne è l’aspetto più appariscente, ma da solo non basta; Splinter è un film scritto benissimo, con delle dinamiche tra personaggi in continua evoluzione, e con un “vero” protagonista che viene rivelato molto avanti nel minutaggio. Parlo del criminale e assassino Dennis Farell, interpretato da quel caratterista colossale che risponde al nome di  Shea Whingham, qui prima di Boardwalk Empire e di The Wolf of Wall Street e impegnato a incarnare una versione meno granitica e più umana di Napoleone Wilson. 
Il suo personaggio è la vera chiave di volta di Splinter, il suo cuore, se vogliamo usare termini un po’ sdolcinati.
Dal canto loro, i due ostaggi, e in seguito alleati, di Dennis rappresentano una coppia molto poco convenzionale, sempre pensando all’anno in cui il film è uscito. Lui è il cervello e lei i muscoli, lui è quello che capisce la natura della minaccia che stanno affrontando ed escogita i sistemi per difendersi; lei è quella che dà fuoco alle cose e spacca teste, rivelando una certa affinità, da entrambi riconosciuta, con Dennis. 

Nonostante Wilkins punti forte sull’effetto shock derivato dalle proprietà del suo parassita, gestisce anche molto bene la tensione e le dedica uno spazio sufficiente perché il suo film non sia solo un festino splatter, ma anche un thriller dall’ottimo ritmo e dalle soluzioni visive sempre efficaci. Per essere una storia che si svolge per un buon 80% all’interno di una stazione di servizio e con soli tre personaggi principali, Splinter è un film molto movimentato e molto dinamico. Certo, dovete passare sopra al tipico montaggio isterico del periodo, che spesso è stato un espediente per mascherare le magagne di un budget miserabile, ma che allora era pure la cifra stilistica dell’horror, insieme all’onnipresente macchina a mano traballante e alla dominante fredda nel colore. Tutte cose che conosciamo, che oggi risultano un po’ datate, ma rappresentano un pegno molto basso da pagare per godersi questo piccolo gioiello.

5 commenti

  1. Gioia Mancuso · ·

    Adoro il tuo stile di scrittura. Riesci a ingolosire chi ti legge quando scrivi a proposito di un film che ti è piaciuto.
    Ciò detto cercherò questo film. E comunque Shea Wingham è uno dei migliori attuali caratteristi meno compreso e valorizzato, secondo me.
    Certo è che se non ci fossero le coppie di fidanzati scriteriati, romanticamente e scioccamente a zonzo per le strade deserte degli Stati Uniti, pronti a ingaggiare la lotta per la sopravvivenza, non so come faremmo. Un po’ come i giovani turisti deficienti in giro per l’Outback australiano che puntualmente finiscono nelle sadiche mani di simpaticoni come Mick Taylor, il cattivone di Wolf Creek.

  2. Non ne avevo mai sentito parlare.
    Grazie.

  3. L’ho visto anni fà,ricordo che mi era piaciuto,ma ricordo di averlo visto in lingua originale,mi sa che da noi non era stato distribuito. In effetti i “Creature feature” erano stati pochi e mal distribuiti in quei primi anni 2000,se posso dire la mia riguardo questa tipologia di film,consiglio assolutamente un recupero dell’irlandese “ISOLATION” del 2005,io lo adoro,spero che tu abbia avuto l’occasione di vederlo Lucia………….

  4. Giuseppe · ·

    E’ una vita che ce l’ho lî da vedere… Grazie a Zia Tibia per avermelo ricordato (di nuovo) 😉

  5. alessio · ·

    A certi alieni dai un dito e si prendono tutto il braccio…